Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29251 del 22/03/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 29251 Anno 2016
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: SANDRINI ENRICO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MINICHINI GIUSEPPE N. IL 20/09/1986
IAZZETTA FABIO N. IL 27/07/1992
DI FIORE COSIMO N. IL 12/09/1981
SORGENTE VINCENZO N. IL 29/10/1994
avverso la sentenza n. 4642/2014 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
23/09/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 22/03/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ENRICO GIUSEPPE SANDRINI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. bk A m o
che ha concluso per
y,3c,Dcov e.3to

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 22/03/2016

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 23.09.2014 la Corte d’appello di Napoli, in parziale
riforma della sentenza pronunciata il 14.03.2014 dal GIP del Tribunale di Napoli
all’esito di giudizio abbreviato, ha rideterminato, per quanto qui interessa, nella
misura di anni 7 mesi 4 di reclusione e C 6.000 di multa ciascuno la pena inflitta
a Minichini Giuseppe, Iazzetta Fabio e Di Fiore Cosimo, e nella misura di anni 5
mesi 6 di reclusione e C 5.000 di multa la pena inflitta a Sorgente Fabio, per i
reati, unificati in continuazione, di resistenza a pubblico ufficiale, ricettazione,
detenzione e porto illegale di una pluralità di armi comuni da sparo, in parte con

matricola abrasa e aventi perciò natura clandestina, aggravati ex art. 7 legge n.
203 del 1991, commessi o accertati il 30.12.2012; ha confermato nel resto la
sentenza di primo grado.
Gli imputati erano stati arrestati in flagranza mentre procedevano incolonnati, in
orario notturno, a bordo di due autovetture precedute da due scooter con a
bordo due persone ciascuno; la perquisizione delle autovetture aveva consentito
di rinvenire e sequestrare cinque pistole, cariche, meglio descritte nella rubrica;
l’episodio delittuoso era stato inquadrato dagli inquirenti nel conflitto in corso tra
clan camorristici rivali nati dalla disarticolazione del clan Di Lauro, ciò che aveva
trovato conferma nelle dichiarazioni collaborative rese da uno dei componenti il
commando, Vitagliano Fabio; nel corso del giudizio di appello tutti gli imputati
avevano spontaneamente rilasciato dichiarazioni confessorie, rinunciando ai
motivi di gravame diversi da quelli riguardanti il trattamento sanzionatorio.
2. Avverso la sentenza d’appello hanno proposto ricorso per cassazione Minichini
Giuseppe e Di Fiore Cosimo a mezzo dell’avvocato Ricciulli, Iazzetta Fabio e
Sorgente Vincenzo a mezzo dell’avvocato Ercolino.
2.1. Il ricorso proposto dall’avv. Ricciulli nell’interesse dei propri assistiti deduce
quattro motivi di doglianza, coi quali lamenta:
– violazione di legge in relazione all’art. 7 legge n. 203 del 1991, sotto entrambi i
profili in cui l’aggravante era stata ritenuta dalla sentenza impugnata; il ricorso
censura la tecnica di redazione della sentenza d’appello per relationem alla
motivazione del GUP, così da vanificare la funzione del doppio grado di
giurisdizione di merito; contesta la valorizzazione delle modalità del fatto, del
contesto socio-ambientale in cui si collocava e delle dichiarazioni collaborative
del Vitagliano agli effetti dell’integrazione dell’aggravante censurata, e censura
l’omessa verifica della ricorrenza del necessario elemento psicologico, diretto
specificamente ad agevolare la societas sceleris;
– violazione di legge in relazione all’art. 99 cod. pen. e mancanza di motivazione,
con riguardo all’omessa esclusione dell’aumento di pena per la recidiva, che era
stato applicato dalla Corte di merito sulla scorta del mero riscontro formale
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dell’esistenza di precedenti penali a carico degli imputati, senza valutarne
l’effetto sintomatico di maggiore riprovevolezza e pericolosità del reo;
– vizio di motivazione con riguardo alla richiesta di assorbimento della condotta
di detenzione in quella di porto delle armi, censurando l’incongruità della
motivazione della sentenza impugnata sul punto, nonchè l’omessa
considerazione della ricorrenza di un’ipotesi di concorso apparente di norme;
– violazione di legge, in relazione all’art. 62 bis cod. pen., con riguardo al diniego
delle attenuanti generiche, fondato esclusivamente sulla gravità dei fatti, senza
considerare la condotta processuale degli imputati e i loro precedenti penali.

2.2. Il ricorso proposto dall’avv. Ercolino nell’interesse dei suoi assistiti deduce
due motivi di doglianza, coi quali lamenta vizio di motivazione con riguardo alla
ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 7 legge n. 203 del 1991,
nonchè violazione di legge in relazione al diniego delle attenuanti generiche, con
argomentazioni sovrapponibili a quelle articolate nei corrispondenti motivi di
ricorso dell’avv. Ricciulli.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi sono complessivamente infondati, e devono essere rigettati.
2 E’ anzitutto infondato il primo dei motivi di ricorso dell’avv. Ricciulli e dell’avv.
Ercolino, che possono essere esaminati congiuntamente stante la comunanza
delle doglianze e delle argomentazioni che le sorreggono, dirette in entrambi i
casi a censurare la ritenuta sussistenza dell’aggravante ex art. 7 legge n. 203 del
1991 nei reati ascritti agli imputati.
La sentenza impugnata non si è limitata, al fine di rigettare i motivi d’appello
degli imputati, a un mero richiamo per relationem delle motivazione della
sentenza di primo grado, come lamentato nel ricorso dell’avv. Ricciulli, ma ha
proceduto a un’autonoma ricognizione della sussistenza dei presupposti della
circostanza aggravante, con riguardo a entrambi i profili contestati in rubrica
dell’oggettivo metodo e connotazione mafiosa della condotta e della finalità di
agevolare, con essa, l’attività di controllo del territorio esercitata dal cartello
camorristico facente capo ai clan Vinella-Grassi, Marino e Leonardi, valorizzando
– con argomentazioni congrue, coerenti e immuni da vizi logico-giuridici, che si
sottraggono perciò a censura in sede di legittimità – sia gli elementi oggettivi
fatti palesi dalle stesse modalità e circostanze di manifestazione esterna della
condotta, sia le dichiarazioni collaborative rese al riguardo dal coimputato
Vitagliano Fabio, che hanno trovato puntuale riscontro ex art. 192 comma 3 del
codice di rito proprio nelle menzionate evidenze di fatto.
L’operazione di pattugliamento armato posta in essere dai ricorrenti in occasione
dell’accertamento dei reati per cui si procede, in orario notturno e in un territorio
ad alta densità criminale, procedendo incolonnati in guisa di commando munito
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di una pluralità di armi da sparo cariche e pronte all’uso, a bordo di due
autovetture precedute da altrettanti scooter di grossa cilindrata, condotti da
soggetti a loro volta armati di pistola, addirittura ostentata da uno dei
passeggeri, è stata puntualmente ritenuta coerente al metodo mafioso di
affermazione e imposizione di un predominio criminale sul territorio, avvalendosi
della forza di intimidazione derivante dalla disponibilità di armi da fuoco e dalla
capacità di rappresentarsi come un gruppo organizzato in grado di controllare la
zona presidiata, in contrapposizione ai clan rivali; mentre la finalità camorristica

ulteriore conferma nelle dichiarazioni collaborative di uno dei compartecipi
dell’azione (Vitagliano Fabio).
La Corte territoriale ha dunque fatto corretta applicazione dei principi, affermati
da questa Corte di legittimità, secondo cui, da un lato, per l’integrazione del
metodo mafioso, richiesto per la sussistenza dell’aggravante, è sufficiente che la
condotta si estrinsechi in forme idonee a richiamare alla mente e alla sensibilità
dei potenziali soggetti passivi la forza intimidatrice, tipicamente mafiosa, della
forza del gruppo e del vincolo associativo (Sez. 2 n. 16053 del 25/03/2015, Rv.
263525); e, dall’altro, per la sussistenza della finalità agevolativa, basta la
dimostrazione dello scopo di contribuire all’attività di un’associazione operante in
un contesto di matrice mafiosa, in una logica di contrapposizione tra gruppi
ispirati da finalità di controllo del territorio con le modalità tipiche dell’art. 416
bis cod. pen., anche a prescindere dalla prova dell’effettiva esistenza di una
precisa compagine camorristica di riferimento (Sez. 2 n. 17879 del 13/03/2014,
Rv. 260007), dimostrazione che i giudici di merito hanno univocamente tratto
dalla convergenza delle modalità dell’azione e delle propalazioni del Vitagliano.
3. Anche il secondo motivo del ricorso dell’avv. Rícciulli è infondato.
Questa Corte ha affermato il principio che il rigetto della richiesta di esclusione
della recidiva, pur richiedendo l’assolvimento di un onere motivazionale, non
impone al giudice un obbligo di motivazione espressa, ben potendo quest’ultima
essere anche implicita (Sez. 2 n. 39743 del 17/09/2015, Rv. 264533).
Nel caso di specie, i giudici di merito hanno fatto legittimo e insindacabile
esercizio del potere discrezionale di ritenere sussistente la recidiva contestata ai
ricorrenti, applicando il conseguente aumento di pena, sulla scorta del richiamo
esplicito dei loro precedenti specifici, integrato dal giudizio di spiccata attitudine
e pericolosità criminale complessivamente emergente, oltre che dalle stesse
caratteristiche del tipo di recidiva in concreto ascritta (reiterata per Di Fiore;
reiterata, specifica e infraquinquennale per Minichini), dalle modalità di
commissione dei reati, di per sé significative dello strutturale inserimento degli
imputati in ambienti di elevato spessore criminale e di proclività a delinquere.

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dell’azione, già emergente dalle descritte connotazioni fattuali, ha trovato

4. Il terzo motivo del ricorso dell’avv. Ricciulli è inammissibile.
Questa Corte ha affermato il principio per cui, in tema di reati concernenti
le armi, il delitto di porto illegale assorbe per continenza quello di detenzione,
escludendone il concorso materiale, solo quando la detenzione dell’arma inizi
contestualmente al porto della medesima in luogo pubblico o aperto al pubblico e
sussista altresì la prova che l’arma non sia stata in precedenza detenuta; con la
precisazione che, in mancanza di alcuna specificazione da parte dell’imputato
circa la contemporaneità delle due condotte, il giudice di merito non è tenuto a

anteriorità della detenzione rispetto al porto (Sez. 6 n. 46778 del 9/07/2015, Rv.
265489; Sez. 1 n. 18410 del 9/04/2013, Rv. 255687): corrisponde, infatti, all’id
quod plerumque accidit che l’agente prima acquisti la disponibilità dell’arma,
iniziando a detenerla, e poi, in relazione a situazioni sopravvenute, la porti con
sé, così da rendere del tutto residuale l’ipotesi che il porto coincida con l’inizio
della detenzione.
Il ricorso omette completamente di confrontarsi con tale principio, limitandosi
genericamente a invocare l’assorbimento della condotta di detenzione in quella di
porto sul presupposto, solo assertivo, della ricorrenza di un’ipotesi di concorso
apparente di norme, così da risultare ex se manifestamente infondato, a
prescindere dalla perspicuità della motivazione della sentenza impugnata sulla
mancata applicazione, in concreto, della continuazione tra le due fattispecie (che,
tra l’altro, appare idonea a privare i ricorrenti di un interesse all’impugnazione).
5. Inammissibili sono anche i residui motivi di ricorso dell’avv. Ricciulli e dell’avv.
Ercolino che censurano il diniego delle attenuanti generiche.
La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione del principio, consolidato
nella giurisprudenza dì questa Corte, secondo cui il giudice di merito può limitarsi
a prendere in esame – tra gli elementi indicati nell’art. 133 cod. pen. – quello o
quelli che ritenga prevalenti al fine di negare il beneficio di cui all’art. 62 bis cod.
pen. (Sez. 2 n. 3609 del 18/01/2011, Rv. 249163; Sez. 6 n. 42688 del
24/09/2008, Rv. 242419), e che sono stati puntualmente individuati dalla Corte
territoriale nella gravità dei fatti, di rilevante allarme sociale, e nella idoneità
della contestuale detenzione di un consistente numero di armi da fuoco, anche
clandestine, e delle modalità concrete della condotta di pattugliamento armato,
in orario notturno, del territorio a rivelare l’inserimento dei ricorrenti in circuiti di
alta caratura criminale e la loro negativa personalità.
Il diniego delle attenuanti generiche ha costituito perciò esplicazione di un tipico
giudizio di fatto, di spettanza esclusiva del giudice di merito, che, in quanto
sorretto da una congrua motivazione, non è scalfito dalle argomentazioni intese
a valorizzare altri e diversi elementi di fatto (come la condotta processuale degli
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effettuare verifiche sul punto, potendo attenersi al criterio logico della normale

imputati), e non è sindacabile dalla Corte di cassazione.
6. Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle
spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 22/03/2016

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