Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29250 del 22/03/2016


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 1 Num. 29250 Anno 2016
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: SANDRINI ENRICO GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
STEFANOVIC ALEKSANDAR N. IL 16/06/1989
avverso la sentenza n. 19/2010 CORTE ASSISE APPELLO di
VENEZIA, del 21/11/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 22/03/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ENRICO GIUSEPPE SANDRINI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. h A fu o F- AT ce ck,
che ha concluso per ZA.

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv. S hi (1,4 Pok Se, ni
(0 140,

Z1/4-0 Jr,

Data Udienza: 22/03/2016

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 21.11.2014 la Corte d’assise d’appello di Venezia, in
parziale riforma della sentenza pronunciata 1’11.02.2010 dalla Corte d’assise di
Padova, ha rideterminato in anni 24 mesi 8 di reclusione la pena inflitta a
Stefanovic Aleksandar per i delitti, unificati in continuazione, di rapina aggravata
e omicidio a scopo di rapina di Cusin Giuseppe, commessi il 2.09.2007 in
concorso con Todorovic Dejan (separatamente giudicato), attingendo la vittima
alla parte superiore del corpo e principalmente al collo con un coltello, al fine di
impossessarsi della somma di 6.000 euro sottratta alla vittima; e ha dichiarato

estinta per prescrizione la contravvenzione di cui all’art. 4 comma 3 legge n. 110
del 1975 relativa al porto ingiustificato del coltello utilizzato per uccidere il Cusin.
La sentenza d’appello dava atto che i coimputati avevano ammesso entrambi di
aver presenziato all’omicidio, commesso in orario notturno nel parco delle farfalle
di Padova, nel contesto di un incontro con la vittima finalizzato all’acquisto di
stupefacenti; lo Stefanovic aveva attribuito la responsabilità esclusiva del delitto
al Todorovic (allegando anzi di essere intervenuto in difesa della vittima), mentre
quest’ultimo aveva indicato nello Stefanovic l’aggressore del Cusin, al quale egli
si era unito colpendo a sua volta la vittima con alcune coltellate.
La Corte di secondo grado riportava le versioni dei due coimputati e attribuiva
credibilità a quelle del Todorovic, valorizzandone la chiamata in correità con
riguardo alla credibilità soggettiva del propalante, privo di ragioni di inimicizia
con l’imputato e che si era costituito volontariamente dimostrando resipiscenza e
ammettendo la propria responsabilità, nonché all’attendibilità intrinseca delle sue
propalazioni, che a partire dal secondo interrogatorio del 19.09.2007 erano
risultate coerenti e, secondo l’assunto dello stesso dichiarante, veritiere (rispetto
a quelle originarie del 4.09.2007, in cui il Todorovic si era limitato ad accusare lo
Stefanovic) e ricche di particolari; rilevava la natura congetturale attribuita dalla
difesa all’esistenza di un debito del dichiarante verso il Cusin come causa del
litigio insorto tra i due soggetti, non avendo l’imputato mai allegato l’esistenza di
una discussione correlata a un credito della vittima; valorizzava la difficile
condizione psicologica in cui versava il chiamante a spiegazione delle sue iniziali
dichiarazioni autoassolventi, ritenute perciò non sintomatiche di mendacio.
In particolare, Todorovic aveva dichiarato di aver concordato col Cusin un
incontro la sera del delitto per acquistare due kg di hashish procurati dal
chiamante o da altro soggetto di sua conoscenza; di essersi quindi incontrato con
la vittima nella propria abitazione, dove i due avevano contato il denaro
necessario all’acquisto dello stupefacente; dopo una prima uscita seguita dal
rientro nell’abitazione, i due erano nuovamente usciti per incontrare uno
spacciatore tunisino, accompagnati dallo Stefanovic; non essendosi concretizzato
1

(tr)

l’acquisto, l’imputato si era dichiarato in grado di contattare altro spacciatore,
rientrando a casa sua, mentre il Cusin e il Todorovic si erano recati a prelevare il
denaro a casa di quest’ultimo, ritornando quindi al parco delle farfalle.
La Corte di secondo grado attribuiva scarso rilievo alle discrasie rilevate dalla
difesa nell’esatta successione degli eventi riferita dal dichiarante, in quanto
vertenti su particolari marginali o non contestati al Todorovic nel corso
dell’esame dibattimentale.
Quanto ai riscontri che confermavano l’attendibilità del racconto del chiamante,

struttura complessiva del narrato del Todorovic; che gli antefatti dell’aggressione
erano stati confermati dagli amici della vittima; che i fatti successivi .al delitto
erano stati confermati dai genitori del Todorovic e da colui che aveva
accompagnato all’estero l’imputato, nonché dalle risultanze della consulenza
medico legale sulla compatibilità delle lesioni riportate dal Cusin con la dinamica
descritta dal propalante; in particolare, il prof. Montisci aveva escluso che la
vittima fosse stata aggredita contestualmente da due persone, precisando che
ciò tuttavia non escludeva che il Cusin potesse essere stato assalito in momenti
successivi da due persone, una dopo l’altra, come riferito dal Todorovic, secondo
una circostanza confermata dalle plurime lesioni riscontrate; il consulente aveva
ritenuto congrua alla tipologia delle lesioni la differenza di altezza esistente tra la
vittima e l’imputato e aveva confermato che il Cusin era stato bloccato e colpito
da tergo, venendo attinto da due coltellate letali al collo, inferte una da destra e
una da sinistra, che avevano reciso la carotide e la vena giugulare.
Quanto alle dichiarazioni della madre del Todorovic, che aveva riferito di aver
visto il figlio insieme all’imputato subito dopo il fatto, notando che il primo era
ferito alle mani, si era cambiato e lavato, mentre il secondo non sembrava ferito
né sporco di sangue, la Corte di secondo grado riteneva che le reali condizioni
dello Stefanovic potevano essere sfuggite alla teste, sia perché maggiormente
interessata alle condizioni del figlio, sia perché la presenza di macchie di sangue
poteva non essere stata notata sui vestiti di colore scuro che l’imputato poteva
inoltre aver nel frattempo cambiato.
La sentenza impugnata valorizzava infine la condotta dell’imputato successiva al
delitto, consistita nel darsi alla fuga e nel riferire circostanze false, come quella
di essere stato attinto da una coltellata inferta dal Todorovic.
2. Ricorre per cassazione Stefanovic Aleksandar, a mezzo del difensore,
deducendo tre motivi di doglianza.
2.1. Col primo motivo il ricorrente lamenta violazione di legge, in relazione agli
artt. 125 comma 3, 192 commi 1 e 3, 533 comma 1, 546 comma 1 lett. e) del
codice di rito, nonché vizio della motivazione della sentenza impugnata.
2

la sentenza d’appello valorizzava il fatto che l’imputato non aveva contestato la

Il ricorso deduce l’omessa valutazione delle risultanze processuali favorevoli alla
difesa, con particolare riguardo all’immotivata attendibilità riconosciuta alla
chiamata in correità operata dal Todorovic e alla ricostruzione dei fatti dallo
stesso operata, nonostante l’incostanza delle dichiarazioni accusatorie, che il
propalante aveva adattato in modo progressivo al ruolo sostanzialmente
esclusivo nell’esecuzione dell’omicidio da lui attribuito al ricorrente; censura la
motivazione alternativa – rispetto alla ragione indicata dal correo a giustificazione
del mutamento del proprio narrato, consistente nel timore di ritorsioni da parte
dei familiari dello Stefanovic – utilizzata dalla Corte territoriale sulla scorta

dell’argomento rappresentato dalla difficile condizione psicologica in cui si
sarebbe trovato il Todorovic, mai allegata dal dichiarante, arbitraria e priva di
fondamento probatorio; censura l’omessa considerazione del credito vantato dal
fratello del Todorovic nei confronti della vittima come fatto idoneo a costituire il
movente dell’aggressione, riscontrato dalla telefonata (registrata dai tabulati)
effettuata la sera del delitto da Todorovic Dusan al Cusin, e falsamente negata
dal propalante, che aveva escluso il coinvolgimento del congiunto nella vicenda;
rileva che la progressiva costruzione dell’accusa a carico dell’imputato trovava
conferma nell’attribuzione solo in un secondo momento allo Stefanovic della
conoscenza che al momento dell’incontro il Cusin era in possesso di una somma
di denaro.
Il ricorrente deduce altresì la mancanza di elementi esterni idonei a riscontrare il
racconto del Todorovic; rileva che anche la dinamica dell’aggressione ricostruita
dal consulente del pubblico ministero, secondo cui una sola persona aveva
colpito il Cusin da tergo, attingendolo ripetutamente alle parti alte del corpo,
risultava incompatibile con la versione del Todorovic, in forza della quale mentre
l’imputato procurava alla vittima le lesioni letali al collo il dichiarante aveva a sua
volta colpito il Cusin al fianco; in particolare, il consulente aveva ritenuto
altamente improbabile la dinamica riferita dal Todorovic, così da non superare il
ragionevole dubbio sulla colpevolezza dell’imputato, a fronte di una dinamica
solo possibile descritta dal chiamante; deduce pertanto l’idoneità di una
ricostruzione alternativa, compatibile con quella difensiva, a scardinare la
valenza probatoria attribuita al racconto del Todorovic.
Quanto all’assenza di macchie di sangue sulla maglia indossata dallo Stefanovic,
riferita dalla madre del Todorovic, che aveva visto il figlio insieme all’imputato
subito dopo il delitto (indicando che solo il figlio era sporco di sangue), il
ricorrente evidenzia l’incompatibilità della relativa circostanza con la dinamica
dell’aggressione descritta dal propalante; deduce la natura fantasiosa
dell’argomento secondo cui le macchie di sangue non sarebbero visibili su un
capo di abbigliamento di colore scuro, introducendo una giustificazione che non

3

G-j-3

era stata allegata dal propalante; contesta la rilevanza, come riscontro esterno
delle dichiarazioni accusatorie, della presenza dell’imputato sul luogo del delitto,
così come della sua fuga successiva, spiegabile col timore di essere accusato del
delitto perchè visto dai familiari del Todorovic insieme a questi, che era
imbrattato del sangue della vittima.
2.2. Col secondo motivo, il ricorrente deduce violazione di legge e vizio della
motivazione in relazione all’art. 116 cod. pen., censurando le argomentazioni con
cui la sentenza impugnata aveva escluso l’ipotesi di un concorso anomalo
dell’imputato nell’omicidio, omettendo di considerare che lo Stefanovic potrebbe

essere intervenuto nella lite tra il Todorovic e il Cusin, a sostegno del primo.
2.3. Col terzo motivo, il ricorrente deduce violazione di legge e vizio della
motivazione in relazione agli artt. 69 e 133 cod. pen., lamentando la misura
eccessiva e immotivata della pena base irrogata in misura superiore al minimo
edittale, nonché degli aumenti applicati per la continuazione, nonostante
l’incensuratezza dell’imputato; contesta l’omesso giudizio di prevalenza della
attenuanti generiche, frutto di formula di stile.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è complessivamente infondato e deve essere rigettato, per le ragioni
che seguono.
2. Il primo motivo di ricorso, che censura la valenza probatoria attribuita dalla
sentenza impugnata alla chiamata in correità operata dal coimputato Todorovic
Dejan a carico dell’imputato, è infondato fino a rasentare l’inammissibilità.
La Corte territoriale non è incorsa in alcuna violazione di legge nell’applicazione
dei criteri di valutazione delle dichiarazioni accusatorie del Todorovic, avendo
proceduto alla loro validazione probatoria nei modi stabiliti dall’art. 192 comma 3
del codice di rito, seguendo l’ordine corretto indicato dalla giurisprudenza
consolidata di questa Corte, che postula in primo luogo la verifica della credibilità
soggettiva del dichiarante (in relazione alla sua personalità, alle condizioni socioeconomiche e familiari, al suo passato, ai rapporti con l’accusato, nonchè alle
ragioni che lo hanno indotto a confessare e accusare il complice) e quella
dell’attendibilità intrinseca delle sue dichiarazioni, valutandone la consistenza e
le caratteristiche con riguardo alla spontaneità e autonomia, alla precisione e
alla completezza dei fatti narrati, alla coerenza e costanza; e, quindi, la verifica
dell’esistenza di riscontri esterni di natura individualizzante che ne confermino
l’attendibilità (ex plurimis, Sez. Un. n. 20804 del 29.11.2012, Aquilina; Sez. 2 n.
21171 del 7/05/2013, Rv. 255553).
La credibilità soggettiva del Todorovic, la genuinità e l’attendibilità riconosciuta
alle sue propalazioni auto ed etero accusatorie a partire dall’interrogatorio del
19.09.2007, sono state ampiamente scandagliate dalla sentenza impugnata – •
4

(f.5

anche ponendole a confronto con le dichiarazioni autoassolventi e giudicate,
invece, inaffidabili dello Stefanovic – con argomentazioni puntuali, dettagliate ed
esaustive, munite di adeguato rigore logico, che si saldano a quelle della
sentenza di primo grado concorrendo a formare con esse un unitario e
complessivo corpo motivazionale (Sez. 3 n. 44418 del 16/07/2013, Rv. 257595;
Sez. 2, n. 5606 del 10/01/2007, Rv. 236181).
In particolare, la sentenza d’appello ha valorizzato, in termini congrui e coerenti,
l’assenza di ragioni di inimicizia del Todorovic nei confronti dell’imputato, la

ammesso di aver accoltellato a sua volta la vittima al fianco, a supporto
dell’azione omicida dello Stefanovic), la resipiscenza dimostrata mediante la
costituzione volontaria dopo la fuga all’estero, la natura particolareggiata del
racconto, l’indicazione della causale del delitto nello scopo di rapina sollecitato
dal possesso di una rilevante somma di denaro (nell’ordine di 6.000 euro) da
parte della vittima destinata all’acquisto di una partita di stupefacente.
Anche le argomentazioni con cui la Corte territoriale ha spiegato le ragioni del
mutato atteggiamento del Todorovic rispetto alle sue dichiarazioni originarie del
4.09.2007, nelle quali si era limitato esclusivamente ad accusare il correo, dando
rilievo alla difficile condizione psicologica in cui doveva inizialmente versare un
giovane di neanche vent’anni nei giorni immediatamente seguenti al suo
coinvolgimento in un efferato omicidio (commesso il 2.09.2007), e valorizzando secondo una massima di comune, elementare e condivisibile esperienza – la
maggiore affidabilità, in termini di genuinità del racconto, che doveva attribuirsi
invece alla contestuale ammissione di responsabilità contenuta nelle dichiarazioni
successive del 19.09.2007, rispondono a criteri logici, coerenti a un ragionato
esercizio del libero convincimento del giudice nella valutazione della prova, che
non è sindacabile dalla Corte di legittimità.
La sentenza impugnata ha evidenziato l’inconferenza dell’esistenza (eventuale)
di un rapporto pregresso di credito-debito tra la vittima e il fratello (Dusan) del
Todorovic a supportare un diverso movente e una differente dinamica causale
dell’omicidio del Cusin, sotto il profilo assorbente che nemmeno l’imputato aveva
mai allegato un coinvolgimento di Todorovic Dusan nel delitto o una qualsiasi
interferenza dei precedenti rapporti creditori tra le parti nella genesi e nella
dinamica dell’omicidio: sul punto, la riproposizione nel ricorso del relativo
argomento come idoneo a supportare una ricostruzione alternativa del fatto si
risolve in una generica censura di merito, che, in quanto omette di confrontarsi
con la puntuale risposta della Corte territoriale, non supera la soglia
dell’ammissibilità (Sez. 2, n. 36406 del 27/06/2012, Rv. 253893, secondo cui la
natura aspecifica della doglianza, che discende dall’assenza di correlazione tra le
5

confessione della propria corresponsabilità nel delitto (avendo il propalante

ragioni argomentative della decisione gravata e quelle poste a fondamento
dell’impugnazione, integra una causa tipica di inammissibilità del ricorso per
cassazione).
La sentenza d’appello ha quindi dato atto, in modo adeguato e coerente, degli
elementi di riscontro esterno che ha ritenuto idonei a confermare l’attendibilità
delle dichiarazioni accusatorie del Todorovic, a partire dal dato, incontroverso e
affermato dallo stesso imputato, della presenza dello Stefanovic all’omicidio nel
medesimo contesto spaziotemporale della sua esecuzione, nonché della condotta

In particolare, le argomentazioni con cui la Corte territoriale ha giudicato la
dinamica dell’aggressione omicida portata alla vittima dallo Stefanovic descritta
dal Todorovic, secondo cui l’imputato aveva assalito il Cusin alle spalle
tagliandogli la gola con un coltello, coerente alle risultanze della consulenza
medico-legale che aveva riscontrato la presenza di due lesioni letali al collo della
vittima, inferte da tergo con una lama di coltello – che aveva reciso la carotide e
la vena giugulare – impugnata da un unico aggressore di altezza compatibile con
quella dell’imputato, non sono scalfite dalle deduzioni del ricorrente sulla pretesa
inconciliabilità di tale dinamica con la partecipazione del Todorovic all’omicidio,
avendo la sentenza dato atto che il consulente non aveva escluso la possibilità
che il Cusin fosse stato subito dopo colpito (al fianco) da un secondo aggressore,
in conformità al racconto del propalante, ma aveva escluso soltanto il concorso
contestuale di due persone nell’accoltellamento al collo della vittima.
La sentenza impugnata ha fornito una risposta adeguata anche all’argomento
difensivo basato sulle dichiarazioni della madre del Todorovic secondo cui, nel
momento in cui ella vide i coimputati dopo il ritorno a casa, lo Stefanovic, a
differenza del figlio, non appariva ferito o sporco di sangue, ritenendole inidonee
a contraddire il racconto del chiamante, sia perché l’imputato poteva essersi già
cambiato (indossando una maglietta pulita prestatagli dal Todorovic, così come
da questi riferito: pagina 6 della sentenza di primo grado), sia perché la teste,
maggiormente interessata alle condizioni del figlio (che portava su di sé le tracce
del delitto al quale aveva appena preso parte), poteva non aver notato la
presenza di macchie di sangue su vestiti di colore scuro: il fatto, lamentato dal
ricorrente, che quest’ultima osservazione costituisca frutto di un’autonoma
considerazione del giudicante, non basata su una giustificazione introdotta dalla
teste, non può valere a connotarla di arbitrarietà o intrinseca illogicità, non
essendo certamente precluso al giudice di merito, nella sua attività intellettuale
di doverosa verifica (dandone conto nella motivazione) dell’affidabilità delle
dichiarazioni testimoniali, il ricorso a una massima di esperienza come quella da
lui utilizzata (Sez. 3 n. 46451 del 7/10/2009, Rv. 245611, sulla legittimità, in viap
6

successiva del ricorrente, fuggito immediatamente all’estero e resosi latitante.

di principio, del ricorso del giudice a massime di esperienza nella interpretazione
e valutazione delle dichiarazioni testimoniali).
La motivazione che supporta l’efficacia probatoria riconosciuta alla chiamata in
correità operata dal Todorovic resiste, dunque, alle censure del ricorrente, e
l’affermazione di colpevolezza dell’imputato, fondata sulle risultanze della ridetta
prova dichiarativa, non è sindacabile da questa Corte: l’attività di interpretazione
e di valutazione della prova compete, infatti, in via esclusiva al giudice di merito,
e il relativo risultato non è ulteriormente sindacabile dalla Corte di cassazione,

verificata – di un congruo apparato motivazionale che dia conto che gli elementi
di prova posti a base della decisione siano stati valutati seguendo le regole della
logica e secondo linee argomentative adeguate, che rendano giustificate sul
piano della consequenzialità le conclusioni tratte (Sez. Un. n. 47289 del
24/09/2003, Rv. 226074, Petrella).
In particolare, come già affermato da questa Corte Suprema con orientamento al
quale deve essere data continuità (Sez. 1 n. 53512 dell’11/07/2014, Rv.
261600; Sez. 5 n. 10411 del 28/01/2013, Rv. 254579), il principio secondo cui,
per pronunciare sentenza di condanna, la colpevolezza dell’imputato deve
risultare “al di là di ogni ragionevole dubbio” non può essere utilizzato nel
giudizio di legittimità per valorizzare e rendere decisiva la possibilità di una
ricostruzione alternativa del fatto prospettata dall’imputato (che ha indicato nel
Todorovic l’autore esclusivo dell’omicidio) nel giudizio di merito e coltivata dalla
difesa, se tale lettura alternativa abbia costituito oggetto di puntuale e motivata
disamina da parte del giudice d’appello e sia stata da questi esclusa con
argomentazioni adeguate e coerenti.
La regola di giudizio alla quale deve sottostare il giudice di merito, che è stata
codificata nell’art. 533 comma 1 cod.proc.pen. dalla novella di cui alla legge n.
46 del 2006, non ha mutato, invero, la natura del sindacato demandato alla
Corte di cassazione sulla motivazione della sentenza, non avendo introdotto
un’ulteriore tipologia di violazione di legge denunciabile in sede di legittimità fino a legittimare, di fatto, un rinnovato esame del merito della decisione
impugnata – ma si pone come un criterio generale alla cui stregua valutare la
consistenza e la tenuta logica delle affermazioni probatorie contenute nella
sentenza di merito, la cui inosservanza è destinata a tradursi in un vizio di
apparenza o illogicità manifesta della motivazione, che nella fattispecie è stato
puntualmente escluso.
3. Il secondo motivo di ricorso è basato su argomentazioni generiche e
congetturali, che lo rendono inammissibile (Sez. 6 n. 32227 del 16/07/2010, Rv.
248037, che ha ritenuto inammissibile, per difetto di specificità, il ricorso perb i3
7

che deve limitarsi al riscontro dell’esistenza – nella fattispecie positivamente

cassazione prospettante vizi enunciati in forma perplessa o alternativa).
La doglianza relativa al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 116
cod. pen. è stata argomentata dal ricorrente in termini dichiaratamente ipotetici,
secondo cui non sarebbe possibile escludere che l’imputato fosse intervenuto in
aiuto del Todorovic nel contesto di una lite in corso tra quest’ultimo e la vittima.
Premesso che tale (ipotetica) circostanza, anche se dimostrata, non varrebbe di
per sé a integrare i presupposti dell’attenuante invocata, la veste di autore
materiale e diretto dell’omicidio del Cusin, che la sentenza impugnata ha

incompatibile con l’ipotesi di un concorso anomalo dello Stefanovic nel reato (più
grave rispetto alla rapina) voluto da altri, frutto di una mera congettura la cui
intrinseca inconciliabilità con la ricostruzione del fatto operata dai giudici di
merito è tale da nemmeno esigere una particolare risposta motivazionale.
4. Il terzo motivo di ricorso è parimenti inammissibile.
In tema di controllo demandato alla Corte di cassazione sul giudizio di
comparazione tra aggravanti e attenuanti effettuato nella sentenza impugnata,
questa Corte ha affermato il principio che la relativa statuizione, implicando una
valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, è censurabile in sede di
legittimità soltanto nell’ipotesi in cui risulti frutto di mero arbitrio o di un
ragionamento illogico, mentre la soluzione dell’equivalenza non è sindacabile
allorché risulti sufficientemente motivata con riguardo alla sua idoneità a
realizzare l’adeguatezza della pena in concreto irrogata all’imputato (Sez. Un. n.
10713 del 25/02/2010, Rv. 245931; Sez. 5 n. 5579 del 26/09/2013, Rv.
258874; Sez. 6 n. 6866 del 25/11/2009, Rv. 246134).
Nel caso di specie, il bilanciamento in termini di equivalenza delle attenuanti
generiche con l’aggravante del nesso teleologico è stato congruamente, e perciò
insindacabilmente, argomentato dalla sentenza impugnata, ritenendo ostativo a
un giudizio di prevalenza delle prime sulla seconda la particolare rilevanza
sanzionatoria dell’aggravante ex art. 576 primo comma n. 1 cod. pen. (tale da
comportare, in caso di mancata elisione ex art. 69 cod. pen., l’irrogazione della
pena dell’ergastolo) e la negativa personalità dello Stefanovic, alieno da segnali
di resipiscenza.
Le residue doglianze sulla misura della pena si esauriscono in una censura di
merito, diretta a sollecitare un’inammissibile riformulazione di un tipico giudizio
di fatto rimesso alla discrezionalità del giudice di merito, che è stata
motivatamente esercitata, anche per quanto riguarda la determinazione
dell’aumento di pena per il reato satellite di rapina aggravata, con riferimento
all’obiettiva gravità dei fatti, all’intensità del dolo e alla freddezza dimostrata
subito dopo l’omicidio dall’imputato, resosi immediatamente latitante.

8

p

attribuito all’imputato secondo la condotta sopra descritta, risulta palesemente

5. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 22/03/2016

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA