Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2925 del 03/12/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 5 Num. 2925 Anno 2014
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: CAPUTO ANGELO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MONTELEONE DOMENICO N. IL 24/02/1946
avverso la sentenza n. 199/2013 TRIBUNALE di TREVISO, del
05/03/2013
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANGELO CAPUTO;
lette/

Data Udienza: 03/12/2013

Letta la requisitoria in data 27/07/2013 del Sostituto Procuratore generale
della Repubblica presso questa Corte di cassazione dott. Vincenzo Geraci, che ha
concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata limitatamente
alle pene accessorie applicate e per l’inammissibilità nel resto del ricorso.

RITENUTO IN FATI-0

1. Con sentenza del 05/03/2013, il Tribunale di Treviso ha applicato a

ministero. All’imputato sono stati contestati i reati di cui agli artt. 216, comma 1,
n. 2, e 223 R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (in Treviso, il 22/07/2010: capo A),
all’art. 10 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (accertato in Treviso il 10/09/2012: capo
B), agli artt. 216, comma 1, n. 2, e 223 R.D. 16 marzo 1942, n. 267 (in Treviso,
il 08/09/2010: capo C) e all’art. 10 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 (accertato in
Treviso il 10/09/2012: capo D). Il Tribunale di Treviso ha applicato la pena di
quattro anni di reclusione – determinata ritenendo la pena di tre anni di
reclusione come pena base per quello più grave, aumentata a cinque anni di
reclusione per la recidiva e a sei anni di reclusione per la continuazione, con la
riduzione per il rito – e ha condannato l’imputato al pagamento delle spese
processuali e di custodia cautelare, applicando nei suoi confronti le pene
accessorie di cui all’ultimo comma dell’art. 216 I. fall. e all’art. 12 del d. Igs. n.
74 del 2000 e «determinando la durata di quelle temporanee nel massimo
edittale e comunque non superiore all’entità della pena inflitta».

2.

Avverso la sentenza indicata ha proposto ricorso per cassazione,

nell’interesse di Domenico Monteleone, l’avv. Simona Carolo, articolando tre
motivi di doglianza di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173, comma 1,
disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, con
riferimento all’art. 546, comma 1, lett. e), cod. proc. pen. Il Tribunale di Treviso
ha omesso di indicare i motivi di fatto e di diritto posti a fondamento della
sentenza di condanna.
2.2. Inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di nullità, con
riferimento all’art. 546, comma 1, lett. f), cod. proc. pen. Il dispositivo della
sentenza è in contrasto con la motivazione e/o incompleto, rendendo
incomprensibile la volontà del giudice. Mentre il dispositivo ha determinato la
durata delle pene accessorie temporanee nel massimo edittale e comunque non
superiore all’entità della pena inflitta, la motivazione indica la pena accessoria
dell’interdizione dai pubblici uffici per la durata di cinque anni, con implicito

2

Domenico Monteleone la pena dallo stesso richiesta in accordo con il pubblico

riferimento all’art. 29 cod. pen., laddove l’art. 12 del d. Igs. n. 74 del 2000
prescrive, per i soli reati tributari, l’interdizione dai pubblici uffici per una durata
compresa tra uno e tre anni. Si tratta di una vera e propria incompletezza del
dispositivo, che è causa di nullità della sentenza. In ogni caso, l’applicazione
della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici è erronea, sia qualora sia
stata individuata sulla base dell’art. 12 del d. Igs. n. 74 del 2000, sia qualora si
sia ritenuto di far riferimento all’art. 29 cod. pen.
2.3. Erronea applicazione delle sanzioni accessorie previste dall’art. 12 del d.

all’art. 12 del d. Igs. n. 74 del 2000 nella misura del massimo edittale e
comunque non superiore all’entità della pena inflitta: le pene accessorie, come si
evince anche dalla motivazione, sono state commisurate alla pena
complessivamente irrogata per i quattro reati ascritti in continuazione, il che
contrasto con l’art. 77 cod. pen.; le pene accessorie in questione dovevano
invece essere parametrate alla pena principale in concreto inflitta per i due reati
tributari, tenendo conto altresì del criterio condiviso dalla giurisprudenza
maggioritaria secondo cui, per l’irrogazione della pena accessoria, occorre tener
conto della diminuente per il rito. Anche in caso di adesione all’orientamento
minoritario in base al quale la pena accessoria prevista entro un minimo e un
massimo edittale deve essere determinata sulla base dei criteri di cui all’art. 133
cod. pen., la sentenza sarebbe affetta da un evidente vizio di motivazione in
ordine all’applicazione delle pene accessorie nella misura del massimo edittale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato limitatamente alle pene accessorie temporanee ex art.
12 d. Igs. n. 74 del 2000, dovendo essere, nel resto, rigettato.

2. Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Secondo il
consolidato orientamento di questa Corte, nella motivazione della sentenza di
applicazione della pena su richiesta delle parti, il giudizio negativo circa la
ricorrenza di una delle ipotesi di cui all’art. 129 cod. proc. pen. deve essere
accompagnato da una specifica motivazione soltanto nel caso in cui dagli atti o
dalle deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la possibile
applicazione di cause di non punibilità, dovendo, invece, ritenersi sufficiente, in
caso contrario, una motivazione consistente nell’enunciazione – anche implicita che è stata compiuta la verifica richiesta dalle leggi e che non ricorrono le
condizioni per la pronuncia di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. (Sez.
U, n. 10372 del 27/09/1995, dep. 18/10/1995, Serafino, Rv. 202270). La

3

Igs. n. 74 del 2000. La sentenza impugnata ha applicato le pene accessorie di cui

sentenza impugnata è in linea con i prescritti requisiti motivazionali, avendo
indicato, a sostegno dell’insussistenza delle condizioni per la pronuncia di
proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen., gli accertamenti svolti dal curatore
fallimentare e la documentazione acquisita.

3. Il secondo motivo di ricorso è infondato, nei termini di seguito specificati.
Premesso che la motivazione della sentenza impugnata fa riferimento
all’applicazione della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici per la

Igs. n. 74 del 2000, laddove, il dispositivo menziona solo queste ultime, deve
rilevarsi che gli elementi tratti dalla motivazione non risultano di pregnanza tale
da giustificare una deroga alla regola della prevalenza del dispositivo quale
immediata espressione della volontà decisoria del giudice (Sez. 5, n. 8363 del
17/01/2013, dep. 20/02/2013, Rimbano, Rv. 254820).
Alla luce di questi princìpi, nel caso di specie la statuizione relativa alle pene
accessorie deve ritenersi rinvenibile nel solo dispositivo, sicché, mentre nessuna
questione si presenta con riguardo alle pene accessorie di cui all’art. 216 u.c. I.
fall., il generico richiamo all’art. 12 del d. Igs. n. 74 del 2000 deve ritenersi non
idoneo a ricomprendere il riferimento all’interdizione dai pubblici uffici, posto
che, come rilevato dal ricorrente, il titolo di reato per il quale è intervenuta la
sentenza ex art. 444 cod. proc. pen. non rientra tra quelli previsti dal secondo
comma del citato art. 12. Di conseguenza, la statuizione relativa alle pene
accessorie di cui all’art. 12 del d. Igs. n. 74 del 2000 contenuta nel dispositivo
non comprende la pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici.

4. Il terzo motivo di ricorso è, invece, fondato.
Preliminarmente, deve rilevarsi che il motivo di ricorso ha ad oggetto
esclusivamente la statuizione relativa alla durata delle pene temporanee di cui
all’art. 12 del d. Igs. n. 74 del 2000: restano dunque escluse dal motivo sia
l’applicazione delle pene accessorie di cui all’art. 216, u.c. I. fall., facendo
espressamente riferimento il ricorrente all’erronea applicazione delle sanzioni
accessorie previste dall’art. 12 del d. Igs. n. 74 del 2000, sia le statuizioni
relative alle pene accessorie non temporanee previste dal citato art. 12.
L’esame del motivo deve muovere dall’interrogativo sulla riconducibilità della
disciplina delle pene accessorie temporanee di cui all’art. 12 del d. Igs. n. 74 del
2000 nella sfera applicativa dell’art. 37 cod. pen.: si tratta, in termini più
generali, di stabilire se nella nozione di pena accessoria di durata non
espressamente determinata rientrino o meno le ipotesi in cui la pena accessoria
è comminata attraverso la previsione di un limite minimo e di un limite massimo

4

durata di cinque anni «e» alle pene accessorie ex artt. 216, u.c., I. fall. e 12 d.

di durata, come appunto nel caso della disciplina di cui all’art. 12, comma 1, lett.
a), b) e c), d. Igs. n. 74 del 2000.
Il Collegio è consapevole che, al riguardo, si rinvengono nella giurisprudenza
di legittimità indirizzi diversi.
Si è infatti sostenuto, proprio con riferimento alle pene accessorie
temporanee di cui all’art. 12 del d. Igs. n. 74 del 2000, che agli effetti dell’art. 37
cod. pen., pena accessoria di durata espressamente determinata dalla legge è
anche quella per la quale la legge contempli un minimo ed un massimo

la concreta durata ricorrendo ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen. (Sez. 3, n.
25229 del 17/04/2008 – dep. 20/06/2008, Ravara, Rv. 240256; in senso
conforme: Sez. 3, n. 42889 del 15/10/2008 – dep. 18/11/2008, P.G. in proc. Di
Vincenzo, Rv. 241538).
Ritiene il Collegio di non poter aderire a tale indirizzo, ma di condividere
l’orientamento secondo cui rientra nella nozione di pena accessoria non
espressamente determinata dalla legge quella per la quale è previsto un minimo
ed un massimo, sicché, in tali casi, la durata della pena accessoria va
parametrata dal giudice a quella della pena principale inflitta (così, sempre in
una fattispecie relativa alle pene accessorie previste per i reati tributari dall’art.
12 d.lgs. n. 74 del 2000, Sez. 3, n. 41874 del 09/10/2008 – dep. 10/11/2008,
Azzani e altro, Rv. 241410).
Viene in rilievo, in tal senso, la considerazione che l’art. 37 cod. pen. detta
un criterio generale di applicazione delle pene accessorie, la cui durata – qualora
essa «non è espressamente determinata» – è legata a quella della pena
principale inflitta: il carattere generale della disciplina in esame trova conferma,
come si vedrà, nella regola sussidiaria stabilita dal secondo periodo dello stesso
art. 37 cod. pen., in forza della quale la durata della pena accessoria in nessun
caso può superare il limite minimo e quello massimo stabiliti per ciascuna specie
di essa.
La disciplina in esame deve essere applicata nel caso in cui la pena
accessoria sia comminata attraverso la previsione di un limite minimo “o” di un
limite massimo di durata: è il caso, ad esempio, della disciplina ex art. 217 I.
fall., a proposito della quale è consolidato l’orientamento secondo cui, in tema di
bancarotta semplice, le pene accessorie devono essere commisurate alla durata
della pena principale, in quanto, essendo determinate solo nel massimo, sono
soggette alla regola di cui all’art. 37 cod. pen., per il quale la loro durata è
uguale a quella della pena principale inflitta (così, in una fattispecie di bancarotta
semplice documentale, Sez. 5, n. 23606 del 16/02/2012 – dep. 14/06/2012,
Ciampini, Rv. 252960).

5

spettando in tali casi al giudice, nell’ambito di tale intervallo temporale, stabilirne

Ma l’ampia formulazione delle disposizioni in esame fa sì che l’art. 37 cod.
pen. trovi applicazione anche nel caso in cui la pena accessoria – come nella
disciplina ex art. 12 d. Igs. n. 74 del 2000 – sia comminata attraverso la
previsione di un limite minimo “e” di un limite massimo di durata: l’espresso
riferimento della regola sussidiaria delineata dal secondo periodo dell’art. 37 cod.
pen. al limite minimo “e” al limite massimo consente di rinvenire nel dato
normativo una conferma alla tesi dell’applicabilità del criterio generale
dell’equiparazione cronologica tra la durata della pena principale e quella della

previsione legale relativa alla pena accessoria stabilisca sia il minimo, sia il
massimo di durata della pena accessoria devono trovare applicazione il criterio
generale e la regola sussidiaria previsti dall’art. 37 cod. pen.
A questo proposito, un argomento ulteriore a sostegno della tesi condivisa
dal Collegio può trarsi dalla considerazione che l’interpretazione disattesa
comporterebbe una rilevante contrazione della sfera applicativa dell’art. 37 cod.
pen., che verrebbe sostanzialmente limitata alle ipotesi di pene accessorie
disciplinate in assenza di qualsiasi limite edittale nel minimo o nel massimo: ne
risulterebbe così svilita la fisionomia di criterio generale che si ricava dalla
collocazione sistematica della norma e dal tenore testuale della disposizione.
D’altra parte, la disciplina delle pene accessorie temporanee dettata dall’art. 12
del d. Igs. n. 74 del 2000 non presenta, rispetto alla comminatoria edittale delle
pene principali cui accede, profili che ne mettano in luce l’incompatibilità con la
regola generale sancita dall’art. 37 cod. pen.
Pertanto, le pene accessorie temporanee di cui all’art. 12 del d. Igs. n. 74
del 2000 devono ritenersi non espressamente determinate, quanto alla durata,
dalla legge, con conseguente applicazione dell’art. 37 cod. pen.
Di conseguenza, il Tribunale di Treviso avrebbe dovuto considerare, quale
parametro di computo per le pene accessorie non determinate dal legislatore in
misura fissa, quello previsto dall’art. 37 cod. pen. (ossia la quantità di pena
principale inflitta per i reati cui si riferiscono le pene accessorie in questione),
integrato da quello ulteriore previsto all’art. 77 cod. pen., procedendo, a tal fine,
alla scissione del reato continuato (Sez. 5, n. 29780 del 30/06/2010,
dep. 28/07/2010, Ramunno, Rv. 248258). La sentenza impugnata deve dunque
essere annullata limitatamente alle statuizioni relative alle pene accessorie
temporanee di cui al citato art. 12, con rinvio al Tribunale di Treviso che si
uniformerà ai princìpi sopra indicati.

P.Q.M.

6

pena accessoria anche all’ipotesi qui in esame. Pertanto, anche qualora la

Annulla la sentenza impugnata limitatamente alle pene accessorie
temporanee ex art. 12 D. Lgs. n. 74/2000 con rinvio al Tribunale di Treviso.
Rigetta nel resto il ricorso.

Così deciso il 03/12/2013

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA