Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29248 del 18/03/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 29248 Anno 2016
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: TALERICO PALMA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MANCINI FRANCESCO N. IL 27/07/1975
MALDARIZZI VITO CARMINE N. IL 12/10/1964
avverso la sentenza n. 564/2014 CORTE APPELLO SEZ.DIST. di
TARANTO, del 19/03/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 18/03/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PALMA TALERICO
Udito il ProcuratoreGenerale in persona del Dott. g, o
che ha concluso per ,j2, tultD_ u,,,,,j_ce, ‘ Q31-i er.4- Q.; jzt,

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Data Udienza: 18/03/2016

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 24 giugno 2013, il Tribunale di Taranto riteneva Mancini
Francesco responsabile dei delitti al medesimo ascritti ai capi 1, 2, 3, 4, 5, 6, e 7 della
rubrica (tentato omicidio aggravato dall’art. 7 della legge n. 575/65 ai danni di Fronza
Pasquale, detenzione e porto illegali della pistola semiautomatica da guerra con relativo
munizionamento utilizzata per il suddetto attentato; detenzione e porto illegali di un
fucile doppietta a cani esterni, non catalogato, e dunque, clandestino, con relativo

delle suddette armi, reati questi tutti in concorso con Rizzi Ferdinando, giudicato
separatamente; nonché resistenza a pubblico ufficiale) e, conseguentemente, lo
condannava alla pena di anni quindici di reclusione, oltre alle pene accessorie di legge;
con la medesima sentenza, il Tribunale di Taranto riteneva Maldarizzi Vito Carmine
responsabile del reato al medesimo ascritto al capo 28 della rubrica (art. 697 cod. pen. in
relazione all’art. 38 T.U.L.P.S. per avere acquistato 50 cartucce cal. 380 senza
denunciarne il possesso alle competenti autorità e averle cedute al Mancini) e lo
condannava alla pena di mesi due di arresto, concedendogli i doppi benefici di legge.
Con pronuncia del 19 marzo 2015, la Corte di appello di Lecce, sezione distaccata di
Taranto, in parziale riforma di quella di primo grado, assolveva il Mancini dal reato di
alterazione del fucile (capo 4 della rubrica) per non aver commesso il fatto e, previo
riconoscimento in favore dello stesso in relazione al reato di tentato omicidio della
circostanza attenuante di cui all’art. 116 cod. pen. valutata equivalente all’aggravante di
cui all’art. 7 della legge n. 575/65, riduceva la pena nei confronti del predetto imputato in
anni nove e mesi quattro di reclusione; confermava nel resto, anche con riguardo alla
posizione del Maldarizzi, la decisione di primo grado.
I fatti oggetto del presente processo venivano ricostruiti dai suddetti giudici, sulla base
delle accuse rivolte da Fronza Pasquale nei confronti di Rizzi Ferdinando (autore
materiale della sparatoria, la cui posizione era stata separatamente valutata, avendo
costui optato per la celebrazione del processo con il rito abbreviato), del contenuto delle
intercettazioni ambientali effettuate nell’immediatezza presso la stazione dei Carabinieri
di Palagiano e di quelle eseguite all’interno del furgone nella disponibilità del Mancini,
nonché dei dati risultanti dagli accertamenti effettuati sul luogo, nel seguente modo.
La sera del 3 ottobre 2010 nei pressi dell’abitazione di Fronza Pasquale sita in via
Scarcella di Palagiano veniva segnalata l’esplosione di numerosi colpi di arma da fuoco,
che avevano interessato parte della via Scarcella e parte della via Papa Giovanni XXIII e,
in particolare, l’immobile dei coniugi Fronza Rocco e Sportelli Giovanna, nonché quello
occupato dai coniugi Fronza Pasquale e Carriero Maria; le indagini immediatamente
avviate avevano rilevato, attraverso le citate captazioni all’interno dei locali della stazione
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munizionamento; alterazione del suddetto fucile mediante taglio delle canne; ricettazione

dei Carabinieri e delle dichiarazioni rese da Fronza Pasquale che l’autore della sparatoria
era Rizzi Ferdinando e che la causale era costituita dal contrasto insorto tra Fronza
Pasquale e il Rizzi, ricollegata al litigio avuto dallo stesso Fronza con tale Infante Michele
detto “Lordune” che il Rizzi aveva cercato vanamente di ricomporre, determinando, però
1 pc)
,..
> ichele, cui aveva fatto seguito quella,
la reazione violenta del Fronza nei confronti d’
ancora più eclatante, del Rizzi nei riguardi proprio del Fronza, schiaffeggiato
ripetutamente dal primo lungo la pubblica strada, per avere ritenuto irriguardoso il

Sempre secondo la decisione impugnata, il colloquio intercettato il 12 novembre 2010
all’interno del furgone di Mancini Francesco – soggetto con cui il Fronza si poneva in
contatto telefonico subito dopo la sparatoria, giusta le risultanze dei tabulati concernenti
le chiamate in uscita dall’abitazione del medesimo Fronza – tra il predetto Mancini e tale
Lattanzi, aveva chiarito che quella per cui è processo non era un’impresa criminosa
unilaterale da parte del Rizzi contro il Fronza bensì un vero e proprio conflitto a fuoco,
ancorché il suo incipit era senza dubbio da ricondursi all’iniziativa del Rizzi.
Coordinando i dati obiettivi relativi al posizionannento dei bossoli sul luogo della
sparatoria con le altre risultanze istruttorie, si evinceva – a detta dei giudici del merito che il Rizzi, in preda a una furia incontenibile, si era avvicinato all’immobile di Fronza
Pasquale esplodendo numerosi colpi fino a quando quest’ultimo e la moglie si erano
affacciati all’esterno venendo fatti segno da due ulteriori colpi che avevano raggiunto zier.,
colonnina della balconata esterna dell’abitazione e la parte posta accanto alla porta di
ingresso; che il Fronza aveva, a sua volta, reagito esplodendo due colpi – cui si riferiva il
Mancini nella citata conversazione captata – determinando l’allontanamento del Rizzi,
forse dopo l’esplosione di un ulteriore colpo da parte di quest’ultimo, come era dato
desumersi dal rinvenimento, il successivo 7 ottobre, di altro bossolo calibro 380 in Via
Martiri di Brescia, perpendicolare a Via Scarcella; che i primi colpi erano stati esplosi dal
Rizzi a scopo meramente intimidatorio – deponendo in tal senso sia gli obiettivi colpiti in
progressivo avvicinamento verso la casa del Fronza sia la considerazione logica che
quest’ultimo si trovava all’interno della sua abitazione; che, però, non appena il Fronza si
era affacciato all’esterno, la mira del Rizzi si era diretta immediatamente contro costui e
il predetto Rizzi aveva esploso due colpi ad altezza d’uomo – ancorché senza
conseguenze, per la reazione del Fronza che aveva precluso al Rizzi di portare a
compimento il suo proposito; che l’iniziativa del Rizzi non era certamente inattesa
essendo la stessa lo sbocco prevedibile di una serie di tensioni tra il Fronza e il Rizzi,
come risultava dal colloquio registrato tra il padre del Fronza e Mancini Gennaro.
La Corte territoriale rilevava, quanto al ruolo del Mancini, che lo stesso risultava
tratteggiato con nettezza dalle stesse parole dell’interessato, in un passaggio della
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comportamento del Fronza nei suoi confronti.

conversazione registrata all’interno del suo furgone, dal quale si evinceva che l’imputato
era perfettamente a conoscenza, allorché si mise alla guida dell’autovettura,
dell’intendimento vendicativo del Rizzi, che non gli era stato manifestato all’improvviso; e
riteneva che l’imputato aveva fornito un apprezzabile contributo causale all’azione del
Rizzi, anche se aveva cercato di dissuaderlo dal suo progetto criminoso; che quest’ultimo
comportamento del Mancini si correlava all’indiscutibile legame esistente tra lo stesso e
Fronza Pasquale, di cui aveva battezzato i figli, e legittimava fondati dubbi sulla

sviluppo degli eventi e in particolare della reazione del Fronza come fatto scatenante del
segmento omicida dell’azione del Rizzi, fino allora limitatosi a una eclatante
intimidazione; che tali evenienze comportavano il riconoscimento nei confronti del
Mancini dell’ipotesi di cui all’art. 116 cod. pen. in quanto, in ragione del livello di
alterazione del Rizzi, del possesso da parte di questi di un’arma, della personalità
criminale dello stesso e della consapevolezza del dissidio fra i due, era ampiamente
prevedibile che la situazione potesse degenerare.
Quanto ai reati in materia di armi, evidenziavano i suddetti giudici che la pistola
calibro 9 marca Zavodi Crvena Zastava utilizzata per l’attentato al Fronza e il fucile a
canne mozze erano stati ritrovati e sequestrati, unitamente al relativo munizionamento,
nel garage dello zio del Mancini il successivo 4 ottobre 2010; ritenevano che dette armi
erano riferibili al Mancini, in considerazione non solo del rapporto di parentela tra
l’imputato e Mancini Vito ma anche e soprattutto del tenore della conversazione
registrata in carcere il 26 ottobre 2010 tra i due, correlato a quello di altra conversazione
captata il precedente 12 ottobre 2010 intervenuta sempre tra zio e nipote; quanto al
reato di resistenza a pubblico ufficiale, rilevavano come il Mancini in compagnia del Rizzi,
allorché quest’ultimo si stava dando alla fuga avendo visto i Carabinieri, si era scagliato
contro i suddetti militari colpendoli con calci e pugni al fine di trattenerli e così di
consentire all’amico di allontanarsi.
Ritenuta sussistente l’aggravante di cui all’art. 7 della legge n. 575/65 in relazione al
tentato omicidio nonché quella di cui all’art. 9 della medesima legge in relazione ai reati
di detenzione e porto illegali di armi, per avere agito il Mancini in concorso con il Rizzi
nella piena consapevolezza che quest’ultimo era soggetto sottoposto alla misura di
prevenzione della sorveglianza speciale (entrambe qualificabili come circostanze
concernenti “le condizioni o le qualità personali del colpevole” e, dunque, estendibili al
correo), rideterminava la pena per il Mancini nei termini in precedenza indicati.
Con riguardo alla posizione del Maldarizzi, i giudici dell’appello evidenziavano che era
risultato per tabulas che costui aveva acquistato presso l’armeria Lomartire di Sava
cinquanta cartucce CBC calibro 380 senza effettuare la denuncia prevista dalla legge,
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consapevolezza dell’intento omicidiario in capo al Rizzi, tanto più in considerazione dello

tanto che lo stesso Maldarizzi non aveva potuto non ammettere la circostanza,
giustificandosi affermando di avere effettuato tale acquisto per conto di Mancini
Francesco al quale aveva ceduto le suddette cartucce al rientro a Palagiano fidando che,
nel rispetto dell’intesa, asseritamente raggiunta, quest’ultimo avrebbe provveduto a
regolarizzare la relativa denuncia; ritenevano che nessuna perplessità poteva sorgere in
ordine alla penale responsabilità dell’imputato non rivestendo nessun pregio l’obiezione
difensiva secondo cui il concetto di detenzione presupporrebbe un minimo di permanenza
della disponibilità della res in capo al soggetto agente, poiché detto minimo doveva

come tale punibile anche solo a titolo di colpa.
2. Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione gli imputati.
2.1. Con il primo motivo, il Mancini ha denunciato violazione ed erronea applicazione
della legge penale e processuale, nonché difetto di motivazione in relazione alla
contestata ipotesi del tentato omicidio.
In proposito, è stato osservato che l’impugnata sentenza è stata emessa sulla base di
semplici indizi privi dei requisiti di gravità precisione e concordanza, per lo più
rappresentati dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa, oltre che in carenza di
motivazione, limitandosi la stessa a confermare la pronuncia di primo grado senza alcun
vaglio critico delle censure difensive; che le dichiarazioni di Fronza Pasquale non sono
intrinsecamente attendibili perché – come affermato dalla stessa Corte territoriale volutamente parziali e, in ogni caso, del tutto prive di riscontri, non potendosi
fondatamente ritenerg ‘ che il Fronza, nel corso della conversazione intercettata del
4.10.2010, si riferisse al Rizzi quale persona che aveva sparato nei suoi confronti
(avendo egli richiamato un tale “Fernando” non meglio identificato) e che, nel corso della
captazione ambientale del 12 novembre 2010 nel furgone del Mancini, quest’ultimo e il
suo interlocutore stessero commentando l’episodio oggetto del processo; che l’esplosione
di alcuni colpi d’arma da fuoco da parte del Rizzi all’indirizzo dell’abitazione del Fronza,
seppure a distanza ravvicinata, non è elemento idoneo a fare ritenere che l’atto fosse
diretto a provocare la morte del Fronza, che era rimasto illeso, e, in ogni caso, a
dimostrare l’animus necandi del Rizzi; che non sussiste, inoltre, prova alcuna di un
preventivo accordo tra il Rizzi, indicato come esecutore materiale del delitto, e il Mancini;
che, quantanche si ritenesse – sulla base della conversazione del 12 novembre 2010 che il Rizzi nutriva nei confronti del Fronza un sentimento di astio, non risulta provato
che costui avesse preordinato il suo intento omicidiario e soprattutto che il Mancini possa
avere concorso, anche ai sensi dell’art. 116 cod. pen., con il Rizzi; che l’eventuale
conoscenza da parte del Mancini delle intenzioni del Rizzi non implica né dimostra la
condivisione e la partecipazione del primo al proposito criminoso dell’altro; che, dal
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ritenersi raggiunto e che, in ogni caso, si trattava di una fattispecie contravvenzionale

contenuto della conversazione del 12 novembre 2010, si evince molto chiaramente come
il Mancini, al cospetto del Rizzi armato e in evidente stato di agitazione, avesse cercato in
tutti i modi di convincere quest’ultimo a recedere dalle proprie intenzioni e come il Rizzi
avesse, invece, costretto il Mancini a portarlo presso l’abitazione del Fronza, mettendo la
mano sulla sua gamba al fine di fargli premere l’acceleratore.
2.2. Con il secondo motivo il Mancini ha denunciato violazione ed erronea applicazione
della legge penale, nonché difetto di motivazione in relazione agli artt. 7 e 9 legge n.

pen.: l’applicabilità di dette aggravanti al Mancini è frutto di una presunzione, non
sussistendo prova alcuna che il predetto fosse consapevole del fatto che il Rizzi era
sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale; la sentenza impugnata,
inoltre, ha erroneamente ritenuto che le aggravanti in parola non rientrino nel novero di
quelle di cui all’art. 70 cod. pen., che – ai sensi del citato art. 118 – si applicano alla sola
persona del colpevole.
2.3. Con il terzo motivo, il Mancini ha denunciato violazione ed erronea applicazione
della legge penale, nonché difetto di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza
della sua responsabilità per i reati in materia di armi, ricettazione e resistenza a pubblico
ufficiale: non sussiste prova alcuna che le armi, rinvenute il 4 ottobre 2010 presso il
garage dell’abitazione di Mancini Vito, siano riferibili all’imputato non essendo a tal fine
sufficiente il rapporto di parentela tra i due nonché il contenuto equivoco delle indicate
conversazioni ambientali; quanto al delitto di resistenza a pubblico ufficiale non sussiste
prova alcuna a carico dell’imputato quanto meno sotto l’aspetto dell’elemento soggettivo
del suddetto reato.
2.4. Con il quarto motivo, il Mancini ha denunciato violazione ed erronea applicazione
della legge penale, nonché difetto di motivazione in relazione alla mancata concessione in
suo favore delle circostanze attenuanti generiche – sul rilievo dell’insufficienza del suo
stato di incensuratezza – oltre che al giudizio di comparazione tra l’attenuante di cui
all’art. 116 cod. pen. e la ritenuta aggravante di cui all’art. 7 della legge n. 575/65 e alla
determinazione complessiva della pena inflitta.
3. Con un unico motivo, il Maldarizzi ha denunciato violazione ed erronea applicazione
della legge penale nonché difetto di motivazione con riferimento agli artt. 697 cod. pen. e
38 T. U. L. P.S.
In proposito, è stato osservato che l’imputato si era limitato a fare da tramite per il
passaggio delle cartucce al Mancini e che aveva avuto un precario possesso di dette
cartucce per pochi istanti tra la loro ricezione e il trasferimento delle stesse al Mancini;
che per la configurazione del reato contestato è pur sempre necessaria una relazione
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575/65, rispettivamente contestati con riguardo ai capi 1 e 2 e 3 della rubrica, e 118 cod.

stabile del soggetto con la cosa, in quanto il concetto di detenzione per sua natura
implica un minimo di permanenza del rapporto materiale tra detentore e cosa detenuta e
un minimo apprezzabile di autonoma disponibilità del bene da parte del soggetto.

1. La sentenza impugnata va annullata con rinvio, in relazione alla posizione di Mancini
Francesco, nei limiti e per le ragioni di seguito esplicitate.
2. Quanto al primo motivo di ricorso, si osserva che i giudici del merito hanno
proceduto alla ricostruzione della sparatoria, avvenuta il 3 ottobre 2010 nei pressi
dell’abitazione di Fronza Pasquale, e alla individuazione del ruolo avuto nella vicenda da
Rizzi Ferdinando e da Mancini Francesco sulla base dei dati di generica e del preciso
contenuto delle conversazioni captate il 4 ottobre 2010 presso la stazione dei Carabinieri
di Pa2 iano e il 12 novembre 2010 all’interno del furgone nella disponibilità del medesimo
Mancini; e hanno ritenuto che detta sparatoria non era stata “un’impresa criminale
unilaterale, bensì un vero e proprio conflitto a fuoco”, il cui incipit era da ricondursi al
Rizzi.
In particolare, i giudici del merito hanno affermato che dal tenore della conversazione
registrata il 4 ottobre 2010 presso la stazione dei Carabinieri di Palagiano, intervenuta tra
Fronza Pasquale e i suoi familiari, che erano stati lì condotti per gli accertamenti del caso
nell’immediatezza dei fatti, era risultato che Fronza Francesco aveva chiesto al fratello
Pasquale se lo avessero sparato e quest’ultimo, ri pondeva “Fernando”, aggiungendo altri
particolari della sparatoria; e hanno ritenuto che `Fernando” indicato dal Fronza era Rizzi
Fe rdinando,dovendosi’ detto riferimento essere letto alla luce degli altri elementi

emergenti dalle risultanze istruttorie, quali le dichiarazioni del medesimo Fronza
Pasquale, che aveva dettagliatamente indicato la causale dell’episodio criminoso, nonché
il tenore dell’altra conversazione captata a bordo dell’automezzo usato da Mancini
Francesco il giorno 12 novembre 2010; con specifico riferimento a quest’ultima
conversazione, i giudici del merito hanno affermato che dal tenore della stessa risultava
che la conversazione tra il Mancini e tale Lattanzi aveva a oggetto proprio la vicenda in
questione e hanno indicato, a sostegno del loro convincimento, la circostanza che uno dei
protagonisti del fatto evocato veniva indicato dal Lattanzi con il nome “Nicola Fernando” e
dal Mancini con il nome “Fernando”, ossia il diminutivo del Rizzi; il fatto che durante la
conversazione si faceva riferimento “allo schiaffo che gli aveva tirato Fernando”, così
dando contezza di un particolare perfettamente sovrapponibile a un passaggio dell’ampia
7

CONSIDERATO IN DIRITTO

U/(-

causale rappresentata da Fronza Pasquale; la circostanza che il Mancini aveva definito
suo “compare” l’altro protagonista dell’evocata vicenda, riferendosi, dunque, a Fronza
Pasquale, di cui aveva battezzato i figli, e l’ulteriore circostanza che nella conversazione il
Mancini descriveva una sparatoria nel corso della quale il “compare” aveva sparato due
colpi e l’altro più di dieci.
Hanno, altresì, evidenziato che coordinando i dati obiettivi – relativi al
posizionamento dei bossoli sul luogo dei fatti, alla scalfitura provocata da un colpo d’arma

e alla cavità prodotta sulla destra della porta di ingresso a detta abitazione – con le
affermazioni rese dai vari protagonisti della vicenda, era possibile concludere che il Rizzi
si era avvicinato all’immobile del Fronza, sparando numerosi colpi, fino a quando
quest’ultimo e la moglie, affacciatisi all’esterno, venivano fatti segno di due ulteriori spari
esplosi ad altezza d’uomo (ossia quelli che raggiunsero la colonnina della balconata
esterna e la parete accanto la porta di ingresso), che, però, non provocavano alcuna
conseguenza per la reazione dello stesso Fronza, il quale, a sua volta, esplodeva due
colpi, così determinando l’allontanamento del Rizzi.
Hanno, inoltre, affermato che dal contenuto della citata conversazione del 12
novembre 2010 risultava chiaramente che il Mancini era a conoscenza dell’intendimento
vendicativo del Rizzi nei confronti di Fronza Pasquale, che non gli era stato manifestato
all’improvviso ma che preesisteva al momento in cui il Mancini si era messo alla guido del
suo mezzo, avendo accanto a sé il Rizzi, in evidente stato di agitazione e per più
armato.
Ciò posto, occorre osservare che secondo la consolidata giurisprudenza di questa
Corte, “in conformità al disposto dell’articolo 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen., il
difetto di motivazione valutabile in cassazione può consistere solo in una mancanza (o in
una manifesta illogicità della motivazione stessa), ma esclusivamente se il vizio risulta
dal testo del provvedimento impugnato; il che significa che deve mancare del tutto la
presa in considerazione del punto sottoposto all’analisi del giudice e che non può
costituire vizio che comporti controllo di legittimità la mera prospettazione di una diversa
e, per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali. Esula, infatti,
dai poteri della corte di legittimità quello di una rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di
merito, potendo e dovendo, invece, la Corte accertare se quest’ultimo abbia dato
adeguatamente conto, attraverso l’iter argomentativo seguito, delle ragioni che l’hanno
indotto ad emettere il provvedimento” (Cass. Sez. 2, 11.6.1998, n. 3438, rv. 210938;
cfr. anche Cass. Sez. 6, 14.1.2010, n. 7651, rv. 246172).

8

da fuoco a una delle colonnine esterne della balconata dell’abitazione di Fronza Pasquale

teX,

Ebbene, non sembra che le argomentazioni dei giudici di merito, in precedenza
sintetizzate, possano dirsi manifestamente illogiche; e anzi, il Collegio osserva che i
giudici della Corte di appello di Lecce, nella motivazione del provvedimento impugnato, si
sono puntualmente attenuti a un coerente, ordinato e conseguente modo di disporre i
fatti, le idee e le nozioni necessari a giustificare la loro decisione; questa, perciò, resiste
alle censure del ricorrente sul punto.
Va, altresì aggiunto che, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, “in

adoperato dai soggetti intercettati, anche quando sia criptico o cifrato, costituisce
questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito, la quale, se risulta
logica in relazione alle massime di esperienza utilizzate, si sottrae al sindacato di
legittimità” (Cass. SS.UU. n. 22471 del 26/02/2015, Rv 263715).
Non ricorre, inoltre, il denunciato vizio di violazione ed erronea applicazione della
legge penale, essendo la decisione della Corte territoriale fondata sull’accertamento del
fatto perfettamente corrispondente alla norma incriminatrice come correttamente
interpretata dalla giurisprudenza di legittimità.
E in vero, l’azione posta in essere dal Rizzi, come ricostruita dai giudici di merito, era
sicuramente idonea a provocare la morte del Fronza oltre che sorretta dall’

animus

necandi, mentre l’evento morte non si era verificato per fattori indipendenti dalla volontà
dell’agente e, in particolare, per la reazione inattesa del Fronza che aveva determinato la
fuga del Rizzi.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, “l’idoneità degli atti, richiesta per la
configurabilità del reato tentato, deve essere valutata con giudizio “ex ante”, tenendo
conto delle circostanze in cui opera l’agente e delle modalità dell’azione, in modo da
determinarne la reale adeguatezza causale e l’attitudine a creare una situazione di
pericolo attuale e concreto di lesione del bene protetto” (Cass. Sez. 1, 4.32010, n.
27918, rv. 248305).
Con specifico riguardo alla responsabilità del Mancini, posto che è stato accertato
nell’impugnata sentenza che il predetto imputato era a conoscenza dell’intento
vendicativo del Rizzi nei confronti del Fronza e ciò nonostante aveva accompagnato il
Rizzi, visibilmente alterato e armato di pistola, a bordo della sua auto, nei pressi
dell’abitazione del Fronza, la Corte territoriale ha correttamente ritenuto configurabile il
concorso anomalo (art. 116 c.p.), ravvisabile nel caso in cui l’agente, pur non avendo in
concreto previsto il fatto più grave, avrebbe potuto rappresentarselo come sviluppo
logicamente prevedibile dell’azione convenuta facendo uso, in relazione a tutte le

9

tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, l’interpretazione del linguaggio

circostanze del caso concreto, della dovuta diligenza (cfr., tra le molte, Sez. 1 n. 4330
del 15/11/2011, Rv. 251849; Sez. 6, n. 7388 del 13/01/2005, Rv. 231460).
3. Con riguardo al secondo motivo di ricorso, il percorso argomentativo sviluppato
nella impugnata sentenza, al fine di ritenere che il Mancini fosse a conoscenza che il Rizzi
era, all’epoca dei fatti, sottoposto alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale
di pubblica sicurezza, è congruo, avendo i giudici di merito logicamente spiegato che tale
consapevolezza doveva essere desunta dallo stretto rapporto esistente tra il Mancini e il

Tuttavia, quanto alla ricorrenza della contestata aggravante di cui all’art. 7 della legge
n. 575 del 1965, in relazione al reato di tentato omicidio, ritiene il Collegio di aderire
all’orientamento giurisprudenziale, secondo cui “l’aggravante di cui all’art. 7 della legge
31 maggio 1965 n. 575 (attualmente prevista dall’art. 71 del d.lgs. 6 settembre 2011, n.
159) è applicabile solo in caso di consumazione dei reati indicati nello stesso art. 7, senza
possibilità di estensione al tentativo che costituisce una figura autonoma a sé stante,
caratterizzata da una propria oggettività giuridica e da una propria struttura” (Sez. 2, n.
6337 del 14/11/2014, Rv. 262580; conformi: Sez. 2, n. 36162 del 23/05/2014, Rv.
260323; Sez. 2, n. 7849 del 15/03/1985, Rv. 170283).
Pur nella consapevolezza dell’esistenza di due contrari arresti a parere dei quali la
circostanza aggravante prevista dall’articolo 7 della legge 31 maggio 1965 n. 575 si
applicherebbe ai reati contemplati nella predetta disposizione anche se rimasti allo stadio
del mero tentativo (Sez. 5, n. 809 del 17/02/2000, Rv. n. 216457; Sez. 6, n. 36640 del
10/07/2014, Rv. 263034), il Collegio ribadisce, a sostegno della sua decisione, le
argomentazioni della citata sentenza di questa Corte n. 6337 del 14 novembre 2014, che
condivide.
“Considerata l’autonomia del delitto tentato (risultante dalla combinazione di una
norma principale – la norma incriminatrice speciale – e di una norma secondaria – quella
di cui all’art. 56 c.p., che ha efficacia estensiva -) rispetto a quello consumato,
pacificamente ritenuta dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema a plurimi, diversi,
fini (cfr., ad es., Sez. un., sentenza n. 3 del 19 aprile 1980, CED Cass. n. 145074, in
tema di esclusioni oggettive dall’amnistia e dall’indulto), e in conformità ai principi di
tassatività e tipicità (che non consentono all’interprete di estendere le limitazioni
dell’operatività di discipline peggiorative a fattispecie delittuose non espressamente
contemplate, poiché in tal modo egli attenterebbe “alla sovrana autonomia del
legislatore”), deve necessariamente ritenersi che, nel caso in cui determinati effetti
giuridici peggiorativi siano dalla legge ricollegati alla commissione di reati specificamente
indicati mediante l’elencazione degli articoli che li prevedono, senza ulteriori precisazioni,
deve intendersi che essi si producano esclusivamente alle ipotesi consumate e non già
10

Rizzi, alla luce del ruolo di autista svolto dal primo nei confronti del secondo.

tentate. Nel caso contrario, il legislatore menziona, infatti, espressamente queste ultime
(cfr., ad es., art. 381, comma 1, cod. proc. pen.)”.
Ne consegue, che detta aggravante va esclusa in relazione al reato di tentato omicidio.
Quanto, invece, alla ricorrenza della medesima aggravante in relazione ai reati di
detenzione e porto illegali delle armi (capi 2 e 3 della rubrica), la decisione impugnata è
fondata sull’accertamento del fatto perfettamente corrispondente alle norme di cui agli

legittimità.
A seguito della sostituzione del testo dell’art. 118 cd. pen. a opera dell’art. 2 della
legge 7 febbraio 1990 n. 19, al concorrente non si comunicano più le circostanze
soggettive concernenti i motivi a delinquere, l’intensità del dolo, il grado della colpa e
quelle relative all’imputabilità e alla recidiva; conseguentemente, sono ancora valutate
riguardo al concorrente – il quale ne sia a conoscenza o le ignori per colpa – le altre
circostanze soggettive indicate nell’art. 70, primo comma n. 2, cod. pen., cioè quelle
attinenti alle qualità personali del colpevole e ai rapporti tra il colpevole e la persona
offesa.
4. Tutte le censure mosse dalla difesa del Mancini con il terzo motivo di ricorso, lungi
dal denunciare lacune e incongruenze effettivamente sussistenti nel percorso
argonnentativo sviluppato dai giudici di merito, in relazione alla ritenuta responsabilità
dell’imputato per i reati in materia di armi e per quello di resistenza a pubblico ufficiale,
si limitano a riproporre, in sede di legittimità, senza prospettare alcun rilevante elemento
di novità, questioni già esaminate e decise con argomentazioni immuni da vizi logici o
giuridici.
In particolare, tutte le pur articolate deduzioni si risolvono sostanzialmente in censure
in fatto che comportano per il loro accoglimento o una diversa lettura dei dati probatori
oppure una diversa interpretazione delle prove, entrambi non consentite al giudice di
legittimità.
Con riferimento a quelle relative all’interpretazione attribuita dai giudici di merito alle
conversazioni intercettate il 12 e il 26 ottobre 2010 tra il Mancini e lo zio Mancini Vito, il
cui tenore, secondo i giudici del merito, dimostra la riferibilità all’imputato delle armi con
relativo munizionamento sequestrate presso il garage del predetto Mancini Vito, valgono
le osservazioni in precedenza svolte, alle quali ci si riporta.
Per il resto, occorre evidenziare che i giudici di merito, con due decisioni sintoniche
e integrate, hanno analiticamente indicato le loro fonti di convincimento, valutandole con
uno sviluppo argomentativo che si sottrae a critiche di sorta.
11

artt. 70 e 118 cod. pen. come correttamente interpretate dalla giurisprudenza di

5. Quanto alla natura della pistola calibro 9 marca Zavodi Crvena Zastava, utilizzata
per la commissione dell’attentato, poiché la classificazione di un’arma va operata non in
astratto ma in concreto, non è sufficiente per determinare il carattere di “arma da
guerra” il semplice richiamo al fatto che l’arma sia in dotazione a corpi di forze armate
nazionali o estere, ma è necessario che il giudice di merito accerti, attraverso la
considerazione di tutti gli elementi idonei, il potenziale offensivo della stessa.(vL
R-V 2.61602- )

ittdu,

6. Infondato è il quarto motivo di ricorso con riguardo all’espresso giudizio di non
meritevolezza da parte dell’imputato della concessione delle circostanze attenuanti
generiche.
Già prima della novella di cui al D. L. n. 92/08, convertito nella L. n. 125/08 (che ha
aggiunto all’art. 62 bis del codice penale il 3 0 comma che così recita: “in ogni caso,
l’assenza di precedenti penali a carico del condannato non può essere, per ciò solo, posta
a fondamento della concessione delle circostanze di cui al primo comma”) questa Corte
ha costantemente ritenuto che “nell’applicazione delle circostanze attenuanti generiche il
giudice non può tenere conto unicamente dell’incensuratezza dell’imputato, ma deve
considerare anche gli altri indici desumibili dall’art. 133 cod. pen.” [Cass. Sez. IV,
25.6.2008, n. 31440, RV 241898; Cass. Sez. V, 4.12.2013, n. 4033, RV 258747, secondo
cui “le circostanze attenuanti generiche non possono essere riconosciute solo per
l’incensuratezza dell’imputato, dovendosi considerare anche gli altri indici desumibili
dall’art. 133 cod. pen. (principio affermato in relazione al testo dell’art. 62-bis cod. pen.
vigente prima delle modifiche apportate dalla L. n. 125 del 2008)].
Ciò posto, occorre osservare che i giudici di merito, sul punto, hanno correttamente
applicato i superiori principi di diritto, evidenziando, con motivazione logica, la
sussistenza di circostanze fattuali ritenute ostative al riconoscimento di detto beneficio e,
in particolare, “l’assoluta gravità dei fatti per cui è processo, maturati in un ambiguo
contesto delinquenziale in cui il prevenuto è appieno inserito”.
Per il resto, gli ulteriori motivi riguardanti il trattamento sanzionatorio, restano
assorbiti.
7. Inammissibile, perché manifestamente infondato è il ricorso di Maldarizzi Vito
Carmine.
Costituisce principio acquisito dalla giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui
“la struttura della contravvenzione di detenzione abusiva di armi o munizioni, prevista
dall’art. 697 cod. pen., è compatibile anche con una condotta colposa, giacché è possibile
che l’omessa denuncia punita dalla norma incriminatrice si colleghi sul piano soggettivo
12

Conseguentemente, la sentenza impugnata va annullata sul punto.

ad un atteggiamento colpevolmente negligente dell’agente” (Sez. 1, n. 13355 del
07/02/2013, Rv. 255176).
E in vero, in tema di elemento psicologico del reato, l’art. 42 cod. pen., ultimo comma,
stabilisce che i reati contravvenzionali (a differenza dei delitti) sono addebitati all’agente
indifferentemente a titolo di dolo o colpa, salvo che la struttura materiale del reato
contravvenzionale configuri la fattispecie come necessariamente di tipo doloso. Nel caso
del reato contravvenzionale dì detenzione abusiva di munizioni previsto dall’art. 697 c.p.,

essendo ben possibile che l’omessa denuncia della detenzione di munizioni si colleghi sul
piano soggettivo a un atteggiamento colpevolmente negligente dell’agente (in senso
conforme Sez. 1, n. 6064 del 12/12/1983 – dep. 28/06/1984, Bernardíní, Rv. 165033 che
ha ritenuto applicabile la contravvenzione di cui all’art. 697 c.p. alla detenzione colposa
delle armi comuni da sparo; Sez. 2, n. 1053 del 29/04/1969, Mascello, Rv. 113005,
secondo cui è sufficiente che i fatti contravvenzionalí di cui agli artt. 697 e 699 c.p. siano
commessi per colpa).
Nel caso di specie, la sentenza impugnata ha correttamente applicato il suddetto
principio di diritto, evidenziando, peraltro, che, ai fini della configurabilità del reato di
detenzione in parola, è sufficiente che l’agente abbia la disponibilità della res anche per
un breve lasso di tempo.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso, consegue la condanna del Maldarizzi al
pagamento delle spese processuali, nonché – valutato il contenuto dei motivi e in difetto
della ipotesi di esclusione di colpa nella proposizione della impugnazione – al versamento
a favore della Cassa delle ammende della somma che la Corte determina nella misura
congrua ed equa dì euro mille.

P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente all’aggravante di cui all’art. 7 della legge
n. 575 del 1965 in relazione al reato di tentato omicidio, che esclude, e alla qualificazione
come arma da guerra della pistola di cui al capo 2 e rinvia, per nuova determinazione del
trattamento sanzionatorio nei confronti di Mancini Francesco, ad altra sezione della Corte
di appello di Lecce.
Rigetta nel resto il ricorso del Mancini.

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la struttura della fattispecie è compatibile anche con una condotta di tipo colposo,

Dichiara inammissibile il ricorso di Maldarizzzi Vito Carmine che condanna al
pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di €. 1.000,00 alla
Cassa delle ammende.
Così deciso, il 18 marzo 2016
Il Presidente

Il Consigliere estensore

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