Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29245 del 18/03/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 29245 Anno 2016
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: DI GIURO GAETANO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
IOANNIDIS GEORGIOS N. IL 27/10/1973
avverso la sentenza n. 1632/2014 CORTE APPELLO di ANCONA, del
11/12/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 18/03/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GAETANO DI GIURO
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Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. q: 04r.An
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Data Udienza: 18/03/2016

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza dell’ 11/12/14 la Corte di appello di Ancona
conferma la sentenza del Tribunale di Ancona, che ha affermato la penale
responsabilità di Ioannidis Georgios in ordine ai delitti di cui agli artt. 110
cod. pen. e 12, commi 1 e 3, lett. a), b), c) e d), commi 3 bis e 3 ter,
lett. b) del D. Lgs. n. 286/98 ( a ), come modificato dalla L.15 luglio 2009

condannato, ritenuto il concorso formale tra i reati, per quanto in questa
sede di interesse, alla pena di anni dodici di reclusione ed euro
450.000,00 di multa. Il suddetto, secondo l’ipotesi di accusa, in concorso
con Seiranìdis Georgios, compiva a fine di lucro atti diretti a favorire
illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato di diciassette cittadini
extracomunitari di nazionalità afgana, di cui uno minorenne,
trasportandoli a bordo di un autobus proveniente dalla Grecia imbarcatosi
sulla Motonave Superfast, pertanto utilizzando servizi internazionali di
trasporto e sottoponendo le persone trasportate a trattamento inumano e
degradante, in quanto occultate in più vani ricavati sotto i sedili
dell’autobus, nel quale, durante il trasporto in nave veniva spenta l’aria
condizionata lasciando salire eccessivamente la temperatura ambientale
al suo interno, tanto da esporre le suddette a pericolo per la loro vita e
cagionare la morte di due delle medesime ed il ricovero ospedaliero in
stato di corna di una terza. Inoltre, lo stesso, secondo la prospettazione
accusatoria, sempre in concorso come sopra, cagionava la morte di due
clandestini afgani e lesioni gravissime con pericolo di morte ad un terzo
clandestino afgano, conseguenze non volute del delitto di cui al capo a) e
in particolare per averli sottoposti a trattamenti inumani costringendoli a
rimanere esposti per diverse ore a temperatura eccessiva all’interno
dell’autobus, durante il viaggio in nave dalla Grecia per l’Italia.
Questi i fatti come ricostruiti dai Giudici del merito.
Il 23 giugno 2012, dopo le ore 16.00, personale della Compagnia di
navigazione greca “Superfast” informava la sala operativa della Polizia di
Frontiera Marittima di Ancona che a bordo di un pullman presente nella
stiva della nave salpata dal porto di Igoumenitsa e diretta ad Ancona
erano stati trovati alcuni clandestini in precarie condizioni di salute, uno
dei quali già deceduto. Prima dell’attracco nel Porto di Ancona moriva
anche un secondo giovane, mentre un terzo versava in condizioni di
salute gravissime. L’autobus sul quale i clandestini risultavano viaggiare –

1

n.94, e di cui agli artt. 110, 586 e 589 u. co. cod. pen. ( b ) e lo ha

la cui ispezione consentiva di verificare che nella parte sottostante ad
alcune file di sedili erano stati ricavati tre vani di diverse dimensioni, che
costituivano il nascondiglio dei suddetti ed in cui erano rinvenuti mini
ventilatori, scarti di cibo, bottiglie d’acqua vuote, bottiglie contenenti
urina, nonché indumenti vari – risultava essere condotto da tale Ioannidis
Georgios, con Seiranidis Georgios come secondo autista, e trasportare,
oltre ai clandestini nascosti nei vani suddetti, anche greci partecipanti ad

possesso dello Ioannidis, e la cui quota era pari ad euro 250,00 a
persona. Due dei clandestini trasportati ( Usmani Sorab e Amayar Ahmad
Samir ), assunti a s.i.t., riferivano di avere pagato mille euro ciascuno ad
un’organizzazione afgana operante in Grecia e che un loro connazionale,
nella zona della periferia di Atene, li aveva fatti salire sull’autobus di cui
sopra, a due piani, ove erano stati nascosti all’interno dei vani posizionati
sotto i sedili; dichiaravano che, una volta saliti a bordo della nave,
allorché il motore era stato spento e quindi disattivata l’aria condizionata,
avevano iniziato ad accusare problemi di respirazione e malori, e che
durante la traversata avevano avuto contatti col Seiranidis (da loro visto
ad Atene parlare con il connazionale della suddetta organizzazione),
rimasto sempre a bordo del pullman, che li aveva fatti uscire dai
nascondigli, ma che non aveva loro permesso di aprire i finestrini, né
aveva acceso l’aria condizionata o aperto le portiere del mezzo. Lo
Ioanidis era trovato in possesso di euro 1.230,00, mentre il Seiranidis di
euro 235,00. Nel corso di incidente probatorio il minore Ghasemi Mohsen
ricostruiva con precisione le modalità del trasporto, confermando
integralmente quanto in precedenza riferito dai suoi connazionali ed
aggiungendo che l’autista, che riconosceva nel Seiranidis, li aveva
minacciati e picchiati perché avevano tentato di uscire dall’autobus. La
ricognizione personale dello Ioannidis non dava, invece, esito positivo.
1.1 La Corte territoriale, confrontandosi con i rilievi difensivi, rigetta,
al pari del Collegio di primo grado, l’eccezione relativa al difetto di
giurisdizione, sulla base della giurisprudenza di legittimità sull’ art. 6 cod.
pen., in base alla quale devono ritenersi punibili secondo la legge italiana
i reati la cui condotta sia avvenuta solo in parte in Italia o il cui evento si
sia ivi verificato, anche se il frammento verificatosi sul nostro territorio
sia privo dei requisiti di idoneità e inequivocità richiesti per il tentativo.
Osservano, invero, i Giudici del merito che la scoperta dei clandestini è
avvenuta dopo le ore 16,00 e in un orario prossimo alle 16,30 – ora in cui

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una gita, il cui itinerario era annotato su un foglio in lingua greca, in

venne fatta la segnalazione alla Capitaneria di Porto di Ancona della
presenza a bordo di persona colta da malore ( appunto uno degli afgani )
– quando la nave era già nelle acque territoriali ( nelle quali entrava alle
ore 16.02, come da documentazione prodotta dall’Accusa ) e che,
comunque, a prescindere da detto dato fattuale, in territorio italiano si
sono verificate alcune conseguenze dell’illecito trasporto di clandestini,
integranti gli eventi costitutivi del reato di cui all’art. 586 cod. pen. ( il

dichiarazioni del medico rinvenuto a bordo ).
Passando al merito, la Corte a qua, rispondendo anche ai rilievi
difensivi sul punto, contenuti negli ulteriori motivi di appello, considera
comprovata la responsabilità dell’imputato, sulla base della chiamata in
correità nei confronti del medesimo operata da Seraidinis Georgios,
sottoposto ad esame ai sensi dell’art. 210 cod. proc. pen. nel presente
processo, ritenuta correttamente valutata dal primo giudice ( facendo
retta applicazione della regola di giudizio di cui all’art.192, comma 3, cod.
proc. pen. e dei principi di diritto enunciati dalla giurisprudenza di
legittimità ), nonché di ulteriori elementi probatori, tra cui anche le
acquisizioni processuali sopra indicate. Osserva, invero, la Corte che il
Seraidinis è assolutamente credibile in quanto lo stesso ha reso anche
dichiarazioni autoaccusatorie, tanto da essere condannato nel giudizio
abbreviato a suo carico per i medesimi fatti, ed inoltre ha
dettagliatamente descritto l’instaurarsi del rapporto con lo Ioannidis, le
motivazioni economiche che lo avevano indotto ad accettare la proposta
di effettuare, insieme a questi, il trasporto di clandestini dalla Grecia in
Italia, ogni aspetto logistico del programmato trasporto, a nulla rilevando
che lo stesso non abbia riferito dettagli inerenti alla sua condotta
puntualizzati dal minore sopra menzionato, considerata la complessiva
attendibilità del suo narrato ( lineare, coerente con le ulteriori emergenze
e costante ). Narrato, che trova riscontro in ulteriori elementi probatori,
riesaminati anche dalla Corte di appello di Ancona. La quale osserva in
primo luogo che il suddetto minore, pur non riconoscendo con certezza
l’odierno imputato in sede di ricognizione personale, riferisce di avere il
dubbio di averlo visto, forse nel momento in cui era entrato
“all’improvviso” sull’autobus, prima di salire al piano superiore. Il che preso atto che il fugace avvistamento giustifica il ricordo del teste in
forma dubitativa – costituirebbe per la Corte un ulteriore elemento
indiziario nel senso della consapevolezza dell’ingresso a bordo

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decesso del giovane identificato in Moustafa Sekari, alla luce delle

dell’autobus dei clandestini da parte dello Ioannidis.

Il quale,

sottopostosi ad esame dibattimentale, nega totalmente i fatti, dicendo di
essere a conoscenza della sola gita ufficiale che doveva essere effettuata
dall’autobus. La Corte passa in rassegna tutti gli elementi che, secondo
l’assunto del Collegio di prime cure dalla suddetta pienamente condiviso,
confermano il contenuto della chiamata in correità, deponendo nel senso
della piena partecipazione dello Ioannidis alla perpetrazione del

un pullman turistico, mentre egli è sempre stato autista di camion; l’antieconomicità di un viaggio turistico dal costo pro capite di soli euro
250,00 e la genericità e vaghezza dello schema scritto di itinerario, a
riprova che il viaggio turistico fosse solo una copertura del trasporto dei
clandestini; – l’evidenza del fatto, secondo la valutazione della P.g., che la
botola all’interno del pullman per accedere ai nascondigli non potesse
essere aperta da una sola persona; – l’anomala conformazione del vano
bagagli, la cui cubatura era fortemente ridimensionata per la presenza dei
nascondigli ricavati nel piano inferiore del pullman, conformazione che
non poteva essere sfuggita anche all’odierno imputato nel caricare i
bagagli; – la presenza a bordo del mezzo di un diffusore automatico di
profumo, che liberava l’essenza ogni cinque minuti, allo scopo evidente di
coprire i cattivi odori legati all’occultamento degli afgani nei nascondigli.
A ciò si aggiunga il particolare riferito dallo stesso Ioannidis, ossia
dell’essersi presentato il Seiranidis, alle quattro del pomeriggio, agitato
nella sua cabina per chiedergli il “telefono aziendale” e parlare con
44p3
l’organizzatore del viaggio ( Koukouzelas ),
e, secondo i Giudici del
merito, depone nel senso della piena 7 consapevolezza da parte
dell’imputato del trasporto dei clandestini. Invero, se effettivamente il
Seiranidis fosse stato l’uomo di fiducia, come riferito dall’imputato, e lo
Ioannidis all’oscuro della reale finalità del trasporto, il “telefono
aziendale” sarebbe stato nella disponibilità del primo. Mentre sembrano,
come osservato dalla pronuncia impugnata, molto più logiche e coerenti
con quanto appena osservato, le affermazioni del Serainidis, che ha
puntualizzato che, nella ripartizione dei compiti concordati in relazione al
trasporto dei clandestini, egli doveva rimanere insieme agli afgani
all’interno dell’autobus per controllarli ed il complice si doveva occupare
dei gitanti ufficiali, salendo di sopra con gli stessi. Come attentamente
affermato dalla pronuncia di primo grado, il fatto, poi, che i clandestini
avessero avuto solo contatti diretti sempre e solo con il Serainidis, che

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favoreggiamento contestato. Quali : – l’ingaggio del ricorrente per guidare

avevano visto parlare con l’afgano organizzatore del viaggio, rientra nelle
modalità tipiche delle organizzazioni finalizzate al traffico di esseri umani
in ambito transnazionale, le cui operazioni sono strutturate in modo da
parcellizzare la condotta in vari segmenti autonomi, da esporre, quindi, al
rischio di un eventuale riconoscimento soltanto una persona, addetta al
controllo e alla materiale assistenza ai clandestini, lasciando le altre in
posizione defilata, ed infine da impedire di risalire ai vertici

Inferendo da tutti gli elementi sopra indicati la Corte

a qua, in

sintonia con il Giudice di prime cure, il pieno coinvolgimento dell’imputato
– sia sotto il profilo dell’elemento oggettivo, che di quello soggettivo – nel
favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, aggravato dall’utilizzo di
mezzi internazionali di trasporto, dal fine di trarne profitto e dalla
sottoposizione a trattamento inumano e degradante ( considerate le
condizioni in cui viaggiavano i diciassette giovani afgani , attese le
dimensioni assolutamente anguste delle nicchie che costringevano questi
ultimi a condizioni di immobilità – come evidenziato dal teste Gasenni che
parla di impossibilità di muoversi anche per portare la bottiglia di acqua
alla bocca – per numerose ore, in assenza di adeguata areazione, tra
residui di cibo e bottiglie con urina, condizioni tali da rendere concreto,
anche considerato il periodo estivo ed i luoghi dal caldo clima
mediterraneo, il pericolo di vita, come comprovato in concreto dal tragico
epilogo per tre di essi e dalle generali condizioni di sofferenza in cui tutti
erano rinvenuti ). Ed evincendo, sempre in risposta ai rilievi difensivi
contenuti nell’appello, anche la responsabilità dello Ioannidis per la
fattispecie sub b), sussistendone tutti i presupposti richiesti dalla
giurisprudenza di legittimità, attesi, da un lato, l’evidente nesso di
causalità tra la condotta penalmente rilevante di illegale trasporto dei
clandestini ed i due decessi e le lesioni gravissime provocate a Timor
Anwar ( come da risultanze della consulenza medico-legale del PM ) e,
dall’altro, la colpa in concreto dell’imputato per detti eventi, consistita
nell’aver organizzato un trasporto in condizioni inumane e tali da porre in
pericolo di vita i trasportati, accentuandosi, secondo la Corte, il grado di
colpa nel momento in cui lo Ioannidis, totalmente incurante delle
conseguenze che potevano derivare, si allontanava dall’autobus
all’interno del quale lasciava i clandestini, al chiuso, per molte ore, in
assenza di areazione, con il rischio di surriscaldamento dell’ambiente,
data la stagione estiva, e di insorgenza di colpi di calore determinati dalla

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dell’organizzazione nel caso di insuccesso dell’operazione.

lunga permanenza in ambiente caldo e non ventilato, tali da poter
condurre alla morte o alla causazione di gravissime lesioni, come
verificatosi nel caso concreto. Né può ritenersi, secondo la Corte, che lo
stesso non fosse informato di quanto succedesse nella stiva della nave,
essendo le condizioni appena evidenziate già presenti e da lui
esattamente conosciute nel momento in cui lasciava l’autobus.
Passando alla valutazione del trattamento sanzionatorio, la Corte di

positivamente valutabili, sia sotto il profilo sostanziale che sotto l’aspetto
processuale, per la concessione delle attenuanti generiche allo Ioannidis,
e come le gravissime modalità dei fatti ed in particolare l’aver trattato i
trasportati come “colli di merce” e l’aver determinato danni gravissimi a
tre persone, di cui due decedute ed una in coma irreversibile, per meri
motivi di lucro, impongano una pena superiore al minimo edittale, come
quella individuata dal Giudice di prime cure.

2. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione,
tramite il proprio difensore, Ioannadis Georgios.
2.1 Con il primo motivo di impugnazione vengono denunciati vizio di
motivazione e violazione dell’art. 6, comma 2, cod. pen. La difesa
lamenta che la Corte territoriale, nulla osservando sulle deduzioni
difensive per le quali la condotta relativa al favoreggiamento della
immigrazione clandestina, quale reato di pericolo a consumazione
anticipata, doveva considerarsi consumata con l’imbarco dei clandestini,
avvenuto in terra straniera, nell’affermare l’ipotesi di cui al comma 2
dell’art. 6 cod. pen. per i concorrenti reati di cui agli artt. 586 e 589 cod.
pen. , si limiti a rilevare che il secondo decesso si sarebbe verificato nelle
acque territoriali italiane, senza stabilire in quale orario il medico ha
preso cognizione di tale evento, lasciando senza risposta la doglianza
difensiva.
2.2 Col secondo motivo la difesa lamenta il vizio di motivazione e la
violazione dell’art. 192, commi 2 e 3, cod. pen.
2.3 Con il terzo motivo si denunciano vizio di motivazione e
violazione della regola di giudizio in punto di affermazione della
responsabilità per i reati contestati al capo b) della rubrica.
2.4 Col quarto motivo di impugnazione vengono lamentati violazione
degli artt.133 e 62 bis cod. pen., mancanza di motivazione in punto di
fissazione della pena base e di aumento ex art. 81 cod. pen. e 12 d. I.vo

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appello di Ancona evidenzia come non vi siano i presupposti

286/98 comma 3, lett. b) e motivazione illogica e contraddittoria in
relazione al diniego delle attenuanti generiche.
Il difensore chiede, pertanto, alla luce di detti motivi, l’annullamento
della sentenza impugnata, con o senza rinvio.

1. Il ricorso è inammissibile, in quanto in parte ripercorre gli stessi
motivi di appello, che veftigeFto disattesi dalla Corte territoriale con un iter
argomentativo, scevro da vizi logici e giuridici, ed in parte invita ad una
rivisitazione degli elementi fattuali, preclusa in questa sede.
Passando, quindi, alla disamina del primo motivo di impugnazione,
conforme, invero, all’ interpretazione del disposto dell’art. 6, comma 2,
cod. pen. ad opera della giurisprudenza di legittimità, da cui questa Corte
non intende discostarsi, è la soluzione adottata dalla Corte di appello di
Ancona, laddove afferma la giurisdizione italiana sui reati in oggetto.
Sono punibili, secondo la legge italiana, come se commessi per intero
in Italia, anche i reati la cui condotta sia avvenuta solo in parte nel
territorio dello Stato o il cui evento si sia ivi verificato, ancorché si tratti
di frammento di condotta privo dei requisiti di idoneità e inequivocità
richiesti per il tentativo (Sez. 4, n. 44837 del 11/10/2012 – dep.
15/11/2012, Pmt in proc. Krasniqi, Rv. 254968 : in applicazione del
principio di cui in massima la S.C. ha ritenuto commesso in Italia il delitto
di cui all’art. 73 d.P.R. n. 309 del 1990, sub specie di offerta, messa in
vendita e cessione di sostanze stupefacenti, in quanto lo scambio della
droga, ancorché materialmente avvenuto in territorio estero, era stato
preceduto da contatti telefonici con i singoli acquirenti i quali percepivano
la disponibilità alla cessione della droga in Italia da dove chiamavano).
Ne deriva che per tutti i reati per cui si procede la giurisdizione è
italiana.
Quanto, invero, al rilievo incidentale svolto dalla difesa sulla mancata
pronuncia da parte della Corte di appello di Ancona sulle deduzioni
difensive secondo cui il reato di favoreggiamento della immigrazione
clandestina si sarebbe consumato con l’imbarco dei clandestini in quanto
reato di pericolo a consumazione anticipata, si osserva che la
giurisprudenza di questa Corte configura detta fattispecie come reato di
evento coincidente con l’ingresso dei clandestini nel territorio italiano ( si

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(.4\.

CONSIDERATO IN DIRITTO

veda in ultimo Sez. 1, n. 11165 del 22/12/2015 – dep. 16/03/2016,
Almagasbi, Rv. 266430 ; ed anche Sez. 1, n. 18354 del 11/03/2014 dep. 05/05/2014, P.M. in proc. Hamada, Rv. 262543, che in motivazione
evidenzia come per detto tipo di reato la giurisdizione si radichi nel
momento in cui il natante fa ingresso nella zona contigua italiana) e
pertanto su di esso la Corte a qua non si pronunciava, non ritenendolo
pertinente. Invero, in sede di legittimità, non è censurabile una sentenza

quando risulti che la stessa sia stata disattesa dalla motivazione della
sentenza complessivamente considerata (Sez. 1, n. 27825 del
22/05/2013 – dep. 26/06/2013, Caniello ed altri, Rv. 256340).
Quanto, invece, alla censura difensiva secondo cui la Corte
territoriale si sarebbe limitata a rilevare il verificarsi del secondo decesso
nelle acque territoriali italiane, senza stabilire in quale orario il medico ha
preso cognizione di tale evento, la stessa è inammissibile, invitando ad
una rivalutazione dei datti fattuali in questa sede preclusa, a fronte di
un’argomentazione non manifestamente illogica dei Giudici del merito
che collocano detto decesso dopo l’ingresso nelle acque italiane e
precisamente dopo le ore 16,02, sulla base di una serie di dati
significativi e precisamente a) che alle ore 16,00 avveniva la scoperta
della presenza degli afgani sull’autobus, b) che il medico, come da sue
dichiarazioni, interveniva dopo un po’ di tempo constatando, oltre alla
morte di uno dei clandestini, anche le gravi condizioni dell’altro, che
sarebbe spirato dopo qualche minuto, e c) che ancora alle 16,36 si
comunicava alla Capitaneria di Porto che uno dei clandestini era deceduto
e che l’altro era in gravi condizioni (si veda sulla scansione temporale di
dette circostanze in particolare la sentenza di primo grado).
Anche il secondo ed il terzo motivo di ricorso sono inammissibili.
Invero, nel secondo motivo il difensore si duole che la Corte di
appello abbia ritenuto correttamente valutata la chiamata in correità del
Serainidis, senza dare adeguata risposta sui punti lamentati dalla difesa
con atto di appello in relazione al fatto che il suddetto abbia taciuto
dettagli fondamentali, incidenti sul suo grado di responsabilità, come le
percosse ai trasportati per evitare che uscissero dall’autobus che lo
rendono unico responsabile delle morti, e abbia reso dichiarazioni e
formulato l’accusa in modo da implicare una sua minore partecipazione
nel reato d’immigrazione clandestina. Il difensore censura l’errore in cui
cade il giudice di merito quando individua il riscontro esterno alle

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per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata con il gravame,

dichiarazioni del Seiranidis nelle testimonianza delle vittime, che, invece,
smentiscono il dichiarante sul coinvolgimento dell’imputato ed
evidenziano la sua condotta violenta ed impietosa durante la traversata in
mare. Ed il Collegio a quo non spiegherebbe con rigore logico le ragioni
per le quali il Seiranidis debba essere giudicato nondimeno
soggettivamente credibile, escludendo, anzi, il contrasto tra le sue
dichiarazioni e quelle dei tre clandestini. Il difensore ripercorre anche gli

come siano elementi di fatto equivoci ed imprecisi, quindi utilizzati in
violazione dell’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. In particolare, quanto
alla disponibilità del “telefono aziendale” da parte dell’imputato e alla
richiesta di uso da parte del Seiranidis, dimostrerebbero che se fosse
stato il ricorrente il referente di quest’ultimo sarebbe stato lo stesso a
decidere se, come e quando informare il “supervisore” a terra.
Col terzo motivo, invece, il difensore si duole che il Giudice a quo
abbia collegato l’evento non voluto all’azione dello Ioannidis, quando,
invece, era riconducibile alla costrizione nell’autobus parcheggiato nella
stiva della nave operata dal Seiranidis e di cui non aveva cognizione il
ricorrente. La conoscenza del pericolo da parte dell’imputato, asserita dal
giudice di merito, secondo la difesa non trova riscontro agli atti e
conseguentemente non ne è stata data contezza in motivazione.
Orbene, è evidente che con detti motivi solo formalmente sono
prospettati una violazione di legge, e precisamente dei canoni di
valutazione della prova di cui all’art. 192 cod. proc. pen., ed un vizio di
motivazione, ma in realtà viene richiesta un’inammissibile rivalutazione
delle circostanze attentamente e congruamente esaminate dalla Corte
territoriale e prima ancora dal Collegio di prime cure. Invero, come da
consolidato orientamento di questa Corte (si veda per tutte Sez. 2, n.
32839 del 09/05/2012, di cui si ripercorrono le argomentazioni), in
questa sede è preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi o
diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, ritenuti
maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa,
dovendosi il giudice della legittimità limitare a controllare se la
motivazione dei giudici di merito sia intrinsecamente razionale e capace
di rappresentare e spiegare

l’iter logico seguito. Quindi, non possono

avere rilevanza le censure volte ad offrire una lettura alternativa delle
risultanze probatorie, dal momento che il sindacato della Corte di

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ulteriori elementi indiziari indicati dai Giudici del merito, evidenziando

cassazione si risolve pur sempre in un giudizio di legittimità e la verifica
sulla correttezza e completezza della motivazione non può essere confusa
con una nuova valutazione delle risultanze acquisite.
A fronte di un iter argomentativo scevro da vizi logici e giuridici come
quello della sentenza impugnata – sopra riportato nel fatto – in cui si
affronta sia la questione dell’attendibilità soggettiva ed intrinseca del
chiamante in correità, confrontandosi anche col rilievo difensivo, secondo

abbia riferito dettagli sul suo accanimento sui trasportati, ed
escludendone la fondatezza (si veda a pag.3). Ed evidenziando come il
dichiarato del Seraidinis trovi riscontro in una serie di altri elementi, tutti
riportati in punto di fatto ( si veda pag.4 ), ed anche nelle stesse
dichiarazioni dello Ioannidis con riferimento alla richiesta del Serainidis di
usare il “telefono aziendale”, deponente per la piena consapevolezza
dell’imputato del trasporto dei clandestini. E sottolineando come la
ripartizione dei compiti tra i concorrenti in detto tipo di reato rientri nel

modus operandi proprio delle organizzazioni finalizzate al traffico di esseri
umani in ambito transnazionale. Ed argomentando, non solo in modo non
manifestamente illogico ma anche conforme al dato normativo e alla sua
interpretazione giurisprudenziale, sulla responsabilità dell’imputato nella
fattispecie di cui agli artt. 586 e 589 co. pen., considerati il nesso
eziologico tra il trasporto degli immigrati ed i due decessi e le lesioni
gravissime, da un lato, e dall’altro la colpa in concreto dell’imputato come
sopra specificata ( nel fatto, a fine pag. 5 e a pag. 6).
Infine, anche il quarto motivo di impugnazione è inammissibile.
Il difensore, invero, lamenta la premessa errata del ragionamento
della Corte di appello, che avrebbe dovuto ascrivere le modalità di
trasporto fino all’imbarco al ricorrente e al Seiranidis e a quest’ultimo
soltanto le condizioni di costrizione nella stiva della nave. Premessa, che
ha portato a confondere la condotta del ricorrente con quella grave del
Seiranidis anche quanto al trattamento sanzionatorio, mentre a tutto
concedere, secondo il difensore, l’apporto del ricorrente era
esclusivamente psicologico, con un minore disvalore, tale da determinare
il riconoscimento delle generiche prevalenti sulle contestate aggravanti ed
una pena attestata sui minimi edittali. Ci si duole, altresì, dell’aumento di
pena, irragionevole ed immotivato, nella massima espansione per
l’aggravante di cui alla lett. b) comma 3 del contestato art. 12, collegata
al fine di lucro e non alle condizioni inumane e di degrado del trasporto.

lo

cui detta attendibilità sarebbe inficiata dal fatto che il dichiarante non

Orbene, la valutazione attinente ad aspetti che rientrano nel potere
discrezionale del giudice di merito, esercitato congruamente, logicamente
ed anche in coerenza con il principio di diritto secondo il quale l’onere
motivazionale da soddisfare non richiede necessariamente l’esame di tutti
i parametri fissati dall’art. 133 cod. pen., si sottrae alle censure che
reclamino una rivalutazione in fatto di elementi già oggetto di valutazione
ovvero la valorizzazione di elementi che si assume essere stati

Come nel caso di specie in cui la Corte

a qua

(come sopra riportato, a

pag. 6) ha ampiamente e logicamente argomentato sulle modalità
gravissime dei fatti e sui danni rilevantissimi cagionati a tre persone per
meri motivi di lucro. A fronte delle quali argomentazioni non può essere
opposto il ruolo di minore disvalore dell’imputato nella vicenda delittuosa,
a giustificazione di un invocato trattamento sanzionatorio più favorevole,
con concessione di attenuanti generiche e riduzione dalla pena al minimo
edittale; né lamentato un aumento di pena eccessivo per l’aggravante.

2. Alla dichiarazione di inammissibilità consegue, ai sensi dell’art.
616 cod. proc. pen., la condanna dello Ioannidis al pagamento delle
spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost., sent. n.
186 del 2000), anche al versamento a favore della cassa delle ammende
di una sanzione pecuniaria che pare congruo determinare in euro 1000
(mille).

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di C. 1000 (mille) alla
Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 18 marzo 2016.

indebitamente preternriessi nell’apprezzamento del giudice impugnato.

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