Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29240 del 08/01/2016


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 29240 Anno 2016
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Ottaiano Luigi, nato a Napoli il 30/09/1966,
avverso la sentenza del 06/11/2014 della Corte di assise di appello di Roma,

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso.;
udita la relazione svolta dal consigliere Antonella Patrizia Mazzei;
udito il Pubblico Ministero, in persona deC-Sostituto Procuratore generale, Oscar
Cedrangolo, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito il difensore, avvocato Salvino Mondello del foro di Roma, che ha concluso
chiedendo raccoglimento dei motivi di ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1. Il 24 agosto 2012, in Anzio, intorno alle ore 22.30, perse la vita Andrioli
Massimiliano, attinto da un colpo di pistola all’avambraccio sinistro e da qui
penetrato nell’emitorace sinistro, terminando la sua corsa nella pleura, con
perforazione dell’arteria succlavia e conseguente fatale shock emorragico.
Il colpo fu esploso dalla guardia giurata, Ottaiano Luigi, nel tentativo dì
arrestare la fuga di Andrioli, il quale si era introdotto una prima volta nel

Data Udienza: 08/01/2016

padiglione in ristrutturazione dell’ospedale di Anzio, denominato “Faina”, insieme
alla compagna, Di Nucci Silvana, per forzare i distributori automatici di generi
alimentari e bevande, senza riuscire nell’intento; immediatamente dopo,
attrezzatosi con un piede di porco, Andrioli era ritornato nel medesimo posto,
questa volta da solo, per ritentare l’impresa; nel frattempo, però, era scattato
l’allarme e la guardia giurata, Ottaiano, in servizio di vigilanza, era accorsa per
sorprendere l’intruso; Andrioli, vistosi scoperto, aveva fatto repentino dietro

tale frangente, come ricostruito dal consulente tecnico nominato dal pubblico
ministero, mentre era aggrappato alla rete nel tentativo di allontanarsi, dando le
spalle all’inseguitore, Andrioli era stato raggiunto dall’unico colpo di pistola
all’arto sinistro, sparato da Ottaiano, subendo le predette lesioni mortali; la
vittima, già ferita, era comunque riuscita a scavalcare la recinzione e a portarsi
sulla strada dove aveva lasciato l’autovettura e la compagna, Di Nucci, in attesa,
senza però giungere a destinazione perché, lungo il percorso, si era accasciato al
suolo ed era spirato.
Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Velletri, con sentenza del
22 novembre 2013, emessa all’esito di giudizio abbreviato, ha ritenuto Ottaiano
responsabile di omicidio volontario con dolo diretto e, riconosciuta la sola
attenuante dell’avvenuto risarcimento del danno di cui all’art. 62, primo comma,
n. 6, cod. pen., ha condannato l’imputato, con la detta attenuante e la riduzione
per il rito, alla pena finale di quindici anni di reclusione.
La Corte di assise di appello di Roma, in parziale accoglimento
dell’impugnazione dell’imputato, con sentenza del 6 novembre 2014, ravvisato
invece il dolo indiretto ovvero eventuale, quale elemento psicologico del delitto,
e riconosciute anche le circostanze attenuanti generiche, ha rideterminato, con la
diminuzione per il rito abbreviato, in anni sei e mesi otto di reclusione la pena
finale inflitta ad Ottaiano.
Secondo la Corte di merito ricorre, nel caso di specie, il dolo eventuale,
avendo Ottaiano, con azione consapevole e volontaria, esploso da distanza
ravvicinata un colpo di pistola in direzione del corpo di un uomo in fuga e
disarmato, avendo come primario obiettivo quello di arrestarne la corsa ma
rappresentandosi e accettando, per la micidialità dell’arma usata, l’orientamento
dello sparo e la sua specifica esperienza quale guardia giurata, l’elevata
probabilità di ferire anche mortalmente il fuggitivo, in effetti attinto in distretto
corporeo vitale attraverso l’avambraccio sinistro.
La Corte di assise ha respinto le alternative prospettazioni difensive con le
seguenti argomentazioni: a) non vi fu accidentalità del colpo, scaturito dalla
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front, cercando di oltrepassare la rete di recinzione del padiglione e, proprio in

supposta caduta dell’imputato mentre inseguiva la persona offesa, che sarebbe
stata autrice di un gesto aggressivo nei suoi confronti, né il colpo fu determinato
da un riflesso automatico dell’agente, allorché il fuggitivo si sarebbe voltato
indietro, sorprendendo e allarmando col suo movimento l’inseguitore (al
riguardo, secondo la Corte territoriale, l’imputato aveva mendacemente riferito
di essere stato bersaglio del getto del piede di porco, scagliatogli contro dal
mancato ladro, e, comunque, aveva enfatizzato il gesto della vittima, ritenuto del

mentre era già sulla rete di recinzione, a tale gesto attribuendo lo sparo come
riflesso automatico); b) la morte non era configurabile come conseguenza non
voluta di un altro reato, ravvisato nella minaccia a mano armata ovvero nella
volontà di arrecare mere lesioni (il colpo, secondo la Corte di merito, fu esploso
non per intimidire, ma per fermare il ladro in fuga, e non subì alcuna deviazione
imprevista diventando letale e non solo lesivo, oltre la volontà dell’agente); c)
l’uso legittimo delle armi doveva escludersi per la palese sproporzione tra il bene
minacciato (tentato furto di generi alimentari e bevande di lieve valore) e quello
leso (la vita di una persona); d) neppure poteva sostenersi l’eccesso colposo
nell’uso legittimo delle armi, che postula la ricorrenza dei presupposti oggettivi
dell’esimente (nel caso di specie esclusi) ed un errore valutativo dell’agente circa
i limiti imposti dalla necessità di respingere la violenza o di vincere la resistenza.

2. Ottaiano, proponendo ricorso avverso la suddetta sentenza tramite il
difensore di fiducia, avvocato Salvino Mondello, deduce, ai sensi dell’art. 606,
comma 1, lett. b), c) e d), cod. proc. pen., violazione di legge in relazione all’art.
575 cod. pen., nonché mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della
motivazione, con riguardo alla ritenuta sussistenza del delitto di omicidio
volontario e, in particolare, alla qualificazione come dolo eventuale dell’elemento
psicologico del reato. Lamenta, altresì, travisamento del fatto in punto di
distanza tra sparatore e vittima, indicata in sentenza come breve (testualmente
“oltre 40 centimetri”), mentre, secondo la consulenza balistica in atti, essa
sarebbe maggiore, tra i due e gli otto metri, considerata la posizione dell’autore
del colpo rispetto a quella della persona da esso attinta.
Ad avviso del ricorrente, la qualificazione del fatto come omicidio volontario,
connotato da dolo indiretto od eventuale, tradirebbe la confusione tra mera
volontarietà della condotta (ravvisabile nel caso di specie, ma insufficiente a
configurare il dolo di omicidio) e volizione seppure indiretta dell’evento (da
escludersi, perseguendo l’imputato, guardia giurata, il solo scopo di arrestare la

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tutto normale dal collegio, di essersi voltato all’improvviso verso l’inseguitore

fuga del mancato ladro, introdottosi nottetempo nel padiglione in
ristrutturazione).
L’esclusione dell’accidentalità del colpo esploso (secondo la versione
difensiva, esso sarebbe stato conseguenza involontaria di uno scivolamento di
Ottaiano mentre inseguiva Andrioli) non giustificherebbe il riconoscimento della
volontà, seppure indiretta, dell’evento mortale.
Sottolinea il ricorrente che l’accettazione dell’evento deve rientrare non

piano della colpa cosciente), ma soprattutto in quello della volontà, nel senso
che, pur ritenendo probabile il verificarsi dell’esito letale quale conseguenza
diretta della propria azione, l’agente si sia comunque determinato ad agire; e
tale accettazione del rischio, come ogni elemento essenziale del fatto da
giudicare, deve formare oggetto di prova al di là di ogni ragionevole dubbio.
La sentenza impugnata, pur riconoscendo la ricorrenza di elementi
escludenti la volontà dell’imputato di cagionare la morte della persona offesa,
avrebbe contraddittoriamente attribuito all’Ottaiano la rappresentazione del
rischio di provocare la morte di Andrioli come conseguenza della propria azione,
finendo, in tal modo, per affermare in via solo presuntiva che l’imputato non
avrebbe potuto non volere l’evento mortale.
L’infondatezza dell’iniziale tesi difensiva, evocante lo stato di legittima difesa
in cui avrebbe agito Ottaiano, per essere stato bersaglio del lancio del piede di
porco di cui si era munito Andrioli per commettere il furto (lancio in realtà non
avvenuto), sarebbe inidonea a surrogare la prova (che si assume inesistente)
dell’elemento psicologico del delitto di omicidio, il quale deve essere
autonomamente e specificamente dimostrato sulla base di tutte le circostanze
del fatto.
Parimenti la riconosciuta esperienza dell’imputato nell’uso delle armi, per la
sua attività di guardia giurata, non apporterebbe alcun contributo di rilievo alla
pretesa accettazione da parte

sua dell’evento mortale come probabile

conseguenza della propria azione.
In sintesi, la sentenza impugnata

avrebbe trascurato le seguenti

considerazioni: l’uso dell’arma da parte di Ottaiano costituiva l’unico modo per
arrestare la fuga del mancato ladro; l’avere attinto zona vitale del fuggitivo non
conseguì ad un’azione caratterizzata dalla presa della mira e dal puntamento
dell’arma, poiché, come pure riconosciuto in sentenza, il colpo fu esploso in
movimento e in condizioni di instabilità sia dell’inseguitore in corsa sia
dell’inseguito in fuga; anche Andrioli, infatti, era in fase di repentino movimento
mentre cercava di scavalcare la rete di recinzione e di guadagnare l’uscita dal
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soltanto nell’ambito della rappresentazione (ciò che rileverebbe, semmai, sul

complesso ospedaliero, donde la reciproca concitazione dinamica di autore e
vittima nel momento in cui partì il colpo, senza che fosse accompagnato,
pertanto, dalla chiara rappresentazione dei suoi possibili effetti lesivi e, tanto
meno, dall’accettazione di quelli letali.
In proposito, la sentenza impugnata rivelerebbe un palese travisamento del
dato pertinente alla distanza tra i due soggetti (autore dello sparo e persona da
esso attinta), indicandola come molto breve con la testuale espressione, non

disposta dal Pubblico Ministero (esperti Di Girolamo/Boffi) del 14 gennaio 2013,
allegata al ricorso, tale distanza è stimata tra i due e gli otto metri, escludendo
quindi il colpo a bruciapelo e confortando, invece, la tesi difensiva secondo la
quale la possibilità di attingere il fuggitivo in sede vitale non formò oggetto di
rappresentazione da parte dell’agente e neppure gli si prospettò come possibile,
ma fu il frutto imprevisto e imponderabile del particolare contesto in cui si
consumò l’azione, connotato da reciproco dinamismo e repentinità motoria.
In definitiva, Ottaiano perseguì solo lo scopo di fermare la vittima e sparò
per interromperne la fuga, al più rappresentandosi il rischio di ferirla e giammai
di colpirla mortalmente, sicché l’evento letale si colloca oltre la sua intenzione,
quale conseguenza non voluta di una condotta eventualmente solo lesiva.
Per le predette ragioni il ricorrente ha chiesto, dunque, l’annullamento della
sentenza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non merita accoglimento.
Esso ruota, in tutte le sue articolazioni, sulla contestata ricorrenza del dolo
eventuale, oggetto, nella sentenza impugnata, di una disamina dall’esito
affermativo della sua sussistenza nel caso di specie, che il ricorrente assume,
invece, come non conforme alla retta interpretazione della norma di cui all’art.
43 cod. pen., discriminante l’elemento psicologico del reato in dolo e colpa, e
non sorretta da adeguata motivazione poiché travisante il dato della distanza tra
sparatore e destinatario dello sparo che sarebbe stata superiore a quella indicata
in sentenza.
Al riguardo, una recente sentenza della Corte di legittimità, nella sua più
autorevole composizione (Sez. U, n. 38343 del 24/04/2014, dep. 18/09/2014,
Espenhahn), ha operato una netta scelta a favore della rilevanza della volontà e
della sua ricerca in tema di dolo eventuale, definito come positiva adesione
all’evento collaterale della propria condotta che, ancor prima di essere accettato,
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brillante per chiarezza, di “oltre 40 centimetri”, mentre dalla relazione tecnica

sia chiaramente rappresentato nella psiche dell’autore, essendo essenziale, in
qualunque specie di dolo, la relazione tra la volontà e la causazione dell’evento.
In tale prospettiva, assume un ruolo cruciale il momento dell’accertamento
dell’atteggiamento psichico secondo un paradigma necessariamente indiziario.
Si tratta, in breve, di cercare sulla scena del fatto i segni dai quali inferire la
sicura accettazione degli effetti collaterali della propria condotta da parte
dell’autore di essa.

eventuale, fornendone un elenco articolato anche se dichiaratamente non
esaustivo e avendo cura di precisare la non necessaria concorrenza di essi,
potendo l’interprete avvalersi di tutti i possibili, anche alternativi, strumenti di
indagine.
In particolare assumono rilievo, secondo la sentenza delle sezioni unite, i
seguenti elementi: la condotta che caratterizza l’illecito, la quale riveste
particolare importanza nei delitti di sangue (caratteristiche dell’arma, ripetizione
dei colpi, parti prese di mira e parti colpite); la lontananza del comportamento in
concreto tenuto dalla condotta standard, negli ambiti governati da discipline
cautelari; la personalità, la storia e le precedenti esperienze che possono
indiziare la piena consapevolezza delle conseguenze lesive che possono derivare
dalla condotta con la conseguente accettazione dell’evento; la durata e la
ripetizione della condotta; il comportamento successivo al fatto; il fine della
condotta e la sua motivazione di fondo e la compatibilità con esso delle
conseguenze collaterali, cioè la congruenza del “prezzo” connesso all’evento non
direttamente voluto rispetto al progetto d’azione; la probabilità di verificazione
dell’evento; le conseguenze negative o lesive anche per l’agente in caso di
verificazione dell’evento (indicatore rilevante specialmente nell’infortunistica
stradale); il contesto lecito o illecito in cui si opera; i tratti di scelta razionale che
sottendono la condotta, mentre in linea di principio sono ininfluenti gli stati
affettivi ed emozionali; il controfattuale alla stregua della prima formula di Frank,
sempre che si sia in possesso di informazioni altamente affidabili che consentano
di rispondere con sicurezza alla domanda su ciò che l’agente avrebbe fatto se
avesse conseguito la previsione della sicura verificazione dell’evento illecito
collaterale.
Nel caso di specie, con motivazione adeguata e coerente, rendendo
esaustiva risposta alle obiezioni difensive riproposte in questa sede come vizi di
legittimità della decisione sotto il profilo della ritenuta violazione della norma che
disciplina l’elemento psicologico del delitto di omicidio e della denunciata
inconsistenza logico-argonnentativa della decisione, la Corte dì assise di appello,
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La giurisprudenza richiamata esemplifica gli indizi o indicatori del dolo

nella necessaria intersezione tra indagine psicologica e valutazioni di carattere
obiettivo, ha dato ragionevole prevalenza, come indicatori dell’accettazione
subordinata (e non solo della rappresentazione), da parte dell’agente,
dell’estremo evento lesivo, ai seguenti elementi: micidialità dell’arma usata;
direzione del colpo benché unico alla persona del fuggitivo, e non in aria come
consigliato da norme di ordinaria prudenza in casi simili, evidentemente note
all’autorei esercente per professione l’attività di guardia giurata; distanza di sparo

indicati dai consulenti tecnici, è stata correttamente indicata in sentenza come
modesta, considerata altresì la diversa velocità di spostamento dell’inseguitore a
piedi e senza ostacoli rispetto a quella dell’inseguito impegnato nella non agevole
scalata della rete di recinzione.
L’insieme di tali elementi, pertanto, non irragionevolmente e senza violare la
norma giuridica in materia, è stato ritenuto come indicativo della volontà di
fermare ad ogni costo il mancato autore di un modesto furto, anche a prezzo di
ferirlo in modo grave e purtroppo letale, come di fatto avvenuto.
Tale essendo la cornice e ragione decisoria i le ulteriori e pur diffuse censure
difensive, al di là del tema di fondo circa il discrimine tra dolo eventuale e colpa
cosciente, correttamente applicato e motivato in sentenza, si risolvono in
doglianze sul merito del giudizio e non sulla struttura logico-giuridica di esso e
non possono, pertanto, formare oggetto di esame nel giudizio di legittimità.

2. Segue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente, a norma dell’art.
616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 08/01/2016.

che, pure assumendo come valore quello mediano tra i due e gli otto metri

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