Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29233 del 24/03/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 29233 Anno 2015
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: BELTRANI SERGIO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
ATZEI MAURIZIO N. IL 12/01/1974
avverso la sentenza n. 316/2014 CORTE APPELLO di CAGLIARI, del
16/06/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI;

Data Udienza: 24/03/2015

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Cagliari ha
confermato la sentenza con la quale in data 10.12.2013 il GUP del Tribunale di
Oristano aveva dichiarato MAURIZIO ATZEI, in atti generalizzato, colpevole di
concorso in rapina aggravata e resistenza a p.u., condannandolo alla pena
ritenuta di giustizia.
Contro tale provvedimento, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione,

impropria aggravata (asseritamente integrante un mero furto) ed al suo
concorso con il reato di cui all’art. 337 c.p., e vizio di motivazione quanto alla
confessione scritta che si afferma essere stata resa dall’imputato, e che
avrebbe dovuto indurre a mitigare la pena.
All’odierna udienza camerale, celebrata ex art. 611 c.p.p., si è preso atto
della regolarità degli avvisi di rito; all’esito questa Corte Suprema ha deciso
come da dispositivo in atti.
Il ricorso è integralmente inammissibile perché assolutamente privo di
specificità in tutte le sue articolazioni (reiterando, più o meno
pedissequamente, censure già dedotte in appello e già non accolte: Sez. IV,
sentenza n. 15497 del 22 febbraio – 24 aprile 2002, CED Cass. n. 221693;
Sez. VI, sentenza n. 34521 del 27 giugno – 8 agosto 2013, CED Cass. n.
256133), del tutto assertivo, e, comunque, manifestamente infondato, a
fronte dei dettagliati e corretti rilievi posti a fondamento delle contestate
statuizioni, quanto alla qualificazione giuridica della rapina ed al suo concorso
con il reato di cui all’art. 337 c.p. (f. 5 ss.).
Dal riepilogo dei motivi di appello (f. 4 s.), che il ricorrente non ha
contestato, non emerge alcun riferimento alla terza doglianza, che deve quindi
ritenersi tardivamente dedotta in questa sede, e comunque generica. Questa
Corte (Sez. II, sentenza n. 9028 del 5 novembre 2013, dep. 25 febbraio 2014,
CED Cass. n. 259066) ha già chiarito che è inammissibile, per difetto di
specificità del motivo, il ricorso per cassazione con cui si deducano violazioni di
legge verificatesi nel giudizio di primo grado o vizi di motivazione, se l’atto non
procede alla specifica contestazione del riepilogo dei motivi di appello contenuto
nella sentenza impugnata, qualora questa abbia omesso di indicare che l’atto di
impugnazione proposto avverso la decisione del primo giudice aveva anch’esso
già denunciato le medesime violazioni di legge o vizi di motivazione.

lamentando violazione di legge quanto alla qualificazione giuridica della rapina

Nel caso di specie, il predetto motivo è, pertanto, non consentito, perché il
vizio di motivazione che ne costituisce oggetto, in ipotesi verificatosi nel corso
del giudizio di primo grado, è stato dedotto per la prima volta in questa sede.
Le relative doglianze non risultano, infatti, formulate tra i motivi di appello,
come si evince anche dal riepilogo degli stessi riportato nel provvedimento
impugnato (f. 4 s.), e sarebbero, comunque, generiche perché il ricorrente, in
virtù dell’onere di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, imposto
dall’art. 581, comma 1, lett. C), c.p.p., avrebbe avuto il dovere processuale di

dalla Corte di appello nella sentenza impugnata, se ritenuto incompleto o
comunque non corretto, poiché la tempestiva deduzione del vizio di motivazione
come motivo di appello costituisce requisito che legittima la riproposizione della
doglianza in cassazione e, pertanto, di ciò il ricorso, con la dovuta specificità,
deve dar conto. Il principio della non deducibilità per la prima volta in sede di
legittimità di vizi di motivazione non dedotti in precedenza come motivo di
appello è stato successivamente affermato, pur con riferimento a fattispecie
diversa, da Sez. V, sentenza n. 48703 del 24 settembre 2014, CED Cass. n.
261438, e va ribadito.

La declaratoria di inammissibilità totale del ricorso comporta, ai sensi
dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonché – apparendo evidente che il ricorso è stato proposto
determinando la causa di inammissibilità per colpa (Corte cost., 13 giugno 2000
n. 186) e tenuto conto della rilevante entità di detta colpa – della somma di
euro mille in favore della Cassa delle ammende a titolo di sanzione pecuniaria.

P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, udienza camerale 24 marzo 2015

Il Co ponente estensore

Il Presidente

contestare specificamente il riepilogo dei motivi dì gravame di ciascuno operato

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