Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29233 del 21/03/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 29233 Anno 2016
Presidente: VESSICHELLI MARIA
Relatore: FIDANZIA ANDREA

t.-71sTr
sul ricorso proposto da:
CORIGLIANO PANTALEO N. IL 10/01/1983

avverso la sentenza n. 1211/2013 CORTE APPELLO SEZ.DIST. di TARANTO del 03/02/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso udita in PUBBLICA UDIENZA del 21/03/2016 la relazione fatta
dal Consigliere Dott. ANDREA FIDANZIA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. AGNELLO ROSSI
che ha concluso per

Udit i difensor Avv.;

Data Udienza: 21/03/2016

Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, dott. Agnello Rossi, ha concluso per
l’annullamento senza rinvio trattandosi di reato depenalizzato. L’avv. Mario Calzolaro
Calzavara per la parte civile ha chiesto il rigetto del ricorso riportandosi alle conclusioni che
deposita con nota spese.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 23 gennaio 2013 la Corte d’Appello di Lecce – sezione
distaccata di Taranto – confermava la sentenza di primo grado con cui Corigliano Pantaleo
veniva condannato alla pena di giustizia per il reato di cui all’art. 485 c.p. per aver stipulato

Taranto via Nitti n. 65, indicando i dati anagrafici di Agone Rosa e apponendovi la sua firma
apocrifa

.

2. Con atto sottoscritto dal suo difensore ha proposto ricorso per cassazione l’imputato
affidandolo a due motivi.
2.1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione di legge penale nonché la
manifesta illogicità della motivazione .
Lamenta il ricorrente che la Corte territoriale ne ha affermato la penale responsabilità
pur in assenza di prove certe al di là di ogni ragionevole dubbio.
2.2. Con il secondo motivo è stata lamentata la mancata sostituzione della pena
detentiva in pecuniaria.
La Corte aveva rigettato tale richiesta in ragione della asserita genericità pur
riscontrando la tenuità dei fatti e la sua incensuratezza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il delitto per il quale il ricorrente è stato condannato dalla Corte territoriale è il falso
in scrittura privata previsto dall’art. 485 c.p., disposizione che è stata abrogata dall’arti lett.
a) d.lgs. 15 gennaio 2016 n. 7 (entrato in vigore lo scorso 6 febbraio essendo stato pubblicato
sulla Gazz. Uff. n. 17 del 22 gennaio 2016).
Ne consegue che la sentenza impugnata deve essere certamente annullata agli effetti
penali perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato.

eroblematica è,

invece, la questione giuridica delle statuizioni civili pronunziate nei gradi di merito
conseguentemente all’accertamento del fatto contestato all’imputato.
2. Va, preliminarmente, osservato che la questione dell’impatto sulle statuizioni civili
dell’abrogazione della norma incriminatrice è stata ripetutamente affrontata dalla
giurisprudenza di legittimità con specifico riguardo all’ipotesi della revoca della sentenza di
condanna divenuta definitiva. Sul punto, l’orientamento consolidato di questa Corte è che la
eventuale revoca della sentenza di condanna per abolitio criminis ai sensi dell’art. 2, comma
secondo, c.p. , conseguente alla perdita del carattere di illecito penale del fatto, non comporta
il venir meno della natura di illecito civile del medesimo fatto. Pertanto, la sentenza non deve
essere revocata relativamente alle statuizioni civili derivanti da reato, le quali continuano a
2

con la Sorgenia s.p.a. un contratto di fornitura di energia elettrica relativo all’immobile sito in

costituire fonte di obbligazioni efficaci nei confronti della parte danneggiata (Sez. 5, n.
4266/06 del 20 dicembre 2005, Colacito, Rv. 233598; Sez. 5, n. 28701 del 24 maggio 2005,
P.G. in proc. Romiti ed altri, Rv. 231866; Sez. 6, n. 2521 del 21 gennaio 1992, Dalla Bona,
Rv. 190006).
Tale principio non può, tuttavia, applicarsi anche nel caso in cui l’abolitio criminis sia
intervenuta prima del passaggio in giudicato della sentenza di condanna, ostandovi il chiaro
disposto di cui all’art. 538 c.p.p.

viene meno la possibilità di una pronunzia definitiva di condanna agli effetti penali perché il
fatto non è più previsto dalla legge come reato, viene parimenti a cadere anche l’obbligazione
restitutoria o risarcitoria, data la natura accessoria e subordinata della stessa rispetto
all’azione penale, con la conseguenza che le statuizioni civili fino a quale momento adottate
devono essere revocate.
Né può aver rilievo che, in ipotesi di estinzione del reato per amnistia o prescrizione,
l’art. 578 c.p.p. preveda che il giudice dell’appello e quello di legittimità debbano comunque
decidere l’impugnazione ai soli fini civili.
Si tratta di una disposizione di natura eccezionale, come tale non suscettibile di
applicazione analogica.
Va, peraltro, osservato che la Consulta ha recentemente riaffermato (Corte Cost. n. 12
del 2016) la legittimità della scelta di non mantenere la competenza del giudice penale a
pronunciare sulle pretese civilistiche anche quando l’affermazione della responsabilità non
abbia luogo, dato che tale possibile esito è ben noto al danneggiato nel momento in cui sceglie
se esercitare l’azione di danno nella sede sua propria, o inserirla nel processo penale.
In particolare, secondo la Corte, <

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