Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29232 del 15/03/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 29232 Anno 2016
Presidente: ZAZA CARLO
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MARGHERITIS MARIO N. IL 06/06/1942
avverso la sentenza n. 6961/2013 CORTE APPELLO di MILANO, del
16/03/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/03/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ALFREDO GUARDIANO
n
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per ‘

LIE;-_,

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 15/03/2016

FATTO E DIRITTO

1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Milano,

data 3.6.2013, aveva condannato Margheritis Mario alla pena
ritenuta di giustizia ed al risarcimento dei danni derivanti da
reato, in relazione al reato ex art. 469, c.p. così riqualificata
l’originaria imputazione ex artt. 476 482, c.p., di cui al capo A),
nonché in relazione ai reati ex art. 483, c.p., così riqualificata
l’originaria imputazione ex artt. 48, 479, c.p., di cui ai capi C); E);
G); I); M) ed O), dichiarava non doversi procedere nei confronti
dell’imputato in relazione ai reati di cui ai capi A); C); E) e G),
perché estinti per prescrizione, con conseguente rideterminazione
del trattamento sanzionatorio in senso più favorevole al reo con
riferimento ai reati di cui ai capi I); M) ed O), confermando nel
resto la sentenza impugnata.
2. Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede
l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione
l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, avv. Nicola Campana,
del Foro di Milano, lamentando: 1) violazione di legge e vizio di
motivazione in ordine alla dedotta eccezione di nullità della
sentenza di primo grado per violazione degli artt. 521 e 522,
c.p.p., in quanto il tribunale, a differenza di quanto sostenuto
dalla corte territoriale, ha in realtà proceduto ad una diversa
qualificazione del fatto ipotizzando alternativamente che il timbro
del comune sia stato trafugato dall’ufficio del Pellegrini oppure che
quest’ultimo abbia depositato quel giorno altri atti da dove sia
stato possibile fotocopiare il timbro dell’ufficio, per cui la diversa

in parziale riforma della sentenza con cui il tribunale di Como, in

qualificazione si fonda su elementi strutturalmente diversi da
quelli caratterizzanti l’originaria imputazione; 2) violazione di
legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata assunzione di
una perizia ai sensi dell’art. 507, c.p.p., al fine di accertare

capo A); 3) vizio di motivazione in ordine alla sussistenza degli
elementi costitutivi dei reati di cui si discute, rispetto ai quali le
doglianze prospettate con l’atto di appello non hanno ottenuto
risposta, essendosi limitata la corte territoriale a riportarsi alla
motivazione della sentenza impugnata.
3. Il ricorso va dichiarato inammissibile per le seguenti ragioni.
4.

Ed invero generico nella sua stessa formulazione appare il

primo motivo di ricorso.
Al riguardo va rilevato che, secondo l’orientamento prevalente
nella giurisprudenza di legittimità, la violazione del principio di cui
all’art. 521, c.p.p., in tema di correlazione tra imputazione
contestata e sentenza, si verifica in presenza solo di una
trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della
fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta
prevista dalla legge, con la conseguenza che, vertendosi in
materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto
insussistente quando l’imputato, attraverso l'”iter” del processo,
sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in
ordine all’oggetto dell’imputazione. (cfr, ex plurimis, Cass., sez.
IV, 16/02/2012, n. 17069, G. e altro).
Orbene nel caso in esame il ricorrente non indica specificamente
in che modo, durante lo svolgimento del processo, si sarebbe
trovato nella impossibilità di difendersi concretamente in ordine
all’oggetto dell’imputazione.

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l’autenticità del documento oggetto della contestazione di cui al

Sul punto, peraltro, la corte territoriale ha reso adeguata
motivazione, evidenziando, conformemente ai principi di diritto in
precedenza indicati, come, nel caso in esame, “nel capo
d’imputazione siano contestati gli elementi fondamentali idonei a

sentenza” (anche con particolare riferimento alla questione del
fotomontaggio, su cui si è specificamente soffermato il consulente
tecnico del Margheritis), nonché rilevando correttamente come la
stessa giurisprudenza di legittimità abbia affermato, in fattispecie
analoga a quella in esame, che integra gli estremi del delitto
previsto dall’art. 469, c.p., la riproduzione, mediante un
programma informatico, dell’impronta dell’ufficio postale su una
falsa ricevuta attestante l’avvenuto pagamento relativo ad una
imposizione tributaria (cfr. Cass., sez. V, 16.1.2014, n. 6352, rv.
25885), ritenendo, pertanto, corretta la riqualificazione ai sensi
dell’art. 469, c.p., di un fatto, originariamente ricondotto al
paradigma normativo di cui agli artt. 476-482, c.p.
Sicché, sul punto, la genericità del motivo di impugnazione si
apprezza anche sotto il profilo della mera reiterazione di una
doglianza formulata in appello, cui la corte territoriale ha fornito
risposta, attraverso una puntuale argomentazione, con cui,
tuttavia, il ricorrente non si confronta.
5. Manifestamente infondato, oltre che generico, appare il
secondo motivo di ricorso.
Come chiarito, infatti, dalla Corte di cassazione nella sua
espressione più autorevole, il potere del giudice di disporre
d’ufficio l’assunzione di nuovi mezzi di prova, ai sensi dell’art. 507
c.p.p., può essere esercitato pur quando non vi sia stata
precedente acquisizione di prove, e anche con riferimento a prove

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porre l’imputato in condizioni di difendersi dal fatto poi ritenuto in

che le parti avrebbero potuto chiedere e non hanno chiesto, ma
sempre che l’iniziativa probatoria sia assolutamente necessaria e
miri, pertanto, all’assunzione di una prova decisiva nell’ambito
delle prospettazioni delle parti (cfr. Cass., sez. un., 17/10/2006,

Al riguardo l’imputato afferma apoditticamente che la perizia di cui
ha chiesto l’espletamento ai sensi dell’art. 507, c.p.p., avrebbe
natura di prova decisiva ai fini di accertare l’eventuale sussistenza
della contraffazione contestatagli, dimenticando, tuttavia, che,
secondo il costante orientamento della giurisprudenza di
legittimità, la perizia, per il suo carattere “neutro” sottratto alla
disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice,
non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva, con la
conseguenza che il relativo provvedimento di diniego non è
sanzionabile ai sensi dell’art.606, co. 1, lett. d), c.p.p. (norma
erroneamente richiamata dal ricorrente), in quanto giudizio di
fatto che se sorretto da adeguata motivazione è insindacabile in
cassazione (cfr., ex plurimis, Cass., sez. IV, 22.1.2007, n. 14130,
rv. 236191).
Motivazione che, nel caso in esame, la corte territoriale ha
puntualmente reso, evidenziando, attraverso un’esaustiva
valutazione delle risultanze processuali, come sia stato
pacificamente dimostrato che “l’originale della dichiarazione di fine
lavori, con la richiesta del certificato di agibilità e contenente il
timbro di deposito presso gli uffici comunali del 16.7.2007, non
era stato mai rinvenuto presso gli uffici del comune di Como,
presso i quali mai era stata depositata alcuna pratica in quella
data” (cfr. p. 7).

4

n. 41281).

6. Generico e manifestamente infondato, appare, infine, l’ultimo
motivo di ricorso.
La corte territoriale ha, in realtà, reso una motivazione
articolatissima in cui ha riportato l’intero percorso argomentativo

l’impianto, facendo puntuale applicazione dei principi in tema di
motivazione

per relationem

da tempo elaborati dalla

giurisprudenza di legittimità, condivisi dal Collegio.
La motivazione “per relationem” di un provvedimento giudiziale,
infatti, è da considerare legittima quando, come nel caso in
esame: 1) faccia riferimento, recettizio o di semplice rinvio, a un
legittimo atto del procedimento, la cui motivazione risulti congrua
rispetto all’esigenza di giustificazione propria del provvedimento di
destinazione; 2) fornisca la dimostrazione che il giudice ha preso
cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del
provvedimento di riferimento e le abbia meditate e ritenute
coerenti con la sua decisione; 3) l’atto di riferimento, quando non
venga allegato o trascritto nel provvedimento da motivare, sia
conosciuto dall’interessato o almeno ostensibile, quanto meno al
momento in cui si renda attuale l’esercizio della facoltà di
valutazione, di critica ed, eventualmente, di gravame e,
conseguentemente, di controllo dell’organo della valutazione o
dell’impugnazione (cfr., ex plurimis, Cass., sez. VI, 4.11.2014, n.
53420, rv. 261839).
Allo stesso tempo la corte territoriale ha fornito adeguata risposta
alle questioni poste nei motivi di appello, adempiendo, in tal
modo, all’obbligo di motivazione gravante sul giudice
dell’impugnazione, che, giova ricordare, non è tenuto a fornire
specifica ed espressa risposta a ciascuna delle singole

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seguito dal primo giudice, al quale ha aderito condividendone

argomentazioni, osservazioni o

rilievi contenuti nell’atto

d’impugnazione, se il suo discorso giustificativo, come nel caso in
esame, indica le ragioni poste a fondamento della decisione e
dimostra di aver tenuto presenti i fatti decisivi ai fini del giudizio,

a sostegno dell’appello, ed incompatibili con le motivazioni
contenute nella sentenza, devono ritenersi, anche implicitamente,
esaminate e disattese dal giudice, con conseguente esclusione
della configurabilità del vizio di mancanza di motivazione di cui
all’art. 606, co. 1, lett. e), c.p.p. (cfr., ex plurimis, 18.6.2014, n.
37588, rv. 260841).
7. Sulla base delle svolte considerazioni il ricorso di cui in
premessa va, dunque, dichiarato inammissibile, con condanna del
ricorrente, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al pagamento delle spese
del procedimento e della somma di euro 1000,00 a favore della
cassa delle ammende, tenuto conto della circostanza che
l’evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione, non
consente di ritenere il ricorrente medesimo immuni da colpa nella
determinazione delle evidenziate ragioni di inammissibilità (cfr.
Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).
P.Q. M .
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro
1000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 15.3.2016.

sicché, quando ricorre tale condizione, le argomentazioni addotte

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