Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29231 del 15/03/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 29231 Anno 2016
Presidente: ZAZA CARLO
Relatore: GUARDIANO ALFREDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MASTRINI ANNA MARIA N. IL 08/12/1959
avverso la sentenza n. 181/2007 CORTE APPELLO di PERUGIA, del
27/06/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/03/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ALFREDO GUARDIANO
.
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per St,
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv. C0-1,
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Data Udienza: 15/03/2016

FATTO E DIRITTO

1. Con la sentenza di cui in epigrafe la corte di appello di Perugia

preliminari presso il tribunale di Spoleto, in data 10.11.2006,
decidendo in sede di giudizio abbreviato, aveva condannato alla
pena ritenuta di giustizia Mastrini Anna Maria, imputata del delitto
di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione, in
relazione al fallimento della ditta “Maestrini s.a.s. di Maestrini
Anna Maria & C.”, di cui l’imputata era socia di maggioranza ed
amministratrice, dichiarato in data 24.10.2001 con sentenza del
tribunale di Spoleto.
2.

Avverso la sentenza della corte territoriale, di cui chiede

l’annullamento, ha proposto tempestivo ricorso per cassazione
l’imputata, a mezzo del difensore di fiducia, avv. Carlo Bizzarri,
del Foro di Perugia, lamentando: 1) violazione di legge in ordine
alla mancata dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione
già compiutasi prima della pronuncia della sentenza di secondo
grado; 2) nullità del giudizio di primo grado e degli atti ad esso
successivi, conseguente alla nullità della richiesta di rinvio a
giudizio del pubblico ministero e del contestuale avviso di
fissazione della data dell’udienza

preliminare, tutti atti

erroneamente notificati all’imputata nella vecchia residenza di
Panicate, frazione Tavernelle, alla via della Resistenza 132/C,
quando l’interessata era già emigrata ad altro indirizzo; 3)
violazione di legge e vizio di motivazione con rifermento al reato
innanzi indicato, in quanto il mancato rinvenimento dei beni nel
patrimonio della società non può ritenersi sintomatico di dolosa

confermava la sentenza con cui il giudice per le indagini

distrazione, anche in considerazione del loro modesto valore, che
non consente di affermare che tali beni siano stati
volontariamente e dolosamente sottratti alla garanzia dei
creditori, apparendo, piuttosto, credibile che siano stati smarriti o

3. Il ricorso va dichiarato inammissibile per le seguenti ragioni.
4. Manifestamente infondato appare il primo motivo di ricorso.
Ed invero, correttamente la ricorrente ha ritenuto che, ai sensi
della nuova disciplina in tema di prescrizione, introdotta dall’art.
6, co. 1, I. 5 dicembre 2005, n. 251, applicabile in quanto più
favorevole al reo, il termine di prescrizione, tenuto conto della
pena detentiva edittale massima prevista per il delitto di
bancarotta fraudolenta documentale e degli atti interruttivi
intervenuti, nella sua estensione massima, è pari, conformemente
alla previsione del combinato disposto degli artt. 157, co. 1 e 2,
160 e 161, co. 2, c.p., a dodici anni e sei mesi.
L’imputata, tuttavia, ha omesso di considerare che, nell’ambito
del procedimento de quo, è stata dichiarata la sospensione del
corso della prescrizione, ai sensi dell’art. 159, c.p., per un periodo
di tempo pari a centoquaranta giorni.
Ne consegue che, dovendosi aggiungere il suddetto periodo al
termine di prescrizione, che, nella sua estensione massima,
sarebbe scaduto il 24 aprile 2014, in considerazione della data di
consumazione del reato, che, come è noto, è ancorata alla
dichiarazione di fallimento, la prescrizione si sarebbe
definitivamente consumata soltanto in data 11.9.2014, quindi
successivamente alla pronuncia della sentenza di secondo grado.
Tale circostanza non consente di rilevare il compiuto decorso del
termine di prescrizione, poiché, come si dirà, anche gli ulteriori

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rottamati.

motivi di impugnazione conducono all’inammissibilità originaria del
ricorso (cfr., ex plurimis, Cass., sez. III, 30/01/2014, n. 9626).
5. Il secondo motivo di ricorso appare sia manifestamente
infondato che, in parte, generico, in quanto esso si presenta

punto in sede di appello, non confrontandosi l’imputata con la
puntuale risposta fornita al riguardo dal giudice di secondo grado.
Da un lato, infatti, l’avviso ex art. 415 bis, c.p.p., come risulta
dagli atti, consultabili in questa sede di legittimità, essendo stato
dedotto un error in procedendo, risulta regolarmente notificato
mediante avviso di ricevimento di plico non recapitato, che il
marito dell’imputata, in qualità di soggetto all’uopo da
quest’ultima delegata, ha provveduto a ritirare (cfr. fol. 100).
Ed invero, in caso di notificazione a mezzo posta l’incaricato del
ritiro presso l’ufficio postale non deve avere i requisiti stabiliti
dall’art. 7 della legge 20 novembre 1982, n. 890, previsti per i
soggetti abilitati a ricevere il plico nel luogo indicato sulla busta,
essendo sufficiente che il delegato, come nel caso in esame,
sottoscriva l’avviso di ricevimento con la indicazione della specifica
qualità e l’agente postale certifichi con la sua firma in calce al
documento la ritualità della consegna (cfr. Cass., sez. VI,
17.4.2012, n. 21434, rv. 2562787).
Dall’altro lato, come correttamente rilevato dalla corte territoriale,
l’avviso di fissazione dell’udienza preliminare risulta debitamente
notificato all’imputata all’indirizzo di Panicale, frazione Tavernelle,
via della Resistenza, n. 132 C, mediante consegna di copia alla
figlia Violetta Sonia, dichiaratasi convivente.
L’attestazione del rapporto di stretta parentela tra il consegnatario
ed il destinatario dell’atto, infatti, fa desumere il rapporto di

3

anche come meramente reiterativo delle doglianze espresse sul

,

convivenza, mentre la capacità di intendere e di volere del
consegnatario stesso deve essere ritenuta “in re ipsa” dal
momento che la legge non impone all’ufficiale giudiziario il
compimento di particolari indagini (cfr., ex plurimis, Cass., sez. II,

6. Quanto all’ultimo motivo di ricorso, va rilevato che con esso la
ricorrente espone, peraltro genericamente, censure che si
risolvono in una mera rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione impugnata, sulla base di nuovi e
diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, senza
individuare vizi di logicità tali da evidenziare la sussistenza di
ragionevoli dubbi, ricostruzione e valutazione, in quanto tali,
precluse in sede di giudizio di cassazione (cfr. Cass., sez. V,
22.1.2013, n. 23005, rv. 255502; Cass., sez. I, 16.11.2006, n.
42369, rv. 235507; Cass., sez. VI, 3.10.2006, n. 36546, rv.
235510; Cass., sez. III, 27.9.2006, n. 37006, rv. 235508).
Ed invero non può non rilevarsi come il controllo del giudice di
legittimità, anche dopo la novella dell’art. 606, c.p.p., ad opera
della I. n. 46 del 2006, si dispiega, pur a fronte di una pluralità di
deduzioni connesse a diversi atti del processo, e di una correlata
pluralità di motivi di ricorso, in una valutazione necessariamente
unitaria e globale, che attiene alla reale esistenza della
motivazione ed alla resistenza logica

del ragionamento del

giudice di merito, essendo preclusa al giudice di legittimità la
rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione
o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione
e valutazione dei fatti (cfr. Cass., sez. VI, 26.4.2006, n. 22256,
rv. 234148).

4

16.9.2014, n. 47691, rv. 260679).

,

7. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue la
condanna della ricorrente, ai sensi dell’art. 616, c.p.p., al
pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro
1000,00 a favore della cassa delle ammende, tenuto conto della

impugnazione, non consente di ritenere la ricorrente medesima
immune da colpa nella determinazione delle evidenziate ragioni di
inammissibilità (cfr. Corte Costituzionale, n. 186 del 13.6.2000).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro
1000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 15.3. 2016

circostanza che l’evidente inammissibilità dei motivi di

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