Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29226 del 14/03/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 29226 Anno 2016
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di
Addis Pietrino, nato a Sindia il 01/06/1953

avverso la sentenza emessa il 21/09/2015 dalla Corte di appello di Ancona

visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Giovanni Di Leo, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del
ricorso

RITENUTO IN FATTO

Il difensore di Pietrino Addis ricorre avverso la pronuncia indicata in epigrafe,
recante la conferma della sentenza emessa nei confronti del suo assistito, in data
02/07/2013, dal Tribunale di Urbino; l’imputato risulta essere stato condannato a
pena ritenuta di giustizia in ordine al delitto di cui all’art. 483 cod. pen., per

Data Udienza: 14/03/2016

..

avere falsamente dichiarato, in una istanza volta ad ottenere l’autorizzazione a
svolgere attività di commercio ambulante, di essere in possesso dei relativi
requisiti (quando invece egli aveva riportato in precedenza delle condanne
ostative, anche per rapina).
Con l’odierno ricorso, la difesa deduce che, all’epoca della richiesta de qua,
l’Addis aveva riportato una sola condanna definitiva per emissione di assegni a
vuoto (fattispecie ormai depenalizzata), mentre la pena inflittagli per il reato ex
art. 628 cod. pen. era stata da lui scontata oramai cinque anni prima, senza che

1998. Perciò, in punto di possesso dei requisiti morali per l’esercizio del
commercio, l’Addis, avendo «scontato da tempo la pena, ed essendosi rimesso in
linea con la giustizia, riteneva di essere al riparo da ogni divieto, almeno
relativamente al commercio ambulante, oggi peraltro praticato da quella
moltitudine sbarcata dentro i nostri confini, senza uno straccio di documento».
Il difensore del ricorrente segnala altresì che «la norma in predicato
sanziona la falsa attestazione resa al pubblico ufficiale in un atto pubblico,
laddove nella specie siamo in presenza di un atto amministrativo, non
riconducibile alle condotte punibili».

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve ritenersi inammissibile, per manifesta infondatezza e
genericità dei motivi.
Infatti, le doglianze mosse nell’interesse dell’imputato riproducono ragioni
già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, e per costante
giurisprudenza il difetto di specificità del motivo – rilevante ai sensi dell’art. 581,
lett. c), cod. proc. pen. – va apprezzato non solo in termini di indeterminatezza,
ma anche «per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla
decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal
momento che quest’ultima non può ignorare le esplicitazioni del giudice
censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità che conduce, a norma dell’art.
591, comma 1, lett. c), cod. proc. pen., all’inammissibilità dell’impugnazione»
(Cass., Sez. H, n. 29108 del 15/07/2011, Cannavacciuolo). Già in precedenza,
e nello stesso senso, si era rilevato che «è inammissibile il ricorso per cassazione
fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già
dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla Corte di merito, dovendosi gli
stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di
assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza

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potesse più operare, pertanto, il disposto di cui all’art. 5 del d.lgs. n. 114 del

oggetto di ricorso» (Cass., Sez. VI, n. 20377 dell’11/03/2009, Arnone, Rv
243838).
Nel caso di specie, la Corte marchigiana aveva già esaminato le identiche
censure che il ricorrente si limita qui a riproporre, senza confrontarsi con gli
argomenti esposti dai giudici di secondo grado per disattenderle. In particolare,
nella sentenza impugnata si richiama il contenuto precettivo della norma di cui
all’art. 5 del d.lgs. n. 114/1998, dove – con riguardo alle ipotesi di condanne per
reati (fra gli altri presi in esame dal comma 2) di rapina – è previsto che “il

anni a decorrere dal giorno in cui la pena è stata scontata o si sia in altro modo
estinta”; ne deriva, come parimenti evidenziato dalla Corte territoriale, che
l’Addis, condannato per rapina nel 2004 ed essendosi vista dichiarata estinta la
relativa pena nel 2006 per esito positivo dell’affidamento in prova al servizio
sociale, alla data dell’autocertificazione in rubrica (04/11/2008) non aveva
certamente lo status di soggetto la cui pena poteva considerarsi espiata o
comunque estinta da un quinquennio. Analogamente era a dirsi per
un’ulteriore condanna per rapina, riportata dal ricorrente nel 2007 e per la quale
era intervenuta nel 2009 ordinanza applicativa dell’indulto.
Di manifesta infondatezza appare l’ulteriore censura che vorrebbe escludere,
nella fattispecie concreta, la ravvisabilità di un atto rilevante ex art. 483 cod.
pen.: nella sentenza impugnata si chiarisce correttamente che «il delitto di
falsità ideologica commessa dal privato sussiste, in quanto l’atto, nel quale la
dichiarazione del privato è stata trasfusa, è destinato, come nella specie, a
provare la verità dei fatti attestati, e ad esso sono ricollegati specifici effetti».
Infatti, il reato qui contestato è stato ravvisato in situazioni assolutamente
analoghe alla presente, come nell’ipotesi della dichiarazione di chi attesta
falsamente di essere in possesso dei requisiti morali previsti per l’apertura di un
esercizio di vendita di beni al dettaglio, al fine di consentire ad una cooperativa
di ex detenuti l’esercizio di un’attività commerciale (v. Cass., Sez. V, n. 51107
del 14/10/2014, Profilo), ovvero della falsa attestazione del possesso dei
requisiti morali e professionali da parte di un soggetto che aveva formalizzato
una dichiarazione sostitutiva di certificazione, preordinata ad ottenere l’iscrizione
nel pubblico registro degli esercenti commerciali (v. Cass., Sez. V, n.
12710/2015 del 27/11/2014, Peccia).

2. Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., segue la condanna dell’Addis al
pagamento delle spese del procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa
nella determinazione della causa di inammissibilità, in quanto riconducibile alla
volontà del ricorrente (v. Corte Cost., sent. n. 186 del 13/06/2000) – al

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divieto di esercizio dell’attività commerciale […] permane per la durata di cinque

,

pagamento in favore della Cassa delle Ammende della somma di € 1.000,00,
così equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle
Ammende.

Così deciso il 14/03/2016.

t.

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