Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29224 del 14/03/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 29224 Anno 2016
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: CATENA ROSSELLA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Signifredi Paolo, nato a Parma il 14/04/1964,
avverso la sentenza della Corte di Appello di Bologna emessa in data 07/05/2015;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere dott.ssa Rossella Catena;
udito il Pubblico ministero, in persona del dott. Giovanni Di Leo, che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Bologna riformava parzialmente la
sentenza del Tribunale di Ferrara del 05/10/2011, con cui il ricorrente veniva riconosciuto
colpevole e condannato a pena di giustizia per i delitti di cui agli artt. 216, comma 1 n. 1 e 2,
219, comma 2 n. 1, 223, comma 1, r.d. 267/42 – perché, nella qualità di liquidatore della
Ardea D.O.C. s.r.I., dichiarata fallita in data 22/12/2003, dal 17/12/2002 sino alla data del
fallimento, sottraeva denaro della società per complessivi euro 18.690,32, ossia il canone

Data Udienza: 14/03/2016

mensile di fitto corrisposto alla fallita dalla Soc. Coop. Portotollese in virtù di contratto di
sublocazione immobiliare, incaricando la propria convivente di versare in banca l’assegno per
poi incassare personalmente l’importo, sottraendolo alla curatela fallimentare; al fine di
procurare a sé un ingiusto profitto e di recare pregiudizio ai creditori, sottraeva e distruggeva
le scritture contabili o comunque li teneva in modo tale da non consentire la ricostruzione del
movimento degli affari relativamente al periodo di vigenza della sua carica; con l’aggravante di
aver commesso più fatti di bancarotta; in Parma, sino alla data del fallimento dichiarato dal

3. Signifredi Francesco, a mezzo del difensore Avv.to Marco Malavolta, ricorre in data
21/07/2015 per:
3.1. violazione di legge ex art. 606, lett. b), cod. proc. pen., in relazione all’art. 585, comma 4,
cod. proc. pen., in quanto la Corte territoriale aveva ritenuto inammissibili i motivi nuovi
presentati a seguito dell’unico motivo di appello del difensore di ufficio – che si articolava a sua
volta nella richiesta di contenimento della pena e di applicazione dell’indulto – ciò in quanto i
motivi principali, a ben vedere, mettevano in dubbio la sussistenza del dolo del delitto di
bancarotta in considerazione dell’importo modesto della distrazione, la non ascrivibilità al
ricorrente della tenuta delle scritture contabili, che egli aveva affidato ad uno studio di Napoli,
l’apoditticità della sentenza in merito alla conoscenza dell’obbligo di tenuta delle scritture
contabili sul solo assunto del ruolo di liquidatore di altre società da parte del ricorrente e la
povertà dell’impianto probatorio, per cui in sostanza i motivi di gravame mettevano in
discussione l’affermazione di penale responsabilità; inoltre, alla luce della dizione dell’art. 585,
comma 4, cod. proc. pen., che parla di motivi nuovi, deve ritenersi che con detti motivi si
possano investire capi e punti della sentenza non oggetto dell’originario gravame;
3.2. violazione di legge ex art. 606, lett. b), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 216, co. 1,
n. 2 e 217, co. 2, legge fallimentare, in quanto la Corte territoriale, che aveva comunque
rigettato anche nel merito i motivi nuovi, non avrebbe considerato la possibilità di inquadrare
la vicenda nella fattispecie di bancarotta semplice, attesa la presenza di parte della
documentazione contabile, ravvisando altresì il dolo generico, ciò nonostante il curatore avesse
dichiarato che la società avesse di fatto cessato la propria attività all’inizio del 2002, che il
ricorrente era stato nominato liquidatore quasi un anno dopo la cessazione dell’attività
commerciale, che il curatore aveva dichiarato di aver reperito la documentazione relativa al
periodo in cui il ricorrente era stato liquidatore, ivi inclusa una stampa contabile del bilancio di
esercizio dal quale era stato possibile ricostruire la situazione patrimoniale al 31/12/2002,
mentre gli altri documenti non rinvenuti erano stati affidati ad uno studio di Napoli, il che non
poteva fare ritenere che fossero stati distrutti o occultati; l’assenza del bilancio di esercizio
dell’anno 2003 dipendeva, poi, dalla cessazione dell’attività; alla stregua di tutti detti elementi
sarebbe stato, quindi, possibile ritenere la bancarotta documentale semplice;

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Tribunale di Ferrara in data 22/12/2002 – riducendo la pena.

3.3. violazione di legge ex art. 606, lett. b), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 62 bis, 99
cod. pen., in quanto le circostanze attenuanti generiche non sono state concesse in base alla
contestata r ecidiva, alla complessiva condotta del ricorrente ed all ‘intensità del dolo, ciò
nonostante al ricorrente non fosse stata contestata alcuna recidiva, nonostante lo stesso non
fosse mai stato presente in udienza, con conseguente impossibilità di ascrivergli delle
menzogne, senza neanche considerare la circostanza che egli si trovava in carcere dopo la
dichiarazione di fallimento, e che per tale motivo non aveva potuto risposto al curatore

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso va dichiarato inammissibile.

1.Quanto al primo motivo di ricorso va ricordato che costituisce

ius receptum il principio

secondo cui i motivi nuovi di impugnazione devono essere inerenti ai temi specificati nei capi e
punti della decisione investiti dall’impugnazione principale già presentata, essendo necessaria
la sussistenza di una connessione funzionale tra i detti motivi nuovi e quelli originari (Sez. 6,
sentenza n. 6075 del 13/01/2015, Rv. 262343; Sez. 6, sentenza del 02/10/2014, Rv. 260666;
Sez. 1, sentenza n. 5182 del 15/01/2013, Rv. 254485).
Nel caso in esame appare del tutto impossibile, sia dal punto di vista logico e, prima ancora, da
quello di vista letterale e testuale, ritenere che, nel caso in esame, i motivi nuovi costituissero
funzionale sviluppo dei motivi principali; questi ultimi, infatti, erano incentrati esclusivamente
sulla determinazione della pena, senza affatto affrontare alcuno dei capi della sentenza inerenti
l’affermazione di penale responsabilità.

Ne deriva evidente, quindi, che la possibilità di considerare i motivi nuovi come logico sviluppo
di quelli principali implica, a monte, l’impugnazione di un capo specifico della sentenza,
nell’ambito della quale le argomentazioni possono, poi, essere sviluppate con ulteriori
considerazioni afferenti aspetti pertinenti al motivo principale e non specificamente enucleate,
ma pur sempre riferibili ad un comune denominatore, costituito dall’oggetto dell’impugnazione
originale che, nel caso in esame, riguardava solo ed unicamente la determinazione della pena.
Resta comunque da considerare che la Corte territoriale, pur avendo ritenuto inammissibili i
motivi nuovi, li abbia comunque trattati nel merito, ritenendoli non fondati ed operando sul
punto una doppia motivazione, non sottraendosi, quindi, all’esame specifico dei motivi nuovi.
Anche alla luce di detta circostanza il relativo motivo di ricorso appare, quindi, inammissibile.

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fallimentare.

2. Parimenti inammissibile si palesa il secondo motivo di ricorso, in quanto la sentenza
impugnata è più che ampiamente motivata, avendo la Corte territoriale evidenziato come il
ricorrente fosse succeduto ad altra liquidatrice, e come da quel momento le scritture contabili
non fossero state più aggiornate, oltre che affidate, proprio al momento dell’assunzione della
carica da parte del ricorrente, ad uno studio di Napoli poi risultato irreperibile; inoltre era stato
sottolineato come la sede della società fosse stata trasferita da Ferrara a Parma, allo scopo di
ritardare il fallimento, atteso che i primi segni di insolvenza si erano manifestati già nel 2001;

ricostruire il patrimonio della società ed il movimento degli affari dal momento in cui il
ricorrente era subentrato nel ruolo di liquidatore.

Detta motivazione appare del tutto logicamente ineccepibile e coerente con le risultanze
processuali, non apparendo, al contrario, che il motivo di ricorso si sia con essa specificamente
confrontato, avendo, al contrario, operato una frammentaria considerazione di stralci
argomentativi, senza considerare la motivazione nella sua globalità ricostruttiva e
motivazionale.

Ne deriva, pertanto, l’inammissibilità del motivo per genericità dello stesso.
3. Quanto al diniego delle circostanze attenuanti generiche, esso è motivato in relazione ai
precedenti penali del ricorrente, come enucleabili dal certificato del casellario giudiziale, e non
in base alla recidiva; a differenza di quanto ritenuto dal ricorrente, infatti, il riferimento alla
recidiva operato dalla Corte territoriale non era stato effettuato in relazione alla contestazione
della detta circostanza aggravante al ricorrente, ma in un contesto di citazione della
giurisprudenza di legittimità.
La motivazione fornita dalla Corte di merito, quindi, appare immune da vizi, mentre le
argomentazioni del ricorso appaiono meramente ripropositive dei motivi di gravame, con
conseguente inammissibilità del motivo.

Ne deriva, pertanto, l’inammissibilità del ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 14/03/2016

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altresì, era stato rilevato che il curatore fallimentare avesse affermato di non aver potuto

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