Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29221 del 14/03/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 29221 Anno 2016
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: CATENA ROSSELLA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
Carlet Francesco, nato a Sacile (PN), il 10/01/1964,
avverso la sentenza della Corte di Appello di Trieste emessa in data 13/11/2014;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere dott.ssa Rossella Catena;
udito il Pubblico ministero, in persona del dott. Giovanni Di Leo, che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Trieste confermava la sentenza del giudice
dell’udienza preliminare del Tribunale di Trieste del 01/02/2012, con cui il ricorrente veniva
riconosciuto colpevole e condannato a pena di giustizia per i delitti di cui: a) agli artt. 110 cod.
pen., 216, comma 1 n. 1 e 2, 219, comma 2 n. 1, 223, comma 1, r.d. 267/42, perché, nella
qualità di amministratore di fatto della Sistema Stand s.r.I., dichiarata fallita in data
21/07/2009, in concorso con Carlet Mirco, amministratore di diritto, sottraeva beni aziendali
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Data Udienza: 14/03/2016

(quattro autovetture ed una macchina sezionatrice) e distruggeva ovvero occultava totalmente
i libri e le scritture contabili obbligatorie, così da non rendere possibile la ricostruzione del
patrimonio e del movimento degli affari; b) agli artt. 110, cod. pen., 218, comma 1, r.d.
267/42 perché, nella qualità indicata, ricorreva al sistema creditizio bancario dissimulando il
dissesto e lo stato di insolvenza della società, mediante la presentazione a molteplici istituti di
credito di documentazione fiscale emessa per operazioni e/o prestazioni oggettivamente
inesistenti, per un ammontare complessivo di euro 633.470,00, con lo scopo di cedere agli
istituti bancari i crediti; con l’aggravante di aver commesso più fatti di bancarotta; in Brugnera

3. Carlet Francesco ricorre personalmente in data 12/02/2015 per:
3.1. violazione di legge e vizio di motivazione ex art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., in
relazione agli artt. 192 e 530, cod. proc. pen., in quanto la Corte territoriale non avrebbe
tenuto in debito conto la circostanza che il ricorrente nel periodo dal 01/02/2007 al
31/12/2007 aveva ricoperto la qualifica di consulente aziendale della società fallita per un
periodo di dieci mesi, più che sufficiente per svolgere detto ruolo, non avendo la sentenza
impugnata spiegato per quale ragione la società si sarebbe ulteriormente esposta nel pagare la
sua prestazione, atteso che, secondo i giudici di merito, egli era il vero dominus della società;
né si comprende per quale ragione sarebbero rilevanti i precedenti fallimenti delle società
amministrate dal ricorrente, così come non apparirebbe rilevante la circostanza dell’avere egli
contattato un notaio al fine di cedere le quote della società fallita; quanto allo spostamento
della macchina sezionatrice, non vi sarebbe prova che il ricorrente avesse avuto un ruolo nella
vicenda, essendo detto spostamento avvenuto per causa di forza maggiore, ossia la richiesta in
tal senso del proprietario dell’immobile, potendo, peraltro, il bene essere sempre rintracciato;
per la valutazione dei beni in leasing, inoltre, la motivazione apparirebbe lacunosa, non
comprendendosi perché l’imputato avrebbe agito personalmente, essendosi quindi pervenuti
alla pronuncia di una sentenza non rispettosa del principio della condanna al di là di ogni
ragionevole dubbio, non essendo stato chiarito neanche quali sarebbero gli elementi rivelatori
del requisito della continuità richiesto dall’art. 2639 cod. civ.;
3.2. violazione di legge ex art. 606, lett. b), cod. proc. pen., in relazione alla mancata
concessione delle circostanze attenuanti generiche a causa dei precedenti penali, non avendo
la Corte territoriale considerato che i fatti posti a base della richiesta di concessione della
circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 6, cod. pen., ben avrebbero potuto essere
considerati ai fini della concessione delle circostanze ex art. 62 bis, cod. pen.
3.3. violazione di legge ex art. 606, lett. b), cod. proc. pen., in relazione alla mancata
concessione della sospensione condizionale della pena.

4. Carlet Francesco ricorre, inoltre, a mezzo del difensore di fiducia, Avv.to Gian Franco Renier,
in data 26/02/2015, per:
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il 21/07/2009.

4.1. vizio di motivazione ex art. 606 lett. e), cod. proc. pen., in relazione al ruolo di
amministratore di fatto del ricorrente, non emerso con certezza a causa degli episodici
interventi del ricorrente in favore della società amministrata dal figlio, spiegabili con il rapporto
filiale e comunque non caratterizzati da continuatività e sistematicità; in particolare, a parere
della difesa, non costituirebbe atto gestorio la partecipazione ad una riunione presso l’Unicredit
di Mestre per discutere delle problematiche derivanti dal mancato incasso di alcuni crediti, né
l’aver operato sul conto corrente della società, posto che a ciò il ricorrente era stato delegato e
trattandosi, presumibilmente, di operazioni che avrebbero potuto essere affidate a qualsiasi

costituzione della società e sui precedenti fallimenti del ricorrente per motivare l’affermazione
di penale responsabilità;
4.2. vizio di legge e vizio di motivazione ex art. 606 lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione
all’art. 2214, comma 2, cod. civ., in riferimento alla vicenda della sottrazione della macchina
sezionatrice, collocata in un magazzino limitrofo a quello occupato dalla società, dove poi era
stata rinvenuta, essendo stato lo spostamento determinato dall’intimazione del proprietario
dell’immobile condotto in locazione, non sussistendo alcun obbligo, ex art. 2214 e segg. cod.
civ., ad evidenziare nelle scritture contabili l’ubicazione di un’attrezzatura aziendale, in quanto
le annotazioni sul libro dei cespiti ammortizzabili non devono riguardare certamente la
materiale collocazione di un bene;
4.3. vizio di legge e vizio di motivazione ex art. 606 lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione
all’art. 521 cod. proc. pen., avendo la Corte territoriale ritenuto che i quattro veicoli detenuti
dalla società fossero riconducibili ad un contratto di leasing traslativo per la natura dei beni di
ingente valore, mentre l’adozione dell’una o dell’altra figura contrattuale non sarebbe affatto
conseguenza della natura del bene, ma della volontà delle parti che, nel caso di autoveicoli,
ricorrono spesso al leasing di godimento, come dimostrato nel caso di specie dalla condotta del
curatore che, in presenza dell’offerta di restituzione degli autoveicoli in questione, aveva
risposto invitando il ricorrente a rivolgersi direttamente alla società proprietaria dei beni; in
ogni caso, in applicazione del principio in dubio pro reo, il contratto avrebbe dovuto essere
qualificato come leasing di godimento, per cui, una volta risoltosi il negozio per inadempimento
dell’utilizzatore, gli autoveicoli erano destinati ad essere restituiti alla società concedente, e
nessuna utilità poteva esser ricavata dall’amministratore della società, non essendo prevista
l’opzione di acquisto, con conseguente assenza di qualsivoglia perdita da parte del patrimonio
della fallita; qualora poi si fosse trattato di leasing traslativo, la decisione della Corte
territoriale non sarebbe comunque condivisibile, non essendovi la prova che l’ammontare dei
canoni percepiti dalla società concedente sopravanzasse l’equo compenso dovuto a seguito di
inadempimento prolungato, da parte dell’utilizzatore, nel pagamento dei canoni; né vi sarebbe
prova che la restituzione dei veicoli alla concedente avrebbe fatto conseguire al patrimonio
fallimentare una qualche utilità, avendo, al contrario, il rifiuto opposto dal curatore a ricevere
gli autoveicoli in restituzione, un chiaro significato di segno opposto, essendo irrilevante la
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impiegato, non essendo sufficiente fare leva sulla giovane età del figlio all’atto della

circostanza che all’epoca il fallimento fosse già chiuso, posto che se la restituzione fosse stata
di qualche utilità il fallimento avrebbe potuto essere riaperto ex art. 121 legge fallimentare;
inoltre, se l’impostazione della Corte fosse condivisibile, ci si troverebbe in presenza di
un’ipotesi di dissipazione, diversa dalla distrazione dei beni in contestazione, con violazione
del’art. 521, comma 2, cod. proc. pen.;
4.4. vizio di legge e vizio di motivazione ex art. 606 lett. b) ed e), cod. proc. pen., in relazione
all’art. 62 n. 6, cod. pen., avendo la Corte territoriale negato la concessione di detta
attenuante per la tardività dell’offerta, a fronte della chiusura del fallimento, già intervenuta, e

esser riaperto, non potendosi ipotizzare che l’imputato di potesse essere privato della facoltà di
risarcire il danno al fine di poter beneficiare della circostanza attenuante, tanto più che il
curatore si era limitato ad invitare il ricorrente a rivolgersi direttamente alla società; né la
richiesta poteva ritenersi tardiva, in quanto, come si evince dalla motivazione della sentenza di
primo grado, il ricorrente, all’udienza del 23/11/2011, aveva chiesto di definire il giudizio con
rito abbreviato, mentre l’offerta di restituzione era stata effettuata in data 14/09/2011 e
depositata all’udienza del 05/10/2011; ciò sarebbe dimostrato dal fatto che il difensore del
ricorrente aveva chiesto un differimento dell’udienza preliminare per risarcire il danno e
patteggiare la pena, come si evince dalla proposta di patteggiamento depositata il 09/11/11;
non essendosi raggiunto l’accordo con il pubblico ministero, la difesa aveva poi chiesto il rito
abbreviato; ne consegue la tempestività del deposito della documentazione relativa all’offerta
di risarcimento, come da giurisprudenza di legittimità (Sez. 2, sentenza del 13/11/2012, n.
45629);
4.5. vizio di motivazione ex art. 606, lett. e), cod. proc. pen., in quanto già con i motivi di
appello si era lamentato che nulla avesse accertato il primo giudice circa lo stato di insolvenza
della società e la dissimulazione di detto stato da parte del ricorrente, e la Corte territoriale, a
sua volta, ha fatto riferimento alle dichiarazioni dei funzionari bancari – che avevano riferito
come già nell’estate del 2008 la società avesse difficoltà ad incassare i crediti – ed alla
relazione del curatore – secondo cui già nel 2007 la società fosse in crisi – benché ciò
risulterebbe smentito dal fatto che la stessa relazione del curatore attesti che nel 2007
l’esercizio si era chiuso con una perdita di soli euro 19.983,00, e quindi con un risultato niente
affatto negativo, tenuto conto della crisi economica in atto; peraltro non risulterebbero altri
sintomi tipici dell’insolvenza, ed il primo giudice aveva dato atto che negli esercizi 2006 e 2007
la situazione patrimoniale era attiva, nulla essendosi detto dell’esercizio successivo, per cui la
sentenza impugnata sarebbe contraddetta dalle affermazioni del primo giudice, essendo
irrilevanti le affermazioni dei funzionari bancari che, se vere, avrebbero potuto far ipotizzare
una ipotesi di truffa a causa della duplicazione delle fatture portate allo sconto.

CONSIDERATO IN DIRITTO

comunque in quanto non effettuata prima del giudizio; il fallimento, infatti, avrebbe potuto

Il ricorso va dichiarato inammissibile.

1.Quanto al primo motivo del ricorso presentato personalmente dal Carlet Francesco, ed ai
primi tre motivi del ricorso presentato dal difensore, che per analogia di argomentazioni vanno
trattati congiuntamente, la sentenza impugnata ha ripercorso le vicende storiche della società
– costituita nel dicembre 2012 dal Carlet Mirco, all’epoca ventenne, allorquando il padre,
attuale ricorrente, era già stato dichiarato fallito due volte – sino allo stato di insolvenza,

un cittadino romeno che le aveva acquistate tramite un procuratore, ed ha sottolineato come,
secondo una schema già ripetutosi in passato più volte, la cessione delle quote societarie tre
mesi prima del fallimento era stata accompagnata dalla costituzione, sette mesi prima del
detto fallimento, di una nuova società, avente lo steso oggetto sociale, da parte del Carlet
Francesco e della moglie.
In ordine al ruolo di amministratore di fatto del ricorrente, la sentenza ha citato non solo le
dichiarazioni dei direttori delle filiali bancarie – che avevano tutti riferito come unico loro
interlocutore fosse il Carlet Francesco, mentre il figlio si limitava ad assistere ai colloqui – ma
anche quelle di altri testi, in particolare la Bosa Laura e la Taiariol Elena, impiegate – che
avevano riferito di aver sempre ricevuto le direttive dal Carlet Francesco -, la Paduano
Carmela, anch’essa impiegata – che aveva riferito di aver ricevuto le direttive sia dal Carlet
Francesco che dal Carlet Mirco -, il Paoletti di Roncade, consulente della società – che aveva
dichiarato dì aver sempre concordato i pagamenti da eseguire con il Carlet Francesco, il quale
gli aveva anche fornito i dati per le fatture già scontate da riemettere, anche cinque o sei
volte, con la stessa causale.
Quanto al sistema di riemissione di fatture, la Corte territoriale ha evidenziato come la
documentazione rinvenuta avesse consentito di verificare che la società fallita emetteva in
maniera seriale fatture per lavori già pagati o mai eseguiti, e che dette fatture venivano poi
cedute alle banche, con cui i rapporti erano intrattenuti solo per ottenere finanziamenti,
attraverso il sistema di portare allo sconto le citate fatture, in tal modo dissimulando il dissesto
finanziario dell’azienda.
Quanto alla macchina sezionatrice, la Corte territoriale ha evidenziato come essa fosse stata
rinvenuta nei locali di proprietà di Sandrin Luciano, dove era stata collocata su richiesta dello
stesso ricorrente, come riferito dal predetto Sandrin, evidenziandosi in tal modo la volontà
distrattiva, mentre i contratti di leasing delle quattro autovetture erano stati risolti
unilateralmente dalla Ubi Leasing per mancato pagamento dei canoni e le stesse, sottoposte a
sequestro preventivo, non erano mai state rinvenute, benché fosse poi risultato che le
assicurazioni di due di dette vetture erano state pagate con assegni tratti sul conto corrente
intestato alla nuova società costituita dal ricorrente e dalla moglie, poco prima del fallimento

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verificatosi nell’aprile 2009, allorquando le quote societarie erano state cedute interamente ad

della Sistema Stand s.r.I., e che sul detto conto corrente il ricorrente era l’unico soggetto
delegato ad operare.
In relazione alle scritture contabili, la Corte territoriale ha ricordato che i libri contabili non
erano mai stati reperiti, non essendo credibile che fossero stati portati via dal cittadino romeno
divenuto amministratore della società, posto che questi non risultava mai essersi
personalmente recato in Italia, avendo agito tramite un procuratore, il quale, a sua volta,
aveva dichiarato di non aver mai ricevuto alcuna documentazione; inoltre, all’esito del
trasferimento degli uffici della società in un appartamento di Pordenone, erano stati rinvenuti

una cantina, locale mai dichiarato dalla fallita società.
A fronte dei motivi di gravame – peraltro riprodotti pedissequamente con i motivi di ricorso per
cassazione – la Corte di merito ha ritenuto che tutte le argomentazioni proposte dalla difesa
fossero già state ampiamente esaminate dal primo giudice e specificamente confutate,
sottolineando nuovamente le circostanze alla luce delle quali aveva trovato piena conferma il
ruolo di amministratore di fatto del ricorrente, concretatosi in una condotta di piena
supremazia all’interno dell’azienda e di sistematica gestione della stessa, occupandosi il figlio
solo di seguire i lavori nei cantieri, mentre al ricorrente era interamente affidata la gestione
contabile ed amministrativa della società.
Con riguardo ai contratti di leasing delle quattro vetture, la Corte territoriale ha poi osservato
che sicuramente si trattava di contratti di leasing traslativi e non di godimento, ciò alla luce del
valore dei beni e della durata del contratto, di solo sessanta mesi, oltre che dal valore residuo
dei beni alla scadenza del contratto, superiore al prezzo di riscatto, per cui, benché essi si
fossero risolti prima della dichiarazione di fallimento per mancato pagamento dei canoni, in
forza dì clausola risolutiva espressa, la loro sottrazione comunque aveva arrecato un
pregiudizio ai creditori; ciò in quanto, pur non essendo il curatore titolare di un diritto di
riscatto, il distacco non solo fisico ma anche giuridico, con la perdita della titolarità sul bene a
seguito di atti di disposizione, è idoneo ad integrare quella diminuzione del patrimonio che
costituisce la messa in pericolo per la garanzia generica dei creditori, atteso che la massa
fallimentare viene privata del valore del bene e, contemporaneamente, risulta gravata da un
ulteriore onere economico scaturente dall’inadempimento dell’obbligo di restituzione alla
società locatrice, dovendosi applicare al leasing traslativo la disciplina di cui all’art. 1526 cod.
civ., con la conseguenza che il curatore, non potendo restituire alla società di leasing i beni,
non può far valere il diritto alla restituzione dei canoni versati, detratto l’equo compenso, con
conseguente aumento del passivo fallimentare.
La motivazione della Corte, quindi, appare del tutto immune da censure logiche, laddove i
motivi di ricorso non solo si basano su una lettura parziale e frammentaria delle
argomentazioni della sentenza impugnata, ma non si confrontano affatto con l’impianto
motivazionale del provvedimento stesso, limitandosi a riproporre le doglianze già poste a base

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solo pochi documenti, laddove la maggior parte dei documenti contabili erano stati ritrovati in

del gravame (Sez. 6, sentenza n. 22445 del 08/05/2009, Rv. 244181; Sez. 3, sentenza n.
29612 del 05/05/2010).
In ogni caso va ricordato come siano precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi
di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi
parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, qualora, come nel caso in esame, essi siano
indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità
esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, sentenza n. 47204 del
07/10/2015, Rv. 265482; Sez. 1, sentenza n. 42369 del 16/11/2006, Rv. 235507).

relazione alla vicenda delle vetture in leasing, in quanto i beni non rinvenuti in sede di
inventario erano comunque effettivamente entrati nella sfera patrimoniale della società fallita,
con la conseguente possibilità di ipotizzare il distacco ingiustificato che integra sul piano
oggettivo la fattispecie di bancarotta per distrazione.
Questa Corte, infatti, ha già affermato come, nel caso in cui il fallimento riguardi l’utilizzatore,
ipotesi verificatasi nel caso in esame, possa venire in rilievo la sola disponibilità di fatto,
essendo pacifico che il soggetto non avesse la disponibilità giuridica del bene, almeno sino alla
fine del rapporto, sino a quando, cioè, previo esercizio del diritto di opzione, il predetto non
avesse corrisposto il prezzo di riscatto, acquisendo così la proprietà del bene. La disponibilità
di fatto, quindi, sola configurabile in capo all’utilizzatore, postula, pur sempre, l’avvenuta
consegna del bene oggetto di contratto di leasing, per cui la relativa appropriazione da parte
dell’utilizzatore integra la fattispecie di distrazione, in quanto la sottrazione del bene comporta
un pregiudizio per la massa fallimentare che viene privata del valore dello stesso – che avrebbe
potuto essere conseguito mediante riscatto al termine del rapporto negoziale – e, al tempo
stesso, gravata di ulteriore onere economico scaturante dall’inadempimento dell’obbligo di
restituzione. Ed il pregiudizio si verifica sia nell’ipotesi di leasing così detto traslativo che in
caso di leasing di godimento, anche se si pone con diversa entità nelle due tipologie negoziali
(Sez. 5, sentenza n. 44898 del 01/10/2015, Rv. 265509).

2. Il quarto motivo di ricorso appare generico alla luce della documentazione allegata al
ricorso, non idonea a dimostrare quanto asserito, atteso che è stata prodotta la sola proposta
di patteggiamento, non anche la documentazione relativa all’offerta di risarcimento, né alcun
documento ulteriore da cui desumere l’epoca in cui la stessa era stata effettuata.
Costituisce, infatti, principio pacificamente e reiteratamente affermato da questa Corte, quello
secondo cui sono inammissibili, per violazione del principio di autosufficienza e per genericità,
quei motivi che, deducendo il vizio di manifesta illogicità o di contraddittorietà della
motivazione, e, pur richiamando atti specificamente indicati, non contengano la loro integrale
trascrizione o allegazione, non potendosi in alcun modo costringere la Corte di Cassazione ad
una lettura totale degli atti; in tal caso, quindi, si verifica una causa di inammissibilità del
ricorso, in base al combinato disposto degli artt. 581, comma primo, lett. c), e 591 cod. proc.
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Né, infine, può ravvisarsi alcuna violazione del principio di cui all’art. 521 cod. proc. pen., in

pen. (Sez. 4, sentenza n. 46979 del 10/11/2015, Rv. 265053; Sez. 3, sentenza n. 43322 del
02/07/2014, Rv. 260994).

3. Parimenti inammissibile appare il quinto motivo di ricorso, alla luce della motivazione
illustrata dalla sentenza impugnata, che ha ricordato, in merito allo stato di insolvenza, che dal
giugno 2008 erano state emesse diciotto fatture che – come ricordato dai direttori degli istituti
di credito escussi a s.i.t. – erano state portate allo sconto, benché già nell’estate del 2008 si
fosse manifestato lo stato di insolvenza della società con protesti di cambiali, coperti dapprima

situazione, unitamente alla circostanza che già l’esercizio del 2007 era stato chiuso in perdita,
rappresenta la dimostrazione che si era tentato di mascherare la condizione di crisi portando
allo sconto le false fatture, al fine di ottenere dalle banche dei finanziamenti che, altrimenti, la
società non avrebbe potuto ottenere, benché le fatture fossero state artificiosamente create a
tale scopo, trattandosi di fatture per prestazioni inesistenti o già pagate, come emerso
chiaramente dalle dichiarazioni dei clienti, che avevano contestato le cessioni alle banche, oltre
che dalle dichiarazioni, già citate, dei direttori delle filiali degli istituti di credito.
Alla luce di detta motivazione il relativo motivo di ricorso – che ha effettuato una lettura solo
parziale delle sintetizzate argomentazioni fornite dalla Corte territoriale – si evidenzia come
generico ed assolutamente incongruo rispetto alla motivazione della sentenza impugnata.

4. Quanto, infine, alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche ed alla
mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena, la Corte
territoriale ha considerato la presenza di un precedente penale specifico, oltre alla circostanza
che la condotta di vita del ricorrente fosse improntata alla commissione di una vera e propria
sequenza di episodi di bancarotta, dimostrando, in tal modo, una sorta di disvalore aggiunto,
incrementato negativamente dal coinvolgimento in essa del figlio di appena vent’anni, non
potendosi dare alcun rilievo all’offerta di restituzione al curatore intervenuta ad anni di
distanza dalla risoluzione dei contratti.
Detta motivazione appare del tutto congrua e rispondente a specifici elementi emersi nel corso
dell’attività processuale e, come tale, insindacabile in sede di legittimità, avendo la Corte
formulato, dal complesso delle esaminate argomentazioni, anche un giudizio prognostico
sfavorevole al ricorrente circa la futura commissione di ulteriori reati della stessa specie, e
come tale, ostativo al beneficio della sospensione condizionale della pena.

Ne deriva, pertanto, l’inammissibilità del ricorso, con condanna del ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P. Q. M.
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con un ulteriore portafoglio di fatture da anticipare, parimenti rimaste insolute; detta

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma dì euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 14/03/2016

Il Presidente

Il Consigliere estensore

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