Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29217 del 24/03/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 29217 Anno 2015
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: BELTRANI SERGIO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
AVITABILE PELLEGRINO N. IL 09/10/1977
avverso la sentenza n. 5312/2013 CORTE APPELLO di MILANO, del
05/03/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SERGIO BELT NI;

Data Udienza: 24/03/2015

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Milano ha
confermato la sentenza con la quale in data 5.4.2013 il Tribunale di Busto
Arsizio aveva dichiarato PELLEGRINO AVITABILE, in atti generalizzato,
colpevole di ricettazione, condannandolo alla pena ritenuta di giustizia.

Contro tale provvedimento, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione,
deducendo vizio di motivazione e violazione di legge quanto all’affermazione di

dell’imputato, oltre che quanto al mancato riconoscimento delle attenuanti
generiche ed all’entità della pena.

All’odierna udienza camerale, celebrata ex art. 611 c.p.p., si è preso atto
della regolarità degli avvisi di rito; all’esito questa Corte Suprema ha deciso
come da dispositivo in atti.

Il ricorso è integralmente inammissibile perché assolutamente privo di
specificità in tutte le sue articolazioni (reiterando, più o meno
pedissequamente, censure già dedotte in appello e già non accolte: Sez. IV,
sentenza n. 15497 del 22 febbraio – 24 aprile 2002, CED Cass. n. 221693; Sez.
VI, sentenza n. 34521 del 27 giugno – 8 agosto 2013, CED Cass. n. 256133),
del tutto assertivo, e, comunque, manifestamente infondato, a fronte dei rilievi
con i quali la Corte di appello – con argomentazioni giuridicamente corrette,
nonché esaurienti, logiche e non contraddittorie, e, pertanto, esenti da vizi
rilevabili in questa sede – ha diffusamente motivato l’affermazione di
responsabilità (f. 3), valorizzando il rinvenimento presso l’abitazione
dell’imputato della refurtiva della quale non giustificava in alcun modo al
disponibilità; con detti rilievi il ricorrente in concreto non si confronta
adeguatamente, limitandosi a reiterare le doglianze già sconfessate dalla Corte
di appello e riproporre la propria diversa “lettura” delle risultanze probatorie
acquisite, fondata su mere ed indimostrate congetture, senza documentare nei
modi di rito eventuali travisamenti.

Inoltre, le statuizioni relative al diniego delle attenuanti generiche ed alla
quantificazione della pena sono state motivate valorizzando i numerosi, gravi e
specifici

precedenti

infraquinquennale).

dell’imputato

(recidivo

reiterato

specifico

responsabilità, che sarebbe inficiata dall’indebita utilizzazione di dichiarazioni

Ciò rende all’evidenza ininfluente l’errore argomentativo in cui è incorso la
Corte di appello (qualificato il fatto ex art. 648, comma 2, c.p., e commisurata
la pena ai relativi limiti edittali, non vi sarebbe stato spazio per l’aumento di
pena ex art. 99 c.p., poiché l’art. 69 c.p. non consente di tener conto, ad un
tempo, di entrambe le circostanze), in relazione al quale, peraltro, nessuna
specifica doglianza risulta proposta dal ricorrente.

Non può porsi in questa sede la questione della declaratoria della

considerazione della totale inammissibilità del ricorso. La giurisprudenza di
questa Corte ha, infatti, più volte chiarito che l’inammissibilità del ricorso per
cassazione «non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e

preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non
punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p.» (Cass. pen., Sez. un., sentenza n. 32
del 22 novembre 2000, CED Cass. n. 217266: nella specie, l’inammissibilità del
ricorso era dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi, e la prescrizione del
reato era maturata successivamente alla data della sentenza impugnata con il
ricorso;

conformi, Sez. un., sentenza n. 23428 del 2 marzo 2005, CED Cass. n.

231164, e Sez. un., sentenza n. 19601 del 28 febbraio 2008, CED Cass. n.
239400).

La declaratoria di inammissibilità totale del ricorso comporta, ai sensi
dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonché – apparendo evidente che il ricorso è stato proposto
determinando la causa di inammissibilità per colpa (Corte cost., 13 giugno 2000
n. 186) e tenuto conto della rilevante entità di detta colpa – della somma di
euro mille in favore della Cassa delle ammende a titolo di sanzione pecuniaria.

P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, udienza camerale 24 marzo 2015

Il Connp nente estensore

Il Presidente

prescrizione eventualmente maturata dopo la sentenza d’appello, in

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