Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29214 del 24/03/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 29214 Anno 2015
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: BELTRANI SERGIO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
AFFINITO ANGELO N. IL 14/08/1969
avverso la sentenza n. 9154/2012 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
29/10/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI;

Data Udienza: 24/03/2015

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Napoli ha
confermato la sentenza con la quale in data 28.9.2011 il GUP del Tribunale di S.
Maria Capua aveva dichiarato ANGELO AFFINITO, in atti generalizzato,
colpevole di estorsione continuata in danno della madre, condannandolo alla
pena ritenuta di giustizia.
Contro tale provvedimento, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione,

responsabilità ed alla qualificazione del fatto accertato come tentativo non
punibile ex art. 649 c.p.
All’odierna udienza camerale, celebrata ex art. 611 c.p.p., si è preso atto
della regolarità degli avvisi di rito; all’esito questa Corte Suprema ha deciso
come da dispositivo in atti.
Il ricorso è integralmente inammissibile perché assolutamente privo di
specificità in tutte le sue articolazioni (reiterando, più o meno
pedissequamente, censure già dedotte in appello e già non accolte: Sez. IV,
sentenza n. 15497 del 22 febbraio – 24 aprile 2002, CED Cass. n. 221693; Sez.
VI, sentenza n. 34521 del 27 giugno – 8 agosto 2013, CED Cass. n. 256133),
del tutto assertivo, e, comunque, manifestamente infondato, a fronte dei rilievi
con i quali la Corte di appello – con argomentazioni giuridicamente corrette,
nonché esaurienti, logiche e non contraddittorie, e, pertanto, esenti da vizi
rilevabili in questa sede – ha diffusamente motivato l’affermazione di
responsabilità e la qualificazione giuridica del fatto come reato consumato (f. 4
s.), con i quali il ricorrente in concreto non si confronta adeguatamente,
limitandosi a reiterare le doglianze già sconfessate dalla Corte di appello e
riproporre la propria diversa “lettura” delle risultanze probatorie acquisite,
fondata su mere ed indimostrate congetture, senza documentare nei modi di
rito eventuali travisamenti.

La declaratoria di inammissibilità totale del ricorso comporta, ai sensi
dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonché – apparendo evidente che il ricorso è stato proposto
determinando la causa di inammissibilità per colpa (Corte cost., 13 giugno 2000
n. 186) e tenuto conto della rilevante entità di detta colpa – della somma di
euro mille in favore della Cassa delle ammende a titolo di sanzione pecuni

deducendo vizio di motivazione e violazione di legge quanto all’affermazione di

P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, udienza camerale 24 marzo 2015

Il Presidente

Il Comrionente estensore

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