Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29209 del 24/03/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 29209 Anno 2015
Presidente: PETTI CIRO
Relatore: BELTRANI SERGIO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
PREVITALI CLAUDIO N. IL 16/07/1963
avverso la sentenza n. 1074/2013 CORTE APPELLO di BRESCIA, del
26/05/2014
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI;

Data Udienza: 24/03/2015

RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Brescia ha
confermato la sentenza con la quale in data 5.2.2013 il Tribunale di Bergamo
aveva dichiarato CLAUDIO PREVITALI, in atti generalizzato, colpevole dei reati
di cui agli artt. 367 e 642 c.p., condannandolo alla pena ritenuta di giustizia.
Contro tale provvedimento, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione,
deducendo vizio di motivazione e violazione di leggi quanto all’affermazione di

carenza dell’elemento soggettivo, ingiustificato diniego delle attenuanti
generiche ed eccessività della pena.
All’odierna udienza camerale, celebrata ex art. 611 c.p.p., si è preso atto
della regolarità degli avvisi di rito; all’esito questa Corte Suprema ha deciso
come da dispositivo in atti.

Il ricorso è integralmente inammissibile perché assolutamente privo di
specificità in tutte le sue articolazioni (reiterando, più o meno
pedissequamente, censure già dedotte in appello e già non accolte: Sez. IV,
sentenza n. 15497 del 22 febbraio – 24 aprile 2002, CED Cass. n. 221693; Sez.
VI, sentenza n. 34521 del 27 giugno – 8 agosto 2013, CED Cass. n. 256133),
del tutto assertivo, e, comunque, manifestamente infondato, a fronte dei rilievi
con i quali la Corte di appello – con argomentazioni giuridicamente corrette,
nonché esaurienti, logiche e non contraddittorie, e, pertanto, esenti da vizi
rilevabili in questa sede – ha motivato l’affermazione di responsabilità (f. 3 s.),
con i quali il ricorrente in concreto non si confronta adeguatamente, limitandosi
a reiterare le doglianze già sconfessate dalla Corte di appello e riproporre la
propria diversa “lettura” delle risultanze probatorie acquisite, fondata su mere
ed indimostrate congetture, senza documentare nei modi di rito eventuali
travisamenti.

Il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche è stato motivato
valorizzando i plurimi precedenti, anche specifici, del reo, correttamente
conformandosi all’orientamento di questa Corte, per la quale, al fine di ritenere
od escludere la configurabilità di circostanze attenuanti generiche, il giudice può
limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 c.p., quello
che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento del
beneficio, poiché anche un solo elemento attinente alla personalità del
colpevole od all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può

responsabilità, per asserita erronea valutazione delle acquisite risultanze e

risultare all’uopo sufficiente (così, da ultimo, Sez. II, sentenza n. 3609 del 18
gennaio – 10 febbraio 2011, CED Cass. n. 249163).
La pena era già stata determinata con riferimento ai minimi edittali, e con
contenuto aumento per la continuazione.

Non può porsi in questa sede la questione della declaratoria della
prescrizione eventualmente maturata dopo la sentenza d’appello, in
considerazione della totale inammissibilità del ricorso. La giurisprudenza di

cessazione «non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e
preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non
punibilità a norma dell’art. 129 c.p.p.» (Cass. pen., Sez. un., sentenza n. 32

del 22 novembre 2000, CED Cass. n. 217266: nella specie, l’inammissibilità del
ricorso era dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi, e la prescrizione del
reato era maturata successivamente alla data della sentenza impugnata con il
ricorso;

conformi, Sez. un., sentenza n. 23428 del 2 marzo 2005, CED Cass. n.

231164, e Sez. un., sentenza n. 19601 del 28 febbraio 2008, CED Cass. n.
239400).

La declaratoria di inammissibilità totale del ricorso comporta, ai sensi
dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonché – apparendo evidente che il ricorso è stato proposto
determinando la causa di inammissibilità per colpa (Corte cost., 13 giugno 2000
n. 186) e tenuto conto della rilevante entità di detta colpa – della somma di
euro mille in favore della Cassa delle ammende a titolo di sanzione pecuniaria.

P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma, udienza camerale 24 marzo 2015

Il Compo

nte estensore

questa Corte ha, infatti, più volte chiarito che l’inammissibilità del ricorso per

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