Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29204 del 16/02/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 29204 Anno 2016
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA
sui ricorsi proposti nell’interesse di
Pesce Francesco, nato a Gioia Tauro il 21/01/1978
avverso la sentenza emessa il 01/04/2015 dalla Corte di appello di Reggio
Calabria
visti gli atti, la sentenza impugnata ed i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Agnello Rossi, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità dei ricorsi;
uditi per il ricorrente gli Avv.ti Mario Santambrogio e Domenico Infantino, i quali
hanno concluso chiedendo l’accoglimento dei loro ricorsi, e l’annullamento della
sentenza impugnata

RITENUTO IN FATTO

I difensori di Francesco Pesce, con ricorsi distinti, impugnano la pronuncia
indicata in epigrafe, recante la parziale riforma (limitatamente alle statuizioni in
punto di trattamento sanzionatorio) della sentenza emessa nei confronti del loro

Data Udienza: 16/02/2016

assistito, in data 12/02/2014, dal Tribunale di Palmi; la declaratoria di penale
responsabilità dell’imputato riguarda un addebito di sequestro di persona, in
ipotesi realizzato dal Pesce in danno di Maria Stella Bagalà, all’epoca sua
fidanzata. Secondo l’ipotesi accusatoria, il ricorrente avrebbe privato la Bagalà
della libertà personale – a partire da una sera tra la fine di agosto e il settembre
2005 – prelevandola con la forza da un’automobile su cui viaggiava in
compagnia dei genitori, per poi condurla nella propria abitazione e costringerla
(così la rubrica) “a vivere con lui per diversi giorni, durante i quali la minacciava,

Con il ricorso a firma dell’Avv. Mario Santambrogio si deduce:

– omessa assunzione di prova decisiva, violazione di legge processuale e
vizi della motivazione della sentenza impugnata
A fronte di decisive contraddizioni nel narrato della Bagalà e del padre di
costei in ordine alla dinamica dei fatti, discrasie riguardanti circostanze
erroneamente ritenute marginali da parte della Corte di appello, la difesa
aveva sollecitato l’escussione della madre della persona offesa, parimenti
presente, ma l’istanza non era stata accolta né ex art. 507 cod. proc. pen.
né ai fini di una rinnovazione in appello dell’istruttoria dibattimentale. La
difesa del Pesce sottolinea, in particolare, che secondo la ragazza ella era
stata fatta salire in auto dall’imputato, dopo averla afferrata con forza per
un braccio, mentre Letterio Bagalà aveva dichiarato che erano state altre
persone ad invitare la figlia a salire in un’altra auto, senza l’uso di
violenza o minaccia, né vi erano state manovre di quella vettura tali da
costringerlo a fermarsi

– inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 605, 610 cod. pen.,
nonché 192 e 533 cod. proc. pen.
Dal momento che non vi fu costrizione a salire in auto, né la persona
offesa oppose resistenza all’invito a scendere dalla macchina del padre,
non vi è prova del dissenso della Bagalà, ovvero è quanto meno plausibile
che nessuno si trovò dinanzi ad un comportamento della persona offesa
tale da far palesare un suo mancato consenso od una sua eventuale
opposizione.
Inoltre, ed ancora ai fini della ravvisabilità del reato ipotizzato, non
appare dimostrato che la presunta privazione della libertà ebbe una
apprezzabile durata: secondo le risultanze processuali, infatti, la Bagalà
ebbe un chiarimento con l’ex fidanzato presso un casolare di campagna
sito nei pressi, dopo di che decise sua sponte di seguire il Pesce presso la
di lui abitazione, dove poi si trattenne liberamente, tanto da poter usare il
telefono e chiamare i propri familiari (cui non rivolse richieste di aiuto,

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la picchiava impedendole altresì qualsiasi contatto la sua famiglia”.

anzi disse loro di “non impicciarsi”).

Era stata la stessa ragazza, del

resto, a sostenere di essersi disposta a rimanere a casa del Pesce per una
decisione propria: ivi si era trattenuta per due o tre giorni, poi lo stesso
imputato l’aveva riportata dai suoi. Nel corso della propria deposizione,
la persona offesa aveva anzi ammesso di avere probabilmente esagerato
nella iniziale ricostruzione dei fatti, «lasciando trapelare di avere reso, in
sede di querela, dichiarazioni manipolate ed alterate da un sentimento di
rivalsa e di vendetta verso l’imputato».

enfatizzato alcuni particolari riferiti dalla giovane circa le sue crisi di
pianto dirotto, la palesata volontà di ritornare a casa propria e la
decisione di assecondare i propositi del Pesce solo perché sperava che egli
mutasse atteggiamento: ma ciò si era verificato, come si evince dal
narrato della teste, in occasione di altro episodio, oggetto di un diverso
procedimento penale ancora pendente e verificatosi nel giugno / luglio
2006 (mentre i fatti di cui all’odierna rubrica si collocano alla fine
dell’estate precedente). Solo in quella seconda, ed abbondantemente
posteriore, circostanza, la Bagalà riferì di essere stata trattenuta presso
l’abitazione del Pesce per circa un mese, con minacce, percosse e
impedimento di contatti con la propria famiglia, quindi se ne era
allontanata approfittando di un momento in cui non vi era nessuno in
casa.
L’Avv. Santambrogio rappresenta infine l’intervenuta prescrizione del reato,
da considerare estinto a far data dal settembre 2015 per il decorso del termine
massimo, pari ad anni dieci.
L’Avv. Domenico Infantino, con il separato ricorso da lui avanzato
nell’interesse dello stesso imputato, lamenta:
violazione degli artt. 192 e 533 cod. proc. pen. e vizi della motivazione
della sentenza impugnata
Anche in questo caso viene rimarcato il contrasto fra le dichiarazioni della
Bagalà e del padre della ragazza, con il primo limitatosi a descrivere la
sola fase iniziale del presunto delitto ed in termini tali da escludere
qualsiasi forma di violenza od intimidazione. In ogni caso, ad avviso
della difesa i giudici di merito non avrebbero vagliato l’attendibilità delle
dichiarazioni della persona offesa, che rimangono sostanzialmente l’unico
elemento di prova a carico del Pesce: assai ragionevolmente, la
ricostruzione dei fatti offerta dalla ragazza poteva invece avere subito
influenze dagli eventi occorsi durante la sua relazione con l’imputato,
protrattasi nel tempo

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Il difensore del ricorrente evidenzia poi come la Corte territoriale abbia

inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 605 cod. pen.
L’Avv. Infantino contesta che possa dirsi integrato l’elemento materiale
del sequestro di persona, mancando una reale ed effettiva limitazione
della libertà di locomozione della giovane: fra l’altro, «il potenziale
intimidatorio, funzionale rispetto alla privazione della libertà, risulta
escluso dalla possibilità che la Bagalà aveva di richiedere aiuto» (con il
risultato che, al più, potrebbe discutersi di violenza privata)
vizi della motivazione della sentenza impugnata in punto di elemento

Stante la totale assenza di condotte di minaccia, l’assunto del Pesce
(secondo cui egli aveva agito al solo fine di convincere la ragazza a
sposarlo) risultava meritevole di fede, conseguentemente escludendosi il
dolo necessario per ritenere configurabile il delitto de quo: quell’intento,
infatti, non era mai sfociato in costrizioni di sorta
vizi della motivazione della sentenza impugnata in punto di trattamento
sanzionatorio e negazione delle attenuanti generiche
Il ricorrente si duole che la dosimetria della pena, irrogata in termini assai
più severi rispetto al minimo edittale previsto dalla norma incriminatrice,
viene apoditticamente spiegata dalla Corte territoriale in ragione di una
presunta e non meglio chiarita gravità della condotta, tale da risultare
ostativa anche alla concessione delle attenuanti ex art. 62-bis cod. pen. in
favore del Pesce.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non può trovare accoglimento.
1.1 In ordine al presunto vizio processuale, la Corte di appello ha
ineccepibilmente chiarito come tra la deposizione della Bagalà e quella del padre
della giovane non vi fossero le decisive contraddizioni lamentate dalla difesa: se
infatti è vero che l’uomo non fece parola del gesto indicato dalla figlia (secondo
cui ella era stata presa per un braccio, facendo intendere di essere scesa
dall’auto dietro costrizione fisica), è altrettanto innegabile che anche Letterio
Bagalà descrisse un contesto di evidente intimidazione, tale da non consentire
altra scelta alla ragazza. Dalle dichiarazioni del teste, diffusamente riportate nel
corpo della motivazione della sentenza impugnata, emerge che vi furono
“momenti di panico” e che egli si era sentito “assediato” da più persone senza
poterselo aspettare: nessuno gli aveva bloccato la macchina o messo le mani
addosso, così come nessuno aveva “preso di forza brutalmente” la figlia, ma è

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soggettivo

sempre il Bagalà a spiegare che la giovane era stata “invitata a scendere”
dall’auto in una situazione in cui non era concretamente possibile opporre una
qualsiasi resistenza.
Al pari della figlia, in definitiva, l’uomo aveva sostenuto che la persona
offesa era rimasta incapace di reagire alle pretese del Pesce e di coloro che lo
avevano spalleggiato avvicinandosi per formulare quel singolare “invito”, a
prescindere dalle giustificazioni accomodanti secondo cui nessuno doveva temere
alcunché in quanto il ricorrente “si voleva sposare Maria Stella”: e non poteva

che il narrato della persona offesa (neppure costituitasi parte civile, come
opportunamente rimarcato dalla Corte di appello) aveva già ricevuto un
sostanziale riscontro.
1.2 Da quanto appena segnalato si evince altresì la pacifica ravvisabilità del
delitto di sequestro di persona sul piano sia dell’elemento materiale che di quello
psicologico; il reato de quo,

infatti, è senz’altro realizzato quando taluno

«costringe, sotto minaccia, la vittima a salire su un’automobile, in quanto ai fini
dell’integrazione del detto delitto è sufficiente che vi sia stata in concreto una
limitazione della libertà fisica della persona, in modo da privarla della capacità di
spostarsi da un luogo all’altro, a nulla rilevando la durata dello stato di
privazione della libertà, che può essere limitato anche ad un tempo breve»
(Cass., Sez. V, n. 6488 del 24/01/2005, Di Flavio, Rv 231422; v. altresì, nello
stesso senso, Cass., Sez. V, n. 19548 del 17/04/2013, M.). E, in tali situazioni,
la minaccia ben può essere implicita, manifestandosi attraverso un
comportamento concludente che faccia ineluttabilmente comprendere al soggetto
passivo di non avere spazi per manifestare un qualsivoglia dissenso: né colui che
sia stato artefice di situazioni del genere, pienamente consapevole di aver posto
la vittima nell’impossibilità di determinarsi autonomamente, può invocare a
propria discolpa di avere confidato nella sincerità di quella obbligata mancanza di
reazioni.
Sul piano delle caratteristiche della privazione della libertà, la giurisprudenza
di questa Corte ha parimenti da tempo affermato che questa non
necessariamente deve avere carattere di assolutezza, «essendo sufficiente anche
una relativa impossibilità di recuperare la propria libertà di scelta e di
movimento: né alcun rilievo assume, da una parte, la maggior o minore durata
della limitazione, purché questa si protragga per un tempo giuridicamente
apprezzabile, e, dall’altra parte, la circostanza che il sequestrato non faccia alcun
tentativo per riacquistare la propria libertà di movimento, non recuperabile con
immediatezza, agevolmente e senza rischi. Il reato, infatti, è configurabile anche
quando il soggetto passivo riesca a riappropriarsi della propria libertà, dopo un.
AIIP
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che derivarne la obiettiva inutilità di escutere anche la madre della Bagalà, visto

privazione giuridicamente apprezzabile che segna il momento consumativo del
sequestro» (Cass., Sez. V, n. 5443/2000 del 15/11/1999, Pinco, Rv 215253).
Ciò è appunto quel che si è verificato nella fattispecie concreta, con la Bagalà
che rimase vittima di un vero e proprio sequestro già per il solo fatto di essere
stata indotta a scendere dall’auto condotta dal padre ed a trattenersi con l’ex
fidanzato nel casolare adiacente a quel luogo. Del resto, già in varie pronunce si
è sostenuto che un tempo di venti minuti sia più che sufficiente per intendere
perfezionato un sequestro di persona (v. Cass., Sez. I, n. 18186

ad una quantificazione minima, bensì trovarsi dinanzi – come nel caso oggi sub
judice – a un dato temporale comunque apprezzabile.
Ergo, per quanto i giudici di merito possano aver valorizzato particolari che
la ragazza aveva riferito quanto ad una vicenda successiva (comunque indicativa
di un costante atteggiamento di prevaricazione da parte del Pesce), o per quanto
la stessa persona offesa possa avere enfatizzato in negativo il comportamento
complessivo dell’imputato, non vi è alcuna necessità di approfondire quel che
accadde nei giorni che seguirono l’inizio della consumazione del sequestro: giorni
in cui, in ogni caso, la scelta della Bagalà di non invocare l’aiuto dei propri
familiari, cercando anzi di tranquillizzarli, come pure di non tentare la fuga, ben
può spiegarsi come espressione della sua volontà di non provocare reazioni in chi
la stava trattenendo dove ella non aveva scelto di stare.
1.3 In ordine al trattamento sanzionatorio, va ricordato che «la graduazione
della pena, anche rispetto agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le
circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di
merito, il quale la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai
principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., sicché è inammissibile la
censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della
congruità della pena» (Cass., Sez. III, n. 1182/2008 del 17/10/2007, Cilia, Rv
238851). Analogamente è a dirsi a proposito della mancata concessione in
favore del Pesce delle attenuanti generiche, atteso che «la sussistenza di
circostanze attenuanti rilevanti ai fini dell’art. 62-bis cod. pen. è oggetto di un
giudizio di fatto e può essere esclusa dal giudice con motivazione fondata sulle
sole ragioni preponderanti della propria decisione, non sindacabile in sede di
legittimità, purché non contraddittoria e congruamente motivata, neppure
quando difetti di uno specifico apprezzamento per ciascuno dei pretesi fattori
attenuanti indicati nell’interesse dell’imputato» (Cass., Sez. VI, n. 42688 del
24/09/2008, Caridi, Rv 242419); nella giurisprudenza di questa Corte si è anche
affermato che «ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti
generiche il giudice può limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati

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dell’08/04/2009, Lombardo); ma, come avvertito, l’importante non è pervenire

dall’art. 133 cod. pen., quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o
meno il riconoscimento del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente
alla personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione
di esso può essere sufficiente in tal senso» (Cass., Sez. II, n. 3609 del
18/01/2011, Sermone, Rv 249163). Nel caso in esame, il riferimento alla
gravità della condotta non può intendersi apodittico, come lamentato dalla
difesa, dovendosi piuttosto interpretare come specifica volontà di confermare le
argomentazioni che, sul punto, erano state già sviluppate nella decisione di

1.4 Quanto infine all’invocata prescrizione, deve rilevarsi che la difesa del
Pesce non considera le cause di sospensione dei relativi termini, derivanti da
rinvii delle udienze celebrate nel corso del giudizio di merito: cause di
sospensione che, nei limiti delle ipotesi di differimento che assumono rilievo ai
fini qui in esame, perché derivanti dall’iniziativa o dalla mancata opposizione
della difesa dell’imputato, corrispondono ad un periodo di complessivi 250 giorni.
La causa estintiva del reato sub judice non è, in definitiva, ancora maturata,
venendo astrattamente a realizzarsi il 06/06/2016.

2. Il rigetto del ricorso comporta la condanna del Pesce al pagamento delle
spese del presente giudizio di legittimità.

P. Q. M.

Rigetta il ricorso9„. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 16/02/2016.

primo grado (v. pag. 17 della motivazione del Tribunale di Palmi).

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