Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29203 del 16/02/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 29203 Anno 2016
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: MICHELI PAOLO

Data Udienza: 16/02/2016

SENTENZA
sul ricorso proposto nell’interesse di
Di Martino Vincenzo, nato a Grombalia (Tunisia) il 29/10/1955
avverso la sentenza emessa il 04/12/2014 dalla Corte di appello di L’Aquila
visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Agnello Rossi, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
udito per il ricorrente l’Avv. Federico Carnelutti, il quale ha concluso chiedendo
l’accoglimento del ricorso e l’annullamento della sentenza impugnata

RITENUTO IN FATTO

Il difensore di Vincenzo Di Martino ricorre avverso la pronuncia indicata in
epigrafe, recante la conferma della sentenza emessa il 16/12/2010, nei confronti
del suo assistito, dal Tribunale di Teramo; il Di Martino risulta essere stato
condannato a pena ritenuta di giustizia per delitti di bancarotta fraudolenta
patrimoniale e documentale, in ipotesi commessi in relazione al fallimento della

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4111:

Pluricart s.r.I., società della quale egli era stato – secondo l’assunto accusatorio amministratore di fatto.
Con l’odierno ricorso, la difesa lamenta:
– violazione di legge penale, nonché vizi di motivazione della sentenza
impugnata
Nell’interesse del Di Martino si fa presente in via preliminare che la
declaratoria di penale responsabilità appare pronunciata dalla Corte di
appello non solo sulla base della ritenuta gestione di fatto della società

concorrente, quale soggetto

extraneus,

nel reato proprio

dell’amministratore. In ogni caso, i giudici di merito non avrebbero
chiarito gli elementi da cui desumere un’attività del prevenuto di continua
e significativa gestione della Pluricart, che sarebbe stato necessario
dimostrare in concreto alla luce della previsione di cui all’art. 2639 cod.
civ. e che invece la Corte territoriale dà per assodata con affermazione
apodittica e meramente assertiva.
In particolare, non risulta provato che egli avesse impartito disposizioni ai
dipendenti, assunto o licenziato personale, intrattenuto rapporti bancari o
con consulenti della società: al contrario, più testimoni lo avevano visto
semplicemente scaricare merce, e presentarsi sempre come semplice
dipendente della ditta (al più, avendo trattato l’acquisto di beni presso i
fornitori). Tanto più che, nella valutazione di una parallela ipotesi di
reato associativo, quanto alla commissione di truffe attraverso l’attività
della società fallita, gli stessi giudici di merito avevano ritenuto il Di
Martino un mero partecipe del sodalizio, e non una figura di vertice
– inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 216 legge fa/I, e 110 cod.
pen.
Il difensore dell’imputato segnala che la Corte territoriale sarebbe incorsa
in un travisamento della prova quanto alla condotta attribuita al Di
Martino da parte di un teste (Piero Natali), che vide inviare verso ignote
destinazioni la merce compendio delle truffe, ma non indicò affatto la
persona che ebbe a realizzare materialmente quelle condotte.
Analogamente è a dirsi quanto alle prove orali offerte da altri soggetti
(Giancarlo Petocchi, nonché tale Cesetti), che indicarono il Di Martino
come partecipe attivo delle truffe, realizzate attraverso ordinativi di
merce con il proposito di non pagarne il prezzo, ma nulla dissero sul fatto
che sarebbe stato proprio l’imputato a far sparire quei beni, in concorso
con l’amministratore o con il consenso di costui.

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fallita da parte dell’imputato, ma anche perché egli sarebbe comunque un

La Corte di appello non avrebbe comunque individuato alcun elemento a
sostegno della partecipazione del Di Martino nella sottrazione delle
scritture contabili, non essendo egli titolare di alcun obbligo di legge nella
tenuta dei libri medesimi
inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 216 legge fall. e 110 cod.
pen.
La sentenza impugnata afferma in via subordinata la ravvisabilità di un
concorso del Di Martino quale extraneus con un presunto amministratore

dovrebbe ritenersi aver commesso i fatti de quibus in linea diretta

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non può trovare accoglimento.
Deve innanzi tutto ricordarsi che, secondo plurime pronunce di questa Corte
(pur non avendo la difesa adombrato profili di inosservanza della legge
processuale), «non integra la violazione del principio di correlazione tra reato
contestato e reato ritenuto in sentenza (art. 521 cod. proc. pen.), la decisione
con la quale sia condannato un soggetto quale concorrente esterno in un reato di
bancarotta fraudolenta, anziché quale amministratore di fatto, qualora rimanga
immutata l’azione distrattiva ascritta» (Cass., Sez. V, n. 18770/2015 del
22/12/2014, Runca, Rv 264073).
Tanto premesso, la giurisprudenza di legittimità ha parimenti avuto modo di
affermare che «a proposito dei criteri giovevoli per vagliare la qualità di
amministratore di fatto occorre, necessariamente, valutare non già la totale
sovrapposizione di funzioni esercitate dal soggetto non qualificato rispetto a
quelle proprie dell’amministratore, poiché la norma di legge, art. 2639 cod. civ.,
prescrive l’accertamento dell’esercizio continuativo; nondimeno, “significatività”
e “continuità” non comportano necessariamente l’esercizio di “tutti” i poteri
propri dell’organo di gestione, ma richiedono l’esercizio di un’apprezzabile attività
gestoria, svolta in modo non episodico od occasionale» (Cass., Sez. V, n. 15065
del 02/03/2011, Guadagnoli).
Elementi, quelli illustrati, che i giudici di merito hanno senz’altro evidenziato
nella fattispecie concreta con riguardo alla posizione del Di Martino, visto che già
la sentenza di primo grado chiarisce che:
l’imputato si era presentato con nomi fasulli (Marco Di Giacinto, oppure
Giuseppe) a vari interlocutori che avevano avuto modo di entrare in
contatto con la Pluricart, relazionandosi soltanto con lui;

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(di diritto o di fatto che sia), senza neppure indicare la persona che

,

il teste Luciano Di Nobile, dal quale era stata formalizzata una sicura
ricognizione dell’odierno ricorrente al cospetto della fotografia che ne
ritraeva l’immagine, «aveva fornito diversa merce (carta di vario tipo) alla
Pluricart dopo avere avuto contatti sia telefonici che personali con un
sedicente Di Giacinto Marco; questi gli si era presentato come il
responsabile commerciale della Pluricart, a lui aveva materialmente
effettuato la consegna della merce presso il magazzino di Silvi, lui aveva
apposto la firma sulle bolle» (v. pag. 9 della motivazione della pronuncia

un altro testimone (il già ricordato Piero Natali, che aveva eseguito
trasporti per conto della società, riconoscendo a sua volta il Di Martino e
indicandolo come referente della Pluricart) «riferiva, in sede di
escussione, di avere conosciuto il nuovo responsabile della Pluricart, tale
Giuseppe, attraverso Cilli Gianni che glielo aveva presentato, dicendogli
che se avesse voluto continuare a fare dei trasporti per la società poteva
rivolgersi a lui.

Ne aveva effettuati alcuni, ma aveva deciso di

interrompere i rapporti con questo Giuseppe perché non gli pagava le
commissioni, ma soprattutto perché non gli piaceva una circostanza che
spesso si verificava, ovvero che la merce (in particolare, la carta)
“partiva, arrivava, poi ripartiva”» (pag. 5).

Ergo, se il Natali aveva,

almeno nelle ultime circostanze da lui descritte, avuto a che fare con il
solo, fantomatico Giuseppe, appare evidente che le sparizioni di quelle
merci fossero da ascrivere a costui;

secondo la ricostruzione offerta dal coimputato Petochí (come evidenziato
dal primo giudice a pag. 11), «Di Martino Vincenzo partecipa alla
rilevazione della società, appunto la Pluricart s.r.I., segue l’acquisto delle
quote a nome del sedicente Mecali Bruno, accompagna proprio il finto
Mecali, rappresentante legale della società, presso il commercialista per
effettuare gli adempimenti necessari all’attivazione della Pluricart nella
nuova compagine sociale ed amministrativa»;

quelle di Bruno Mecali erano le generalità fittizie, per quanto
corrispondenti ad un soggetto esistente (un avvocato di Montefiascone
risultato estraneo ai fatti), riportate su una carta d’identità che recava la
foto dello stesso Petochi, il che dimostra inequivocabilmente come nella
fattispecie concreta non esistesse neppure un reale amministratore di
diritto: non vi era, dunque, alcun

intraneus da identificare in via

preliminare rispetto ai presunti concorrenti nei reati correlati alla gestione
della società, né vi erano soggetti chiamati – in ragione della loro carica ad obblighi di vigilanza e conservazione quanto alle scritture contabili (la

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del Tribunale di Teramo);

cui sottrazione non può che ascriversi, sul piano logico, a chi aveva
interesse a realizzare attività di acquisizione di merci dietro lo schermo
formale della Pluricart s.r.I., con il proposito di dismetterle
immediatamente.

2. Il rigetto del ricorso comporta la condanna del Di Martino al pagamento

P. Q. M.

Rigetta il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso il 16/02/2016.

delle spese del presente giudizio di legittimità.

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