Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2920 del 23/10/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 2920 Anno 2014
Presidente: LOMBARDI ALFREDO MARIA
Relatore: VESSICHELLI MARIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL
TRIBUNALE DI PALMI
nei confronti di:
CICCIA DOMENICO N. IL 10/05/1981
NAPOLI ARCANGELO N. IL 02/05/1977
GALLUCCIO PASQUALE N. IL 01/02/1973
ZUCCALA’ SIMONE N. IL 19/04/1978
NASSO GIUSEPPE N. IL 16/05/1963
PAPASIDERO GIUSEPPE N. IL 07/03/1967
avverso la sentenza n. 1076/2011 GIUDICE UDIENZA
PRELIMINARE di PALMI, del 28/11/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARIA
VESSICHELLI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dr. Sante Spinaci
che ha chiesto l’annullamento con rinvio

Data Udienza: 23/10/2013

,

Fatto e diritto
Propone ricorso per cassazione, il Procuratore della Repubblica di Palmi, avverso la sentenza del locale
Gup, in data 28 novembre 2012, con la quale è stato dichiarato il non luogo a procedere, ai sensi
dell’articolo 425 cpp, nei confronti di Ciccia Domenico, Napoli Arcangelo, Galluccio Pasquale, Zuccalà
Simone, Nasso Giuseppe e Papasidero Giuseppe in ordine al reato di partecipazione ad associazione per
delinquere, finalizzata alla commissione di truffe e di sostituzione di persona, in ipotesi commesso fino al 26
maggio 2010 a Maropati, Cinquefrondi e Taurianova.
E’ doveroso precisare, peraltro, che la sentenza del Gup, pur recando, in intestazione, la menzione anche
quelli destinatari della sentenza di non luogo a procedere, con la conseguenza che tale nominativo non
figura tra quelli contro i quali è stato proposto ricorso e non rientra nella presente procedura.
La vicenda emersa dalle indagini è quella della denuncia, da parte di una serie di cittadini, di telefonate da
parte di soggetti che si erano spacciati per appartenenti alle forze dell’ordine e che avevano loro proposto
la adesione ad abbonamenti a riviste e periodici il cui nome rievocava le attività delle forze di polizia.
Era stato anche accertato che tali soggetti erano stati organizzati in un apposito call-center, ad opera di
Papasidero Maurizio, la cui posizione era stata stralciata e giudicata con rito abbreviato.
Il Gup , riportandosi a un precedente provvedimento di rigetto di richiesta di misura cautelare, emesso
dallo stesso Ufficio di appartenenza, osservava che non erano emersi elementi di prova per sostenere che
l’attività truffaldina accertata, ad opera dei dipendenti del Papasidero, fosse il frutto di un accordo e di un
progetto criminale organizzato dallo stesso titolare del call-center.
Deduce il Pubblico ministero, la violazione dell’articolo 425 cpp e il vizio della motivazione, derivante da un
incompleto esame degli atti processuali.
In particolare, a fronte del carattere univoco delle emergenze raccolte- tutte capaci di dimostrare che gli
operatori del call-center, dipendenti di Papasidero Maurizio, avevano ottenuto la sottoscrizione di
abbonamenti a riviste di polizia, spacciandosi per appartenenti agli stessi Corpi- il PM sostiene che non è
rilevante, ai fini dell’esclusione del reato associativo, l’elemento indicato dal Gup: e cioè quello della
esistenza o meno di uno specifico mandato del promotore, rivolto agli altri partecipi, a spacciarsi come
appartenenti alle forze di polizia, per concludere contratti.
È sufficiente, viceversa, a dimostrare il reato, la prova della consapevolezza, da parte degli addetti al callcenter, di agire con modalità illecite all’interno di una organizzazione criminale, preordinata proprio alla
realizzazione di un numero indefinito di quelle condotte, aventi natura truffaldina.
D’altra parte, era emersa in maniera chiara anche la prova del suddetto mandato.
Infatti, il Papasidero Maurizio era il diretto beneficiario dell’intera attività ed è risultato in possesso di un
notevole numero di lettere di reclamo dei clienti che richiedevano la cessazione degli abbonamenti ottenuti
con la frode: egli, non avendo adottato alcuna iniziativa disciplinare nei confronti dei dipendenti, doveva
perciò ritenersi loro mandante e comunque tale circostanza rientrava tra quelle per le quali il dibattimento
avrebbe offerto l’occasione di sviluppo delle emergenze già acquisite, ad opera del pubblico ministero.
Il ricorso è fondato.
È noto che gli approdi della giurisprudenza di legittimità, in tema di sentenza di non luogo a procedere ai
sensi dell’articolo 425 cpp, sono tutti univocamente nel senso di ritenere che, ai fini della pronuncia di tale
sentenza, il Gup, quale parametro di valutazione, non deve utilizzare quello dell’innocenza dell’imputato,
ma quello dell’impossibilità di sostenere l’accusa in giudizio, con la conseguenza che l’insufficienza e la
1

dell’imputato Corica Michele, oltre a quella degli altri sei già citati, non lo menziona nel dispositivo, fra

contraddittorietà degli elementi acquisiti ai sensi dell’art. 425 cod.proc.pen. debbono avere caratteristiche
tali da non poter essere ragionevolmente considerate superabili (Sez. 6, sent. n. 5049 del 27/11/2012, Rv.
254241).
Si è cioè osservato, del tutto condivisibilmente, che, sebbene sia vero che il giudice dell’udienza
preliminare può prosciogliere nel merito l’imputato – in forza di quanto disposto dall’art. 425, comma 3,
cod. proc. pen., nel testo modificato dall’art.23, comma 1, legge 16 dicembre 1999, n.479 – anche quando
gli elementi acquisiti risultano insufficienti e contraddittori, si tratta però di un epilogo ammesso solo
quando detti elementi siano comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio.
Ne consegue che l’insufficienza o la contraddittorietà delle fonti di prova a carico degli imputati devono
essere escluso il proscioglimento in tutti i casi in cui tali fonti di prova si prestino a evoluzioni alternative e
aperte (Sez. 6, sent. n. 45275 del 16/11/2001, Rv. 221303). Conforme, Sez. 4, sent. n. 47169 del
08/11/2007, Rv. 238251.
Nel caso di specie, si nota che il Gup, nel provvedimento impugnato, non ha tenuto in alcun conto la
prospettiva del dibattimento ma si è attestato sul semplice rilievo della insufficienza probatoria di quanto
accertato nel corso delle indagini preliminari.
In particolare, egli ha ritenuto di doversi arrestare di fronte al dubbio sulla responsabilità per il reato
associativo, derivante dall’osservazione che il materiale sequestrato (moduli contrattuali) avrebbe
contenuto l’espressa diffida del datore di lavoro, rivolta a ciascun operatore del call-center, a spacciarsi per
un appartenente alle forze dell’ordine; ed inoltre, dalla possibilità che ciascun operatore potesse aver agito,
con le dette modalità illecite, per un proprio personale tornaconto, dato dalla percentuale sul singolo
contratto stipulato.
Si tratta, tuttavia, di osservazioni sviluppate in relazione al criterio dell’accertamento della sussistenza o
meno di prove della colpevolezza degli imputati, alla luce dei risultati delle indagini, e non anche, come
invece necessario, al diverso criterio dello sviluppo che gli stessi risultati indiziari avrebbero potuto (o
meno) avere nel corso dell’istruttoria dibattimentale.
Ulteriore limite dell’analisi compiuta sta nell’evidente errore argomentativo commesso dal giudice, col
sostenere che, per la configurazione del reato associativo, debba aversi la prova del mandato a delinquere
da parte del promotore nei confronti degli associati.
Invero, al di là dell’espresso mandato – nel caso di specie apparentemente contraddetto dalla
sopramenzionata diffida contenuta nella modulistica – è sufficiente far emergere il pactum sceleris ossia
l’accordo, anche al di fuori di uno specifico mandato, per l’attuazione di un programma, comune a tutti gli
associati, volto alla realizzazione di una serie indeterminata di reati, mediante una struttura organizzata più
o meno complessa.
E tale accordo, unitamente agli altri elementi, costituisce il frutto di un’analisi aperta che il giudice del
dibattimento ben può compiere alla luce delle prove dinanzi ad esso espletate, salvo che il Gup, in sede di
rinvio, non sia in grado di sostenere, argomentatamente, che il materiale investigativo ha già dimostrato il
proprio massimo potenziale dimostrativo, insufficiente a sostenere l’azione penale nel giudizio.
Per emendare tale lacuna argomentativa, s’impone l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio al
Gup per nuovo esame, uniformandosi ai principi di diritto enunciati.
PQM
annulla la sentenza impugnata con rinvio al Tribunale di Palmi per nuovo esame.
Così deciso in Roma il 23 ottobre 2013
Il Presidente

il Consigliere estensore

avere, quale parametro di riferimento, la prognosi dell’inutilità del dibattimento, sicché correttamente deve

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