Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29197 del 15/02/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 29197 Anno 2016
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: MICCOLI GRAZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MONCADO VINCENZO N. IL 05/08/1980
avverso la sentenza n. 3301/2014 CORTE APPELLO di PALERMO,
del 18/02/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/02/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GRAZIA MICCOLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 15/02/2016

Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, dott. Giuseppe CORASANITI, ha concluso
chiedendo la declaratoria di inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 18 febbraio 2015 la Corte d’appello di Palermo, in parziale riforma della
pronunzia di primo grado del Tribunale di Agrigento, ha assolto Vincenzo MONCADO dai reati di
violenza privata, lesioni personali, ingiurie, minacce e percosse, ha dichiarato estinti per
prescrizione i reati di porto d’armi e molestie e ha rideterminato la pena inflitta per i reati di
minacce e lesioni ascritti ai capi E), F) e L).
Ha proposto ricorso, con atto sottoscritto dal suo difensore, l’imputato, deducendo

violazione di legge e correlati vizi di motivazione in ordine alla valutazione delle prove.
Sono state indicate una serie di discrasie nella valorizzazione delle dichiarazioni di alcuni testi a
riscontro di quelle delle persone offese.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.

1. Le doglianze dedotte in questa sede, infatti, finiscono per reiterare pedissequamente quelle
già proposte con i motivi di appello avverso la sentenza di primo grado; e l’esame della
sentenza impugnata consente di ritenere che su di esse sia stata fornita adeguata, congrua e
logica risposta in motivazione. Va ricordato in proposito che la funzione tipica
dell’impugnazione è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce,
che si realizza con la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591
cod. proc. pen.), debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che
sorreggono ogni richiesta.
Il motivo di ricorso in cassazione, poi, è caratterizzato da una duplice specificità. Deve essere
senz’altro conforme all’art. 581, lett. c, cod. proc. pen. ovvero contenere l’indicazione delle
ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta presentata al giudice
dell’impugnazione; ma quando censura le ragioni che sorreggono la decisione deve, altresì,
enucleare in modo specifico il vizio denunciato, in modo che sia chiaramente sussumibile fra i
tre soli vizi previsti dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., deducendo poi, altrettanto
specificamente, le ragioni della sua decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice del
merito per giungere alla deliberazione impugnata, sì da condurre a decisione differente (Sez.
6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo ed altri, Rv. 254584). Risulta pertanto di chiara
evidenza che se il motivo di ricorso si limita – come nel caso in esame- a riprodurre il motivo
d’appello, viene meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso (la critica
argomentata al provvedimento), posto che con siffatta mera riproduzione il provvedimento
impugnato, invece di essere destinatario di specifica critica argomentata, è di fatto del tutto
ignorato (tra le tante, Sez. 5 n. 25559 del 15 giugno 2012, Pierantoni; Sez. 6 n. 22445 del 8
maggio 2009, p.m. in proc. Candita, rv 244181; Sez. 5 n. 11933 del 27 gennaio 2005,
Giagnorio, rv. 231708).

2

2.

In conclusione, la riproduzione, totale o parziale, del motivo d’appello può essere presente nel
motivo di ricorso solo quando ciò serva a “documentare” il vizio enunciato e dedotto con
autonoma specifica ed esaustiva argomentazione, che si riferisca al provvedimento impugnato
con il ricorso e che si confronti con la sua integrale motivazione (si vedano, tra le più recenti,
Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, Cariolo e altri, Rv. 260608; Sez. 6, n. 34521 del
27/06/2013, Ninivaggi, Rv. 256133).
2.

Va ulteriormente precisato, con riferimento alle deduzioni in fatto svolte dal ricorrente, che

a questa Corte non possono essere sottoposti giudizi di merito, non consentiti neppure alla luce

20 febbraio 2006 n. 46 lascia infatti inalterata la natura del controllo demandato alla Corte di
cassazione, che può essere solo di legittimità e non può estendersi ad una valutazione di
merito.
Tanto premesso, occorre rilevare che la ricorrente si è limitata a censurare la sentenza
impugnata che avrebbe ritenuto sulla base di erronea valutazione delle risultanze processuali
sussistente la sua responsabilità.
Giova, allora, ricordare che in sede di legittimità non è consentita una diversa lettura ed
interpretazione delle risultanze processuali finalizzata alla ricostruzione dei fatti. Né la Corte di
cassazione può trarre valutazioni autonome dalle prove o dalle fonti di prova, neppure se
riprodotte nel provvedimento impugnato. Solo l’argomentazione critica che si fonda sugli
elementi di prova e sulle fonti indiziarie contenuta nel provvedimento impugnato può essere
sottoposto al controllo del giudice di legittimità, al quale spetta di verificarne la rispondenza
alle regole della logica, oltre che del diritto, e all’esigenza della completezza espositiva (Sez. 6,
n. 40609/2008, Rv. 241214, Ciavarella). E neanche allorché sia denunziata in cassazione la
violazione dell’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen., può essere delibata in sede di legittimità
una verità processuale diversa da quella risultante dalla sentenza impugnata, allorquando la
struttura razionale del discorso giustificativo della decisione abbia una chiara e puntuale
coerenza argomentativa e sia saldamente ancorata, nel rispetto delle regole della logica e delle
massime di comune esperienza e dei principi che presidiano la chiamata in correità e la sua
valutazione, alle risultanze del quadro probatorio. (Sez. 1, n. 9148 del 21/06/1999, P.G.in
proc. Riina, Rv. 214014)
Orbene, va ribadito che l’esame del provvedimento impugnato consente di apprezzare come la
motivazione sia congrua ed improntata a criteri di logicità e coerenza, anche con riferimento
alla valutazione delle risultanze processuali dalle quali emerge la responsabilità dell’imputato
per il fatto ascrittogli.
3. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali e al pagamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende che, in ragione
delle questioni dedotte, si stima equo determinare in euro 1.000,00.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
3

del nuovo testo dell’art. 606, lettera e), cod. proc. pen.; la modifica normativa di cui alla legge

processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 15 febbraio 2016
Il Pr idente

Il consi liere estensore

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