Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29193 del 15/02/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 29193 Anno 2016
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: CATENA ROSSELLA

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Marzo Michele, nato a Bari il 01/08/1961,
Marzo Pierpaolo, nato a Corigliano Calabro (CS), il 17/08/1989,
avverso la sentenza del 17/02/2015 del Tribunale di Castrovillari in composizione monocratica,
in funzione di giudice di appello;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere dott.ssa Rossella Catena;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Giuseppe
Corasaniti, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1.Con la sentenza impugnata il Tribunale di Castrovillari in composizione monocratica in
funzione di giudice di appello dichiarava inammissibile l’appello proposto dai ricorrenti avverso
la sentenza emessa in data 23/12/2013 dal Giudice di pace di Corigliano Calabro, con cui i
predetti erano stati condannati a pena di giustizia ed al risarcimento dei danni per i reati di cui
1

Data Udienza: 15/02/2016

agli artt. 594, 612, 582 cod. pen., in danno di Pucci Giampiero, in Corigliano Calabro il
04/09/2009.

2.Con ricorso il difensore di Marzo Michele e Marzo Pierpaolo, Avv.to Agostino Madeo, ricorre
per:
2.1. violazione di legge ed inosservanza di norme processuali, ex art. 606 lett. b) e c), cod.
proc. pen. in relazione agli artt. 591, comma 1, lett. c), 585, 544 cod. proc. pen., in quanto il

pace non potesse assegnarsi un termine superiore a 15 giorni per il deposito della motivazione,
ciò in contrasto con la sentenza della Cassazione, sez. 5, n. 40037 del 10/07/2014; nel caso di
specie il primo giudice aveva riservato in giorni 90 il termine per il deposito della motivazione,
che avveniva il 22/01/2014, con notifica dell’estratto contumaciale in data 31/03/2014, a cui
seguiva il deposito dell’appello in data 14/05/2014; inoltre ci si duolo del fatto che il giudice di
appello abbia dichiarato l’inammissibilità non con ordinanza ma con sentenza; si chiede, infine,
in linea gradata, la rimessione della questione alle Sezioni Unite di questa Corte.

CONSIDERATO IN DIRITTO

I ricorsi sono infondati.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte (Sez. 5, sentenza n. 9832 dell’08/01/2014, Rv.
262737; Sez. 5, sentenza n. 43493 del 28/05/2014, Rv. 2629; Sez. 5, sentenza n. 11656 del
24/2/2012, Rv. 252963) in tema di impugnazioni, la previsione di cui all’art. 32 del D.Lgs. 28
agosto 2000, n. 274 – per la quale il giudice di pace deve depositare la motivazione entro
quindici giorni qualora non la detti a verbale – implica che quest’ultimo non possa
autoassegnarsi un termine diverso e maggiore, non consentito dal predetto art. 32, che riveste
carattere derogatorio rispetto all’art. 544 c.p.p., con la conseguenza che non può trovare
applicazione l’art. 2 del citato D.Lgs., che prevede l’estensione delle norme del codice di rito
nei procedimenti innanzi al giudice di pace, a meno che non sia diversamente stabilito. Ne
deriva che il termine per impugnare è in ogni caso quello di giorni trenta decorrente, per le
parti presenti, dal quindicesimo giorno successivo alla emissione della sentenza qualora tale
termine sia stato rispettato nonostante l’assegnazione di uno maggiore e, per le parti non
presenti e comunque nel caso di deposito della sentenza oltre il quindicesimo giorno, dall’epoca
della notificazione ex art. 548 c.p.p.

2

giudice di appello ha dichiarato inammissibile l’impugnazione sul presupposto che il giudice di

Il condiviso arresto di questa sezione ha già rilevato come detto indirizzo sia in linea con la
pronuncia della Cass. Sez. U., n. 21039/2011, che – in riferimento alla sentenza di non luogo a
procedere pronunciata all’esito dell’udienza preliminare, per il deposito della quale è pure
previsto un unico termine, di trenta giorni – ha affermato che il termine di impugnazione,
stabilito in quindici giorni dall’art. 585 c.p.p., comma 1, lett. a), per i provvedimenti emessi in
seguito a procedimento in camera di consiglio, decorre, per le parti presenti, dalla lettura in
udienza della sentenza contestualmente motivata ovvero dalla scadenza del termine legale di
trenta giorni, in caso di motivazione differita e depositata entro tale termine, restando

deposito della suddetta motivazione; in detto ultimo caso il termine di quindici giorni decorrerà
dalla comunicazione o notificazione dell’avviso dì deposito del provvedimento alle parti
legittimate all’impugnazione.

Nel caso in esame, quindi, il Giudice di pace – come correttamente rilevato dal Giudice di
appello – non avrebbe potuto riservare il termine per il deposito della motivazione ai sensi
dell’art. 544, comma 3, c.p.p., in un periodo superiore ai 15 giorni; ne discende che, essendo
stata la sentenza depositata in data 18/03/2014 – quindi dopo il termine di giorni quindici dalla
deliberazione del 23/12/2013 – e notificata agli imputati in data 31/03/2014, il termine di
giorni trenta per l’impugnazione, ai sensi dell’art. 585 co. 1 lett. b) e co. 2 lett. c), c.p.p., era
spirato il 30/04/2014, con conseguente declaratoria della tardività dell’appello, depositato il
14/05/2014 ex art. 582, comma 2, c.p.p.

Non appare possibile, quindi, condividere quanto affermato da questa Sezione con la sentenza
n. 40037 del 10/07/2014, Rv. 260301, che, al contrario, ha considerato come il Giudice di pace
possa autoassegnarsi un termine diverso e maggiore, alla luce dell’art. 2 del D.Lgs. 28 agosto
2000 n. 274, con la conseguente applicabilità dei termini di impugnazione previsti dall’art. 585
c.p.p. per le sentenze del Tribunale e della Corte di appello; ciò in quanto, come si legge in
motivazione, il citato art. 2 viene interpretato come norma che consente una automatica
integrazione con le norme del codice di procedura penale, a meno che le norme richiamate non
risultino in contrasto con i principi della materia “integrata”, ed a meno che l’applicazione
integrativa non sia – in relazione a determinati istituti – espressamente esclusa dalla norma di
rinvio. Poiché l’art. 544 comma 3, c.p.p. non rientra tra le norme di cui è esclusa
espressamente l’applicazione, non essendo elencata nell’art. 2 citato, comma 1, lett. da a) ad
I), né la sua applicabilità alle impugnazioni delle sentenze del giudice di pace contrasta in
alcuna maniera con i principi regolatori della materia, ne deriva – secondo detta sentenza – che
il Giudice di pace possa legittimamente autoassegnarsi un diverso e maggiore termine di quello
previsto dall’art. 32 D. Lgs. 28 agosto 2000, n. 274.

3

irrilevante l’eventualità che il giudice abbia irritualmente stabilito un termine più ampio per il

In realtà deve osservarsi come, nel procedimento dinanzi al Giudice di pace, il ricorso all’art.
544, comma 3, c.p.p., sulla base della clausola prevista dall’art. 2 D.Lgs. n. 274 del 2000 secondo cui “Nel procedimento davanti al giudice di pace, per tutto ciò che non è previsto dal
presente decreto, si osservano, in quanto applicabili, le norme contenute nel codice di
procedura penale” non appare possibile proprio perché manca il presupposto per l’operatività
di tale clausola, presupposto costituito dalla mancanza di disciplina specificamente dettata
relativamente a taluno aspetto del procedimento dinanzi al Giudice di pace. Ed infatti la
previsione dell’art. 32 del D. Lgs. n. 274 del 2000 prevede che il Giudice di pace detti a verbale

esso demandate ed alle esigenze di celerità della sua giurisdizione – con la conseguenza che la
possibilità di depositare la motivazione nel più lungo termine di quindici giorni già involge la
considerazione della previsione di una maggiore complessità motivazionale. Ne consegue che,
di tutta evidenza, lo stesso legislatore, all’art. 32 citato, ha già normativamente contemplato
sia la regola della motivazione contestuale – basata sulla tendenziale semplicità delle sentenze
di competenza del Giudice di pace – sia la possibilità di un più lungo termine, pari e non
superiore a giorni quindici, nel caso di sentenza più complesse. Dal che deriva come non possa
esservi spazio alcuno per un ulteriore prolungamento dei termini attraverso il meccanismo
operativo derivante dall’applicazione dell’art. 544, comma 3, c.p.p.

Non appare avere alcun rilevo la circostanza che la declaratoria di inammissibilità sia stata
pronunciata con sentenza piuttosto che con ordinanza, né appaiono sussistere gli estremi per
la rimessione alle Sezioni Unite di questa Corte del contrasto, atteso che detto contrasto non
appare configurabile, atteso che la pronuncia richiamata dalla difesa ed esaminata in
precedenza, costituisce un precedente isolato.

Dal rigetto dei ricorsi deriva, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna di ciascun ricorrente al
pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 15/02/2016

Il Consigliere estensore

Il Presidente

la motivazione – ciò, evidentemente, in relazione alla tendenziale semplicità delle decisioni ad

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