Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29191 del 15/02/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 29191 Anno 2016
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: AMATORE ROBERTO

SENTENZA
sul ricorso proposto da :
CASTALDO LELIO, nato a AGRIGENTO, il 27.10.1963 ;
avverso la sentenza n. 1568/2014 della Corte di Appello di Palermo del 20.3.2015;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso ;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Roberto Amatore ;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Giuseppe
Corasaniti che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso ;

RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Palermo ha confermato la condanna del
detto imputato per il reato di cui agli artt. 81, 595, 1, 2 e 3, comma, cod. pen., condanna
emessa dal Tribunale di Agrigento in data 15.3.2015.
1.1 Avverso la sentenza ricorre l’imputato, per mezzo del suo difensore, affidando la sua
impugnativa a quattro motivi di doglianza.
1.2 II ricorso proposto nell’interesse dell’imputato deduce, come primo motivo, la violazione, ai
sensi dell’art. 606 lett. c ed e, cod. proc. pen., degli artt. 337 e 39, disp. att., medesimo
codice. Osserva la parte ricorrente che, ai sensi dell’art. 337 ora richiamato, la querela può
essere proposta personalmente ovvero a mezzo di procuratore speciale al quale tuttavia la
procura deve essere rilasciata nelle forme di cui all’art. 122 del codice di rito ; che, a mente
dell’art. 39 dicp. att. già sopra richiamato, l’autenticazione della sottoscrizione può essere
effettuata, tra gli altri soggetti a ciò abilitati, anche dal difensore ; che tuttavia nel caso di
specie tale autenticazione era stata effettuata da un semplice praticante avvocato abilitato e
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Data Udienza: 15/02/2016

non già da un avvocato ; che pertanto non era neanche legittimo il conferimento della procura
speciale in capo al predetto praticante.
1.2 Denunzia la parte ricorrente, come secondo motivo di ricorso, la violazione, ai sensi
dell’art. 606, lett. b e c, cod. proc. pen., dell’art. 595, commi 1, 2 e 3, cod. pen. Lamenta il
ricorrente l’erroneità della motivazione nella parte in cui quest’ultima si era richiamata a
svariati precedenti di legittimità e a concludere poi in modo apodittico per l’affermazione della
sua penale responsabilità ; si duole altresì della mancata considerazione da parte del giudice

contestazione a difendere l’immagine della sua città, senza voler offendere l’onore ed il decoro
della persona offesa ; osserva pertanto che manca, nel caso di specie, l’elemento soggettivo
del reato e che comunque ricorreva l’interesse pubblico alla diffusione della notizia e la
continenza espositiva.
1.3 Con il terzo motivo la parte ricorrente censura il provvedimento impugnato sempre per
erronea applicazione della legge penale e per vizio di motivazione in ordine al profilo della
dosimetria della pena.
1.4 Con il quarto ed ultimo motivo si chiede infine l’annullamento della sentenza impugnata ai
sensi dell’art. 131 bis cod. pen. per la particolare tenuità del fatto e perché non aveva potuto
richiedere l’applicazione dell’istituto di nuovo conio in appello.

CONSIDERATO IN DIRITTO
2. Il ricorso è infondato.
2.1 II primo motivo di doglianza è in realtà infondato e non meritevole di accoglimento.
2.2 Sul punto, osserva la Corte che è pur vero che anche la giurisprudenza di legittimità ha
chiarito che è valida la querela sottoscritta dalla persona offesa e, in calce, dal difensore che la
ha depositata in procura, considerato che in virtù dell’art. 337, comma primo, cod. proc. pen.
la querela presentata da un incaricato deve essere munita dell’autenticazione della
sottoscrizione da soggetto a ciò legittimato e, quindi, ai sensi dell’art. 39 disp. att. cod. proc.
pen., anche dal difensore, nominato formalmente ovvero tacitamente ( Cass., Sez. 6, n. 13813
del 26/03/2015 – dep. 31/03/2015, Pg in proc. Recce, Rv. 262966). Con la conseguenza che in
tema di formalità della querela, la mancata autenticazione della sottoscrizione determina
l’improcedibilità dell’azione penale, per l’ipotesi in cui la querela non venga presentata
personalmente dall’interessato, ma venga recapitata da un incaricato, riflettendosi sulla
garanzia di sicura provenienza dell’atto dal titolare del diritto di querela ( Cass., Sez. 6, n.
21447 del 19/02/2008 – dep. 28/05/2008, P.O. in proc. De Angelis e altro, Rv. 240063).
Tuttavia, va ulteriormente osservato che nel caso di specie la sottoscrizione della persona
offesa è stata autenticata dal difensore di quest’ultima, come emerge dalla lettura della
sentenza impugnata. Né la parte ricorrente ha fornito indicazioni concrete per far ritenere che
il professionista autenticante non avesse la qualità di difensore della persona offesa.

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impugnato della circostanza che si era in realtà limitato nei due articoli oggetto di

Ne discende che, stante la cristallizzazione in questo giudizio di legittimità della situazione
processuale così come descritta nella sentenza impugnata, la censura così sollevata dalla parte
ricorrente non può trovare positiva condivisione.
3. Con il secondo motivo si denunzia violazione di legge e vizio motivazionale.
3.1 Le doglianze della parte ricorrente sono state formulate invero in modo inammissibile.
3.2 Risulta in realtà manifestamente infondata la denunziata violazione di legge, atteso che la
Corte distrettuale ha correttamente applicato i parametri normativi dettati dagli artt. 595 e 51

richiamata esimente di cui non ricorrevano i presupposti applicativi in ragione del superamento
del limite della continenza ( lo Scalzo veniva definito come “Imbecille, falso, bugiardo,
miserabile, meschino ed accattone” ).
3.3 Ma anche il denunziato vizio argomentativo, attingendo al merito delle valutazioni della
prova e non riguardando invero un eventuale profilo di illogicità e di contraddittorietà della
motivazione, si pone inesorabilmente nell’area della inammissibilità.
3.3.1 E’ necessario puntualizzare, con riguardo ai limiti del sindacato di legittimità sulla
motivazione dei provvedimenti oggetto di ricorso per cassazione, delineati dall’art. 606,
comma 1, lettera e), cod. proc. pen., come vigente a seguito delle modifiche introdotte dalla L.
n. 46 del 2006, che questo non concerne né la ricostruzione dei fatti, né l’apprezzamento del
giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due
requisiti che lo rendono insindacabile: 1) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative
che lo hanno determinato; 2) l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle
argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. Ed invero, il sindacato
demandato alla Corte di Cassazione si limita al riscontro dell’esistenza di un logico apparato
argomentativo, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni
processuali. Deve inoltre aggiungersi che il vizio della “manifesta illogicità” della motivazione
deve risultare dal testo del provvedimento impugnato, nel senso che il relativo apprezzamento
va effettuato considerando che la sentenza deve essere logica “rispetto a sé stessa”, cioè
rispetto agli atti processuali citati nella stessa ed alla conseguente valutazione effettuata dal
giudice di merito, che si presta a censura soltanto se manifestamente contrastante e
incompatibile con i principi della logica.
3.3.2 Ciò posto, osserva la Corte come in realtà il ricorrente voglia sollecitare la Corte ad un
nuovo apprezzamento del merito della vicenda, come tale inammissibile in questo giudizio di
legittimità, senza che sia possibile rintracciare un correlativo vizio motivazionale nel tessuto
argomentativo della sentenza impugnata il cui percorso, logico e non contraddittorio, si evince
chiaramente dall’aver il giudice di appello richiamato correttamente in premessa i principi
giurisprudenziali fissati in tema di esercizio del diritto di cronaca e di critica giornalistica e
nell’aver poi applicato gli stessi al caso di specie ove la stessa lettura degli epiteti offensivi
proferiti nei confronti della persona offesa evidenzia di per sé sola il superamento del limite
della continenza e comunque la gratuità ed offensività delle accuse, così come riportate nel
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cod. pen., ritenendo la condotta contestata al giornalista non scriminabile sulla base della

capo di imputazione.
4. Ma anche il terzo motivo di censura risulta formulato in modo inammissibile, e ciò per le
medesime ragioni già sopra evidenziate, atteso che anche qui la parte ricorrente vorrebbe
sollecitare un nuovo apprezzamento di merito da parte del giudice di legittimità in ordine al
profilo della dosimetria della pena, senza che tuttavia sia rintracciabile un vizio argomentativo
nella sentenza impugnata.
5. Il quarto motivo di doglianza è invece infondato, atteso che già il profilo della reiterazione

esclude in radice qualsiasi possibile valutazione di tenuità del fatto.

P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 15.2.2016

delle condotte offensive in più articoli di stampa sempre nei confronti della persona offesa

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