Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2919 del 05/04/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 2919 Anno 2014
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: MICHELI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di

Jussi Nicolas, nato a Torino il 25/01/1989

De Glaudi Massimiliano, nato a Torino il 20/09/1968

avverso l’ordinanza emessa il 05/12/2012 dal Tribunale di Torino

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Paolo Micheli;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
Pio Gaeta, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso;
uditi per i ricorrenti gli Avv.ti Basilio Foti ed Enrico Buratti, che hanno concluso
chiedendo raccoglimento del ricorso, e l’annullamento dell’ordinanza impugnata

RITENUTO IN FATTO

1. Il Tribunale di Torino, a seguito di richiesta di riesame avanzata
nell’interesse di Nicolas Jussi e Massimiliano De Glaudi avverso un’ordinan a

Data Udienza: 05/04/2013

emessa dal G.i.p. del Tribunale di Verbania il 17/11/2012, respingeva il gravame
con il provvedimento indicato in epigrafe. I due ricorrenti risultavano sottoposti
alla misura cautelare della custodia in carcere in quanto gravemente indiziati dei
delitti di concorso in tentato omicidio, resistenza a p.u. e furto continuato: i
medesimi, resisi responsabili di più furti presso varie abitazioni di Trontano nella
mattinata del 14/11/2012, si erano trovati a bordo di un’autovettura “Audi A3”
cui un equipaggio dei Carabinieri aveva intimato l’alt, e – per evitare il
conseguente controllo – avevano compiuto varie manovre pericolose, urtando

un’auto civetta dei militari. In quest’ultima occasione, avevano cagionato lesioni
personali a due marescialli dell’Arma, occupanti della vettura predetta.
Il Tribunale dava atto che:
in prossimità della “Audi”, a terra dal lato passeggero, era stato rinvenuto
un marsupio contenente numerosi oggetti in oro, dei guanti ed un
cacciavite;
all’interno dell’abitacolo vi era altra refurtiva, nonché due scanner idonei a
sintonizzarsi sulle frequenze delle forze dell’ordine, targhe false ed oggetti
da scasso;
i proprietari dei beni rinvenuti erano stati effettivamente identificati, e
risultavano aver subito furti poco prima, con l’effrazione di alcune
finestre;
– gli indagati avevano ammesso di aver commesso i furti in questione, e di
essersi recati in quella località da Torino proprio a quel fine;
gli stessi ricorrenti avevano escluso di aver voluto opporsi all’intervento
dei Carabinieri o provocare lesioni a chicchessia, sostenendo di essersi
visti prima puntare contro una pistola da un uomo sceso da un’auto priva
di insegne di istituto, poi di non avere determinato collisioni fra la “Audi”
e la vettura su cui si trovavano i marescialli rimasti feriti, avendo anzi il
De Glaudi – conducente della suddetta “Audi” – scartato in direzione di
un masso proprio per scongiurare l’impatto;
– la “Punto” dei militari, che secondo la versione degli indagati procedeva in
direzione opposta alla loro, contromano ed a forte velocità, era stata
rinvenuta con la prima marcia innestata, mentre la “Audi” aveva la
seconda ingranata.
Il collegio reputava pertanto che – ferma restando la certa riferibilità al De
Glaudi ed allo Jussi dei furti sopra ricordati – ai due uomini dovessero parimenti
ascriversi gli addebiti ulteriori, pur essendo conforme a giustizia derubricare la
contestazione di tentato omicidio in quella di lesioni personali. Secondo il
Tribunale torinese, in particolare, alla luce dei rilievi compiuti dalla Polizia

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una legnaia con il rischio di investire due anziani e poi speronando frontalmente

Stradale e della documentazione fotografica, doveva ritenersi che la “Punto”
fosse stata arrestata lungo la carreggiata in posizione obliqua, per impedire il
passaggio dell’auto dei fuggitivi (come peraltro attestato nella relazione di
servizio dei sottufficiali), che non di meno avevano cercato di introdursi in un
piccolo varco lasciato aperto fra la medesima “Punto” ed il ciglio della strada,
senza riuscire a transitare comunque, spingendo indietro l’altra vettura, a causa
della presenza di una roccia sullo stesso margine della sede stradale.
In punto di esigenze cautelari, i giudici del riesame evidenziavano la chiara

l’attrezzatura utilizzata, con tanto di targhe false e scannar: entrambi erano
peraltro gravati da recidiva specifica anche per addebiti molto recenti e, a
dispetto della dedotta indigenza, utilizzavano un’auto di notevole valore (dove
avevano ricavato alloggiamenti “mascherati” per occultare refurtiva ed
utensileria) ed erano stati in grado di distribuire “a pioggia” offerte di
risarcimento dei danni provocati ai derubati, ai Carabinieri investiti e perfino ai
proprietari della legnaia.

2. Propongono ricorso i difensori dei due indagati, lamentando
contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riguardo alla
ritenuta gravità indiziaria quanto agli addebiti sub a) e b). In proposito, il
Tribunale sarebbe incorso in un vero e proprio travisamento del fatto,
affermando con certezza che l’auto dei Carabinieri sarebbe stata ferma lungo la
carreggiata solo in base alla constatazione che aveva la prima marcia innestata
(elemento, peraltro, indicativo di un’auto comunque in movimento e non in
sosta): al contrario, l’unico testimone oculare dell’episodio – tale Aldo Capelli,
neppure menzionato nell’ordinanza impugnata – aveva dichiarato che un’auto
aveva fermato i fuggitivi venendo incontro e tentando di chiudere la strada alla
“Audi”. Lo stesso teste aveva aggiunto di essersi reso conto che quella seconda
vettura era utilizzata da Carabinieri in borghese soltanto in seguito, e che il tutto
si era svolto in pochi secondi: così confermando che non era possibile avvedersi
della qualità di pubblici ufficiali degli occupanti di detta auto e che le manovre del
conducente della “Audi” furono istintive e necessitate, senza alcun dolo di
resistenza né volontà lesiva.
Inoltre, nell’interesse dei ricorrenti viene censurata la qualificazione giuridica
indicata dal Tribunale quanto al reato di cui al capo a), laddove – a seguito delle
ricordata derubricazione – i giudici torinesi ritengono sussistere gravità indiziaria
in ordine al delitto ex artt. 61 n. 2, 582 e 583-quater cod. pen.: l’ultima delle
norme segnalate, infatti, non può comunque riguardare la fattispecie concreta.

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professionalità dei due indagati nel commettere reati contro il patrimonio, stante

3. Con memoria depositata il 19/03/2013, i difensori ribadiscono le doglianze
sopra sviluppate, allegando copia di un elaborato tecnico di parte sulla dinamica
del sinistro, secondo il quale troverebbe conferma la tesi del De Glaudi di non
aver voluto comunque cagionare l’urto e causare le lesioni subite dai due militari.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.1 Va innanzi tutto considerato che la ricostruzione concernente la dinamica
della collisione fra la vettura su cui viaggiavano gli indagati e la “Punto” dei
militari investe il merito della vicenda, come del resto emerge chiaramente dalla
stessa indicazione del vizio che connoterebbe – secondo i ricorrenti – la
motivazione del provvedimento impugnato, incorsa in un “travisamento del
fatto” ex se non censurabile in sede di giudizio di legittimità: al più, deve infatti
prendersi atto che i giudici torinesi non avrebbero tenuto in alcun conto la
deposizione del teste Capelli, e non già ravvisato in quelle dichiarazioni un
contenuto obiettivamente diverso dal reale, onde inferirne conclusioni decisive
(solo in tal caso, sarebbe stato possibile discutere di un ben più rilevante
“travisamento della prova”).
Ad ogni modo, deve osservarsi che l’ordinanza del Tribunale di Torino non è
in alcun modo affetta da contraddittorietà od illogicità più o meno manifeste: a
prescindere infatti dalla circostanza, del tutto marginale, dell’essere stata l’auto
civetta dei Carabinieri ferma sulla carreggiata od ancora in movimento, appare
radicalmente insostenibile l’assunto difensivo secondo cui i due indagati non si
sarebbero resi conto di avere a che fare con appartenenti alle forze dell’ordine.
Non a caso, i ricorrenti omettono di considerare che nella motivazione del
provvedimento impugnato si segnala come la prima vettura di servizio – dinanzi
alla quale il De Glaudi innestò repentinamente la retromarcia – avesse tanto di
lampeggiante sul tettuccio, e come il militare che gli intimò l’alt già in quella
prima fase, per quanto in borghese, brandisse una paletta di segnalazione con la
scritta “Carabinieri”. Diviene perciò assolutamente irragionevole ipotizzare che i
prevenuti, dinanzi alla palese constatazione della presenza di pubblici ufficiali
nell’esercizio delle loro funzioni, non abbiano associato il secondo veicolo – per
quanto privo di insegne, lampeggianti o quant’altro – a quello stesso controllo
che avevano cercato di eludere pochi secondi prima.
A quel punto, per escludere l’addebito di resistenza (e quello di lesioni
consumate che, riferibile agli indagati sul piano dell’elemento soggettivo almeno
in termini di dolo eventuale, ne costituisce l’immediato conseguente) sarebbe ,/

4

1. Il ricorso non può trovare accoglimento.

stato necessario rilevare non già una deviazione della “Audi” a destra od a
sinistra, ma piuttosto una manovra di arresto.
1.2 Quanto alle norme incriminatrici da contestare ai ricorrenti, per effetto
della riqualificazione del primo addebito (da tentato omicidio in lesioni personali
aggravate), la scorretta indicazione dell’art. 583-quater cod. pen. non comporta
alcuna conseguenza concreta. Per ravvisare la fattispecie ora segnalata, i
pubblici ufficiali rimasti vittime delle lesioni avrebbero dovuto trovarsi in servizio
di ordine pubblico in occasione di manifestazioni sportive, e le lesioni in
argomento avrebbero dovuto essere quanto meno gravi (mentre nel caso di
specie la prognosi più elevata risulta di 15 giorni): tuttavia, già la ritenuta
sussistenza dell’aggravante ex art. 61 n. 2 cod. pen., per effetto del doppio
richiamo di cui agli artt. 585 e 576, comma primo, n. 1) cod. pen., rende
legittima l’applicazione della misura restrittiva di maggior rigore a carico degli
indagati.

2. Il rigetto del ricorso comporta la condanna di ciascun ricorrente al
pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità.
Dal momento che dal presente provvedimento non discende la rimessione in
libertà dello lussi e del De Glaudi, dovranno curarsi gli adempimenti previsti dalla
norma indicata in dispositivo.

P. Q. M.

Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp.
att. cod. proc. pen.

Così deciso il 05/04/2013.

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