Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29188 del 15/02/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 29188 Anno 2016
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: AMATORE ROBERTO

SENTENZA
sul ricorso proposto da :
AVINO SALVATORE, nato a NAPOLI, il 3.11.1950 ;
avverso la sentenza n. 2247/2011 della Corte di Appello di Napoli del 31.10.2014 ;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso ;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Roberto Amatore ;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Giuseppe
Corasaniti che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso ;
udito per l’imputato l’Avv. Valerio De Maio, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del
ricorso e riportandosi ai motivi proposti ;

RITENUTO IN FATTO
1.Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Napoli, in riforma della sentenza emessa in
data 17.6.2009 dal Tribunale di Napoli, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti del
predetto imputato per il reato di cui agli artt. 582 e 583 cod. pen. per intervenuta prescrizione,
confermando nel resto le statuizioni civili e condannando l’imputato al pagamento delle spese
di costituzione della parte civile.
1.1 Avverso la sentenza ricorre l’imputato per mezzo del suo difensore, affidando la sua
impugnativa ad un unico motivo di doglianza variamente articolato.
1.2 II ricorso proposto nell’interesse dell’imputato deduce il difetto di motivazione in ordine
alle deduzioni sollevate con l’atto di appello. Più nel dettaglio, la parte ricorrente aveva
richiesto nell’atto di appello l’assoluzione per non aver commesso il fatto, nonché la
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Data Udienza: 15/02/2016

rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen. e il
riconoscimento dell’ipotesi semplice di cui all’art. 582 cod. pen. anziché di quella aggravata di
cui all’art. 583, comma 1 n. 2 ; rileva che aveva proposto in appello varie censure sulla
credibilità della persona offesa e sulle prove dichiarative assunte nel corso del primo giudizio e
che la Corte di Appello in modo laconico ed apodittico aveva respinto le dette censure
affermando l’esistenza di una prova in ordine alla sua penale responsabilità estraibile dalle
dichiarazioni rese dalla persona offesa e dagli altri testi escussi, così venendo meno ad un suo

all’esplicita richiesta di rinnovazione dell’istruttoria attraverso una consulenza medico legale e
di qualificazione del fatto come punibile ai sensi dell’art. 582 cod. pen. e non già ai sensi
dell’art. 583, primo comma, n.2, medesimo codice.

CONSIDERATO IN DIRITTO
2. Il ricorso è inammissibile.
2.1 Sul punto, giova ricordare che in presenza della causa estintiva della prescrizione del reato,
l’obbligo del giudice di immediata declaratoria ex art. 129 cod.proc.pen. postula che gli
elementi idonei ad escludere l’esistenza del fatto, la rilevanza penale di esso e la non
commissione del medesimo da parte dell’imputato emergano dagli atti in modo assolutamente
non contestabile, sicché la valutazione che deve essere compiuta appartiene più al concetto di
constatazione che a quello di apprezzamento. Consegue, pertanto, che nel giudizio di
cassazione, qualora la motivazione del giudizio di merito dia contezza delle ragioni poste a
fondamento dell’effettuato giudizio di responsabilità dell’imputato, non può nel contempo
emergere dagli atti, con la necessaria evidenza, una causa assolutoria nel merito ( Cass.,
Sez. 6, n. 48524 del 03/11/2003 – dep. 18/12/2003, Gencarelli, Rv. 228503).
2.2 Ciò posto, osserva la Corte come il giudice di appello abbia correttamente motivato, ai
sensi dell’art. 129, secondo comma, cod. proc. pen., in ordine alla mancanza di una “evidenza”
dagli atti di un possibile proscioglimento nel merito dell’imputato, e ciò sulla base delle riferite
emergenze probatorie discendenti dalla valutata prova dichiarativa, così come riscontrata dalla
certificazione medica acquisita.
Ne discende che in presenza di una adeguata motivazione espressa ai sensi dell’art. 129,
secondo comma, del codice di rito, ogni ulteriore doglianza avanzata dal ricorrente risulta
invero manifestamente infondata e comunque inammissibile in quanto diretta ad un ulteriore
giudizio contenutistico della valenza probatoria delle prove già scrutinate dalla Corte di merito
con motivazione adeguata e scevra da vizi logici ed argomentativi.
3. Alla inammissibilità consegue, ex art. 616 cpp, la condanna del ricorrente al versamento, in
favore della cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in euro 1000.

P.Q.M.
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k

precipuo obbligo motivatorio ; denunzia infine l’assenza di motivazione anche in ordine

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di Euro 1.000 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 15.2.2016

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