Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29178 del 15/02/2016


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 5 Num. 29178 Anno 2016
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: MICCOLI GRAZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FALIERO INES N. IL 06/02/1961
avverso la sentenza n. 3283/2009 CORTE APPELLO di ROMA, del
19/12/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/02/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GRAZIA MICCOLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 15/02/2016

Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, dott. Giuseppe CORASANITI, ha concluso
chiedendo il rigetto del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 19 dicembre 2012 la Corte d’appello di Roma ha parzialmente
riformato, concedendo le attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante e
rideterminando la pena inflitta, la sentenza del Tribunale della stessa città, con la quale Ines

dei reati di bancarotta patrimoniale e documentale.
Il fallimento della suddetta società era stato dichiarato in data 5 ottobre 2000.
2. Ha proposto ricorso per cassazione l’imputata, con atto sottoscritto dal suo difensore avv.
Mario PICA, deducendo con un unico motivo violazione di legge in relazione all’art. 192 cod.
pen. In sostanza la ricorrente lamenta l’omessa considerazione da parte dei giudici di merito
degli elementi comprovanti i crediti vantati dalla società fallita e, in particolare, quello di un
miliardo di lire verso la S.I.L. s.r.I., il cui mancato pagamento aveva provocato il dissesto della
TECNO EDILIZIA srl, in quanto quest’ultima a sua volta non aveva potuto onorare i propri
debiti verso i fornitori.
Si duole, quindi, del rigetto della richiesta di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale per
accertare quali fossero i crediti vantati dalla TECNO EDILIZIA.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.

1. Le doglianze dedotte in questa sede, infatti, finiscono per reiterare pedissequamente quelle
già proposte con uno dei motivi di appello avverso la sentenza di primo grado; e l’esame della
sentenza impugnata consente di ritenere che su di esse sia stata fornita adeguata, congrua e
logica risposta in motivazione.
Va ricordato in proposito che la funzione tipica dell’impugnazione è quella della critica
argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce, che si realizza con la presentazione di
motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 cod. proc. pen.), debbono indicare
specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta.
Il motivo di ricorso in cassazione, poi, è caratterizzato da una duplice specificità. Deve essere
senz’altro conforme all’art. 581, lett. c, cod. proc. pen. ovvero contenere l’indicazione delle
ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta presentata al giudice
dell’impugnazione; ma quando censura le ragioni che sorreggono la decisione deve, altresì,
enucleare in modo specifico il vizio denunciato, in modo che sia chiaramente sussumibile fra i
tre soli vizi previsti dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., deducendo poi, altrettanto
specificamente, le ragioni della sua decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice del
merito per giungere alla deliberazione impugnata, sì da condurre a decisione differente (Sez.
6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo ed altri, Rv. 254584). Risulta pertanto di chiara
2

FALIERO era stata riconosciuta colpevole, quale amministratrice della TECNO EDILIZIA s.r.I.,

evidenza che se il motivo di ricorso si limita – come nel caso in esame- a riprodurre il motivo
d’appello, viene meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso (la critica
argomentata al provvedimento), posto che con siffatta mera riproduzione il provvedimento
impugnato, invece di essere destinatario di specifica critica argomentata, è di fatto del tutto
ignorato (tra le tante, Sez. 5 n. 25559 del 15 giugno 2012, Pierantoni; Sez. 6 n. 22445 del 8
maggio 2009, p.m. in proc. Candita, rv 244181; Sez. 5 n. 11933 del 27 gennaio 2005,
Giagnorio, rv. 231708; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, Cariolo e altri, Rv. 260608; Sez. 6, n.
34521 del 27/06/2013, Ninivaggi, Rv. 256133).
Va ulteriormente precisato, con riferimento alle deduzioni in fatto svolte dalla ricorrente,

che a questa Corte non possono essere sottoposti giudizi di merito, non consentiti neppure alla
luce del nuovo testo dell’art. 606, lettera e), cod. proc. pen.; la modifica normativa di cui alla
legge 20 febbraio 2006 n. 46 lascia infatti inalterata la natura del controllo demandato alla
Corte di cassazione, che può essere solo di legittimità e non può estendersi ad una valutazione
di merito.
Tanto premesso, occorre rilevare che la ricorrente si è limitata a censurare la sentenza
impugnata che avrebbe ritenuto sulla base di erronea valutazione delle risultanze processuali
sussistente la sua responsabilità.
Giova, allora, ricordare che in sede di legittimità non è consentita una diversa lettura ed
interpretazione delle risultanze processuali finalizzata alla ricostruzione dei fatti. Né la Corte di
cassazione può trarre valutazioni autonome dalle prove o dalle fonti di prova, neppure se
riprodotte nel provvedimento impugnato. Solo l’argomentazione critica che si fonda sugli
elementi di prova e sulle fonti indiziarie contenuta nel provvedimento impugnato può essere
sottoposto al controllo del giudice di legittimità, al quale spetta di verificarne la rispondenza
alle regole della logica, oltre che del diritto, e all’esigenza della completezza espositiva (Sez. 6,
n. 40609/2008, Rv. 241214, Ciavarella). E neanche allorché sia denunziata in cassazione la
violazione dell’art. 192, comma terzo, cod. proc. pen., può essere delibata in sede di legittimità
una verità processuale diversa da quella risultante dalla sentenza impugnata, allorquando la
struttura razionale del discorso giustificativo della decisione abbia una chiara e puntuale
coerenza argomentativa e sia saldamente ancorata, nel rispetto delle regole della logica e delle
massime di comune esperienza e dei principi che presidiano la chiamata in correità e la sua
valutazione, alle risultanze del quadro probatorio (Sez. 1, n. 9148 del 21/06/1999, P.G.in proc.
Riina, Rv. 214014).
Orbene, va ribadito che l’esame del provvedimento impugnato consente di apprezzare come la
motivazione sia congrua ed improntata a criteri di logicità e coerenza, anche con riferimento
alla valutazione delle risultanze processuali dalle quali emerge la responsabilità dell’imputata
per i fatti di bancarotta patrimoniale e documentale.
3.

La Corte territoriale ha motivato pure adeguatamente sulla richiesta di rinnovazione

dell’istruttoria dibattimentale, ritenendola superflua alla luce di quanto già sufficientemente
accertato in primo grado con le dichiarazioni rese dal curatore.
3

2.

Si tratta di motivazione esaustiva ed esente da vizi logici e di metodo. Infatti, si è fatta
corretta applicazione dei principi affermati da questa Corte, secondo i quali il diritto alla prova
contraria garantito all’imputato con adeguata motivazione può essere denegato dal giudice solo
quando le prove richieste siano manifestamente superflue o irrilevanti; con la conseguenza che
il giudice di appello, dinanzi al quale sia dedotta la violazione dell’art. 495, comma secondo,
cod. proc. pen., deve decidere sull’ammissibilità della prova secondo i parametri rigorosi
previsti dall’art. 190 stesso codice (per il quale le prove sono ammesse a richiesta di parte),
mentre non può avvalersi dei poteri meramente discrezionali riconosciutigli dal successivo art.

primo grado (si vedano in tal senso Sez. 6, n. 48645 del 06/11/2014, G e altro, rv. 261256;
Sez. 6, n. 761 del 10/10/2006, rv. 235598; Sez. 5, n. 26885 del 09/06/2004, rv. 229883).
Sotto altro profilo e con specifico riferimento anche alla dedotta violazione dell’art. 603 cod.
proc. pen., si rileva che la Corte territoriale, con esaustiva e logica motivazione, ha rigettato la
richiesta di rinnovazione istruttoria, non ravvisando elementi di indispensabilità; va, in
proposito, richiamata la condivisibile giurisprudenza di legittimità, secondo la quale i fenomeni
di integrazione probatoria in appello rispondono ad una logica di eccezionalità, in coerenza con
la presunzione di completezza dell’accertamento probatorio che caratterizza il giudizio di primo
grado, onde la rinnovazione del giudizio in appello è istituto di carattere eccezionale, al quale
può farsi ricorso esclusivamente quando il giudice ritenga, nella sua discrezionalità, di non
poter decidere allo stato degli atti (Sez. U, n. 2780 del 24/01/1996, Panigoni ed altri, rv.
203974).
Né può trascurarsi quella giurisprudenza che afferma che il giudice d’appello ha l’obbligo di
motivare espressamente sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento solo nel caso di suo
accoglimento, mentre laddove ritenga di respingerla può anche motivarne implicitamente il
rigetto, evidenziando la sussistenza di elementi sufficienti ad affermare o negare la
responsabilità del reo. (Sez. 6, n. 11907 del 13/12/2013, Coppola, rv. 259893).
Ma, come si è detto, la Corte di Appello nel caso in esame ha motivato anche in ordine alla non
decisività della prova. Ed è del tutto evidente che si tratta di valutazioni sottratte al sindacato
di legittimità; infatti, “il rigetto dell’istanza di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in
appello si sottrae al sindacato di legittimità quando la struttura argomentativa della
motivazione della decisione di secondo grado si fonda su elementi sufficienti per una compiuta
valutazione in ordine alla responsabilità” (Sez. 6, n. 30774 del 16/07/2013, Trecca, rv.
257741; in senso conforme: n. 5782 del 2007, rv. 236064; n. 40496 del 2009, rv. 245009, n.
24294 del 2010, rv. 247872).
4. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al pagamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende che, in
ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in euro 1.000,00.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
4

603 in ordine alla valutazione di ammissibilità delle prove non sopravvenute al giudizio di

processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 15 febbraio 2016
e estensore

Il Presidente

Il consi

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA