Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29177 del 15/02/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 29177 Anno 2016
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: MICCOLI GRAZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DE BLASI MARIA CONCETTA N. IL 04/01/1968
avverso la sentenza n. 157/2013 CORTE APPELLO di LECCE, del
16/06/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 15/02/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GRAZIA MICCOLI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 15/02/2016

Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, dott. Giuseppe CORASANITI, ha concluso
chiedendo il rigetto del ricorso.
Per l’imputata, l’avv. Roberto BRAY ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 16 giugno 2014 la Corte d’appello di Lecce, ha confermato la sentenza del
Tribunale di Lecce -sezione distaccata di Tricase- con la quale Maria Concetta DE BLASI era
stata condannata per il reato di furto aggravato ex artt. 110, 624 e 625 n. 4 cod. pen., “perché

Immacolata Scarascia, contenente la somma di euro 100,00 circa e documenti ed altri oggetti
personali, approfittando della momentanea distrazione della donna, in attesa di visita medica
presso la sala accettazione dell’Ospedale di Tricase” (fatto commesso in data 13 ottobre 2009).
2. Ha proposto ricorso, con atto sottoscritto dal suo difensore, l’imputata, articolando due
motivi e deducendo violazione di legge e vizi di motivazione.
2.1. Con il primo motivo si lamenta la mancata audizione di un teste di riferimento, che
è stato indicato dalla persona offesa e da un’altra testimone, senza indicazione delle
generalità.
Si deduce altresì che la condanna dell’imputata non sarebbe basata su risultanze istruttorie
idonee a superare “ogni ragionevole dubbio”, così come richiesto dall’art. 533, comma 1, cod.
proc. pen.
2.2. Con il secondo motivo si è sostenuto che erroneamente la Corte territoriale non ha
riconosciuto l’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.

1. In primo luogo e in via generale si rileva che tutte le doglianze proposte dalla ricorrente
sono viziate da aspecificità, senza alcuna effettiva correlazione con la motivazione della
sentenza impugnata e sono reiterative delle medesime censure denunziate con l’atto di
appello.
Non si apprezzano i profili di omessa motivazione dedotti, avendo la Corte territoriale risposto
a tutte le doglianze proposte con l’atto di appello, che peraltro si caratterizzavano anch’esse
per genericità.
Va infine rilevato che i motivi proposti fanno riferimento ad elementi di merito, con la finalità di
una rivalutazione dei fatti che sfugge al sindacato di legittimità.
A questa Corte, infatti, non possono essere sottoposti giudizi di merito, non consentiti neppure
alla luce del nuovo testo dell’art. 606, lettera e), cod. proc. pen..
Come si è già detto, quanto dedotto risulta non avere alcuna effettiva considerazione degli
elementi evidenziati e degli argomenti spesi nella sentenza impugnata, che invece ha trattato
le argomentazioni difensive in maniera esaustiva ed esente da vizi logici.

2

si impossessava con destrezza, al fine di trarne profitto, del portafogli custodito nella borsa di

Né va trascurato nel caso in esame che la sentenza impugnata ha confermato quella di primo
grado, sicché vanno ricordati i principi secondo i quali, in tema di ricorso per cassazione,
quando ci si trova dinanzi a una “doppia pronuncia conforme”, l’eventuale vizio di
travisamento della prova può essere rilevato solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con
specifica deduzione) che l’argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima
volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo
grado (Sez. 4, n. 4060 del 12/12/2013, Capuzzi e altro, Rv. 258438).
2. Va giusto precisato che la Corte territoriale ha correttamente risposto alle doglianze della

principi affermati da questa Corte, secondo i quali, in tema di testimonianza indiretta, il
disposto dell’art. 195, comma settimo, cod. proc. pen., secondo il quale non può essere
utilizzata la dichiarazione di chi si rifiuta o non è in grado di indicare la persona o la fonte da
cui ha appreso la notizia dei fatti oggetto dell’esame, deve essere interpretata nel senso che
l’inutilizzabilità si ricollega solo alla volontà, diretta o indiretta, della fonte primaria di non
consentire la verifica di quella secondaria. Ne consegue che il predetto divieto non opera
allorché il soggetto dichiarante abbia precisamente indicato la sua fonte immediata e
quest’ultima non possa essere oggetto di ulteriore verifica perché non identificabile o per altra
causa non sottoponibile all’esame (si veda Sez. 6, n. 1085 del 15/10/2008, Baratta e altri, Rv.
243186).
Si è detto, inoltre, che il divieto posto dal comma settimo dell’art. 195 cod. proc. pen. non
opera in maniera automatica ogni qualvolta il testimone non è in grado di fornire elementi
idonei ad una univoca ed immediata identificazione della fonte delle informazioni da lui riferite,
ma solo quando, per effetto di tale omessa identificazione, non sia possibile discutere, sulla
base di dati certi e non seriamente controvertibili, dell’esistenza e attendibilità di tale fonte
(Sez. 2, n. 13927 del 04/03/2015, Amaddio e altri, Rv. 264015)
Peraltro, nel caso di specie non risulta che la difesa della ricorrente abbia tempestivamente
chiesto l’esame del teste di riferimento, previa sua identificazione.
3. Correttamente i giudici di merito hanno escluso l’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen.
All’interno del portafogli v’era, oltre che delle monete e delle banconote per il valore modesto
di circa 10 euro, anche una carta del tipo bancomat, con un foglietto riportante il codice pin.
Questa Corte ha avuto modo di affermare che il danno patrimoniale derivante da furto, rapina
o ricettazione di carte di credito in considerazione del valore strumentale di queste, che
consentono al titolare di effettuare molteplici atti di acquisto a pagamento differito, non deve
essere rapportato al semplice valore venale del documento e non può, pertanto, essere
ritenuto modesto (sez. II, 26 aprile 1996, Di Mauro) (Sez. 2, n. 4320 del 10/10/1995, Di
Mauro, Rv. 204759).
Peraltro può configurarsi l’attenuante del danno di speciale tenuità nel caso di furto di tessera
bancomat solo se il ladro non ne conosca il codice e non possa usarla (Sez. 5, n. 25870 del
08/06/2006, Kadour, Rv. 234527).
3

ricorrente sulla mancata audizione del teste di riferimento mai identificato, richiamando i

E’ del tutto evidente, allora, che nel caso di specie, avuto riguardo alla circostanza che nel
portafogli ci fosse pure il codice Pin per poter utilizzare la tessera bancomat, non possa
configurarsi l’attenuante invocata dalla difesa.
4. All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al pagamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende che, in
ragione delle questioni dedotte, si stima equo determinare in euro 1.000,00.
P.Q.M.

processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 15 febbraio 2016
Il consigliere estensore

Il Presidente

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese

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