Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29173 del 16/04/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 29173 Anno 2013
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: IASILLO ADRIANO

SENTENZA
Sul ricorso proposto dal Procuratore Generale della Repubblica presso la
Corte di appello di L’Aquila, avverso la sentenza del G.U.P. del Tribunale di
Avezzano emessa, in data 14/03/2012, nei confronti dell’imputato Marchiorri
Stefano (n. il 24/04/1975).
Sentita la relazione della causa fatta dal Consigliere Adriano ‘asili°.
Letta la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, dottor Vito
D’Ambrosio, il quale ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
Osserva:

Data Udienza: 16/04/2013

Con sentenza — ex articolo 444 del c.p.p. – del 14/03/2012, il G.U.P. del
Tribunale di Avezzano applicò a Marchiorri Stefano la pena, concordata tra le
parti, di anni 1 e mesi 8 di reclusione ed € 3.000,00 di multa per i reati di
usura, tentata estorsione e incendio.
Avverso la predetta sentenza ricorre il Procuratore Generale della
Repubblica presso la Corte di appello di L’Aquila eccependo l’erronea
perché l’imputato è incensurato in violazione di quanto previsto dal terzo
comma dell’art. 62 bis c.p. (modificato in data precedente alla commissione
dei reati di cui ci occupiamo con L. 24.07.2008 n.125). Conclude quindi per
l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, con l’adozione dei
provvedimenti conseguenti.
motivi della decisione

Il ricorso è manifestamente infondato. Infatti, si deve rilevare che il
G.U.P. ha concesso le attenuanti generiche non solo perché l’imputato è
incensurato, ma tenendo — soprattutto – conto del corretto comportamento
processuale del Marchiorri culminato con il risarcimento del danno. In
proposito questa Suprema Corte ha affermato che tra gli elementi positivi
valutabili ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche
rientrano la confessione spontanea, il corretto comportamento processuale e
la collaborazione prestata alle indagini (Sez. 5, Sentenza n. 33690 del
14/05/2009 Ud. – dep. 02/09/2009 – Rv. 244912). Non si deve, poi,
dimenticare che in tema di patteggiamento la motivazione può essere
ritenuta adeguata — come nel caso di specie — seppur succinta. Questa
Suprema Corte ha, invero, più volte affermato che la richiesta di applicazione
di pena patteggiata costituisce un negozio giuridico processuale recettizio
che, pervenuto a conoscenza dell’altra parte, non può essere modificato
unilateralmente nè revocato, e, una volta che il giudice abbia ratificato
l’accordo, non è più consentito alle parti – e, quindi, anche al Pubblico
Ministero – prospettare questioni e sollevare censure con riferimento alla
sussistenza e alla giuridica qualificazione del fatto, alla sua soggettiva
attribuzione, all’applicazione e comparazione delle circostanze, all’entità e

applicazione di legge, essendo state riconosciute le attenuanti generiche solo

t.

modalità di applicazione della pena. In tale ambito, l’obbligo di motivazione
deve ritenersi assolto con la semplice affermazione dell’effettuata verifica e
positiva valutazione dei termini dell’accordo intervenuto fra le parti
(fattispecie in cui è stata dichiarata l’inammissibilità del ricorso per
cassazione del P.M. per manifesta infondatezza, essendosi lamentata
l’insufficienza della motivazione, ritenuta, invece, sussistente, con riferimento
alla qualificazione giuridica del fatto, alla concessione delle attenuanti

generiche e alla determinazione dell’entità della pena; Sez. 6, Sentenza n.
3429 del 03/11/1998 Cc. – dep. 11/12/1998 – Rv. 212679; si veda anche Sez.
4, Sentenza n. 38070 del 11/07/2012 Ud. – dep. 01/10/2012 – Rv. 254371).
Inoltre, in tema di patteggiamento, tutte le statuizioni non illegittime,
concordate dalle parti e recepite in sentenza, in quanto manifestazione di un
generale potere dispositivo che la legge riconosce alle parti e che il giudice
ratifica, non possono essere dalle stesse parti rimesse in discussione con il
ricorso per cassazione. Ne consegue che, qualora il Pubblico Ministero abbia
prestato il proprio consenso all’applicazione di un determinato trattamento
sanzionatorio, non può poi dolersi della successiva ratifica del patto da parte
del giudice, neppure sotto il profilo del difetto di motivazione, in quanto ha
implicitamente esonerato quest’ultimo dell’obbligo di rendere conto dei punti
non controversi della decisione (nella fattispecie la Corte ha dichiarato
inammissibile il ricorso del Procuratore Generale fondato sul vizio di
motivazione in considerazione dei numerosi precedenti penali dell’imputato;
Sez. 4, Sentenza n. 38286 del 08/07/2002 Cc. – dep. 15/11/2002 – Rv.
222959). Infine, in materia di patteggiamento, qualora il Pubblico Ministero
abbia prestato il proprio consenso all’applicazione di un determinato
trattamento sanzionatorio, l’impugnazione della sentenza, che tale accordo
abbia recepito, è consentita solo qualora esso si configuri come illegale.
Peraltro, per qualificare illegale la pena non basta eccepire che il giudice non
abbia correttamente esplicato i criteri valutativi che lo hanno indotto ad
applicare la pena richiesta, ma occorre che il risultato finale del calcolo non
risulti conforme a legge (nella fattispecie la Corte ha ritenuto che il
riconoscimento da parte del giudice dell’attenuante dell’art. 73, comma
quinto, L. 309/90, in presenza di accordo fra le parti, benché non risultino
specificazioni sui motivi della concessione dell’attenuante, nè in ordine al
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giudizio di equivalenza o di prevalenza, non poteva esser sottoposto al vaglio
della Corte di cassazione, non risultando il computo materiale della pena
inferiore al minimo edittale; Sez. 6, Sentenza n. 18385 del 19/02/2004 Cc. dep. 21/04/2004 – Rv. 228047; si veda anche Sez. 6, Sentenza n. 37949 del
28/03/2007 Cc. – dep. 15/10/2007 – Rv. 238087).
Da tutto quanto sopra rilevato emerge, pertanto, che una volta che
applicazione della pena, non è consentito censurare il provvedimento per
mancanza di motivazione su una pena concordata nella misura di fatto – poi irrogata. In caso contrario, verrebbe ad essere frustrata la finalità tipica del
patteggiamento, che è quella di favorire la speditezza dei processi limitando
la possibilità di impugnare ai soli casi di palese violazione di legge.
Uniformandosi a tali orientamenti, che il Collegio condivide, va
dichiarata inammissibile l’impugnazione del Procuratore Generale.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.

Così deliberato in camera di consiglio, il 16/04/2013.

Il Consigliere estensore
Dottor Adriano lasillo

Il Presidente
Dottor FranFiandanese

l’accordo tra le parti sia stato ratificato dal Giudice con la sentenza di

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