Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29172 del 12/04/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 29172 Anno 2013
Presidente: MACCHIA ALBERTO
Relatore: BELTRANI SERGIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PACE MICHAEL N. IL 05/09/1990
avverso l’ordinanza n. 1469/2012 TRIB. LIBERTA’ di CATANZARO,
del 06/12/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SERGIO BELTRANI;
sentite le conclusioni del PG Dott. S Q. (3:
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Data Udienza: 12/04/2013

RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Catanzaro, in funzione di giudice del riesame, con l’ordinanza
indicata in epigrafe ha confermato quella con la quale il locale GIP distrettuale, in
data 21 novembre 2012, aveva applicato la misura cautelare della custodia in carcere
– tra gli altri – a MICHAEL PACE, indagato e gravemente indiziato dei reati di cui agli
artt. 61 n. 2, 81 cpv., 110, 112 n. 1, (56) 575 – 577 n. 3, ricettazione, porto e
detenzione di armi con matricole abrase, aggravati ex art. 7 I. n. 203 del 1991 (capi

Il Tribunale del riesame (f. 2 ss.) ha valorizzato, ad integrare il necessario quadro
indiziarlo grave, una serie di provvedimenti giudiziari definitivi (dai quali ha desunto,
in generale, l’esistenza, la storia e le principali attività delle associazioni malavitose
protagoniste del cruento conflitto armato avente la finalità di ottenere la definitiva
supremazia sul territorio di riferimento, nel cui ambito si inseriscono le odierne
vicende), le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, nonché in particolare, a
carico di MICHAEL PACE (f. 10 ss., ed in particolare f. 25 ss., dell’ordinanza
impugnata):

gli esiti di una serie di intercettazioni di conversazioni, dalle quali

emerge il coinvolgimento del PACE nella vicenda omicidiaria, nonché le dichiarazioni
dello stesso GIUSEPPE VONA, vittima designata: l’indagato MICHAEL PACE teneva al
corrente il commando incaricato della missione omicida sugli spostamenti della
vittima, per favorire la proficuità dell’agguato; al PACE sono stata anche sequestrate
armi custodite per conto di un sodalizio criminale.
2. Avverso il provvedimento indicato in epigrafe, ha proposto ricorso l’indagato,
_ con l’ausilio del difensore, avv. Mario Saporito, deducendo i motivi di seguito
enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art.
173, comma 1, disp. att. c.p.p.:
I – violazione degli artt. 273 e 192 c.p.p. nonché 3, 27 e 111 della Costituzione ,
con mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla
ritenuta gravità indiziaria (lamentando che il tribunale del riesame si sia ampiamente
rifatto alla motivazione della OCC impositiva della misura, che sia stato valorizzato
un solo indizio a proprio carico, che siano state valorizzate dichiarazioni inattendibili e
non adeguatamente valutate del VONA, che sia stata omessa la valutazione sul
movente omicidiario, che non siano state considerate le dichiarazioni rese dal PACE
in sede di interrogatorio di garanzia);

A.E.F.).

- violazione dell’art. 649 c.p.p. (lamentando di essere già stato sottoposto a
cautela nell’ambito di diverso procedimento in ordine ai reati di cui ai capi E) ed F).
Ha concluso chiedendo l’annullamento dell’ordinanza impugnata con i
provvedimenti consequenziali.
3. All’odierna udienza camerale, le parti presenti hanno concluso come da

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile per genericità (non confrontandosi apprezzabilmente

con le argomentazioni in virtù delle quali il provvedimento impugnato ha confutato le
avverse prospettazioni) e comunque perché manifestamente infondato.
l. è anzitutto necessario chiarire, sia pur in sintesi, i limiti di sindacabilità da

parte di questa Corte Suprema dei provvedimenti adottati dal giudice del riesame dei
provvedimenti sulla libertà personale.
Secondo l’orientamento di questa Corte Suprema, che il Collegio condivide e
reputa attuale anche all’esito delle modifiche normative che hanno interessato l’art.
606 c.p.p. (cui l’art. 311 c.p.p. implicitamente rinvia), in tema di misure cautelari
personali, allorché sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione
del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei
gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta il compito di verificare, in
-; relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso
ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che
l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato,
controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli
elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano
l’apprezzamento delle risultanze probatorie. Si è anche precisato che la richiesta di
riesame, mezzo di impugnazione, sia pure atipico, ha la specifica funzione di
sottoporre a controllo la validità dell’ordinanza cautelare con riguardo ai requisiti
formali indicati nell’art. 292 c.p.p., ed ai presupposti ai quali è subordinata la
legittimità del provvedimento coercitivo: ciò premesso, si è evidenziato che la
motivazione della decisione del Tribunale del riesame, dal punto di vista strutturale,
deve essere conformata al modello delineato dal citato articolo, ispirato al modul

epigrafe, ed il collegio ha deciso come da dispositivo in atti.

cui all’art. 546 c.p.p., con gli adattamenti resi necessari dal particolare contenuto
della pronuncia cautelare, non fondata su prove, ma su indizi e tendente
all’accertamento non della responsabilità, bensì di una qualificata probabilità di
colpevolezza (Sez. un., n. 11 del 22 marzo 2000, Audino, rv. 215828; conforme,
dopo la novella dell’art. 606 c.p.p., sez. IV, n. 22500 del 3 maggio 2007, Terranova,
rv. 237012).

cautelari personali, che il ricorso per cessazione è ammissibile soltanto se denuncia la
violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della
motivazione del provvedimento secondo i canoni della logica ed i principi di diritto,
ma non anche quando propone censure che riguardino la ricostruzione dei fatti
ovvero si risolvano in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice
di merito (sez. V, n. 46124 dell’8 ottobre 2008, Pagliaro, rv. 241997; sez. VI, n.
11194 dell’8 marzo 2012, Lupo, rv. 252178).
L’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza (art. 273 c.p.p.) e delle esigenze
cautelari (art. 274 c.p.p.) è, quindi, rilevabile in cessazione soltanto se si traduce
nella violazione di specifiche norme di legge o nella manifesta illogicità della
motivazione secondo la logica ed i principi di diritto, rimanendo “all’interno” del
provvedimento impugnato; il controllo di legittimità non può, infatti, riguardare la
ricostruzione dei fatti e sono inammissibili le censure che, pur formalmente
investendo la motivazione, si risolvono nella prospettazione di una diversa
valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito, dovendosi in sede di
legittimità accertare unicamente se gli elementi di fatto sono corrispondenti alla
previsione della norma incriminatrice.
1.1.

Alla luce di queste necessarie premesse andrà esaminato l’odierno

ricorso.
2. I motivi del ricorso possono essere esaminati congiuntamente, e sono
inammissibili per genericità o comunque per manifesta infondatezza.
2.1. Il Tribunale del riesame – con motivazione esauriente, logica, non
contraddittoria, come tale esente da vizi rilevabili in questa sede, oltre che in difetto
delle ipotizzate violazioni di legge – ha, infatti, valorizzato, ad integrazione de
necessario quadro di gravità indiziaria legittimante l’emissione della impugnat

Si è, più recentemente, osservato, sempre in tema di impugnazione delle misure

misura coercitiva quanto ai gravi indizi dei reati contestati, una serie di conversazioni
correttamente e ragionevolmente interpretate, anche alla luce di dichiarazioni motivatamente ritenute attendibili – di GIUSEPPE VONA (riuscito a sfuggire
all’agguato, contrariamente al fratello VALENTINO, per la cui morte il PACE,
nonostante gli apparenti rapporti amicali, non si recò a dare le condoglianze), dalle
quali è stata nel complesso desunta la configurabilità dei reati ipotizzati nei loro
elementi costitutivi; il ricorrente non ha mosso contestazioni per quanto riguarda la
A fronte di tali rilievi, prive di contrario valore assorbente sono state ritenute le
dichiarazioni rese dall’indagato in sede di interrogatorio di garanzia.
Le doglianze del ricorrente si risolvono, al contrario, nella prospettazione di una
diversa valutazione delle conversazioni esaminate dal giudice di merito (senza
peraltro adeguatamente documentare eventuali travisamenti), inammissibile in
questa sede, dove occorre unicamente accertare se gli elementi di fatto valorizzati
dai giudici del merito siano corrispondenti alla previsione della norma incriminatrice
che si assume violata.
L’interpretazione del linguaggio e del contenuto delle conversazioni intercettate
costituisce, infatti, questione di fatto, rimessa alla valutazione del giudice di merito,
che si sottrae al sindacato di legittimità se (come nel caso di specie) motivata in
conformità ai criteri della logica e delle massime di esperienza (per tutte, Sez. VI, n.
11794 dell’il febbraio 2013, Melfi, rv. 254439).
3. Il motivo di ricorso relativo alla carenza di precisione, gravità e concordanza

degli elementi indiziari valorizzati è inammissibile per genericità e comunque per
– manifesta infondatezza.
3.1. Il collegio è consapevole del fatto che, con riguardo alla determinazione dei

parametri che devono orientare l’interprete nella valutazione dei gravi indizi di
colpevolezza richiesti dall’art. 273 c.p.p. ai fini dell’emissione di ordinanze che
dispongono misure coercitive, la giurisprudenza di questa Corte Suprema è divisa:
a) l’orientamento per così dire “tradizionale” (per tutte, sez. IV, n. 37878 del 6
luglio 2007, Cuccaro ed altri, rv. 237475; sez. V, n. 36079 del 5 giugno 2012,
Fracassi ed altri, rv. 253511) riteneva che, ai fini dell’applicazione delle misure
cautelari, anche dopo le modifiche introdotte dalla legge n. 63 del 2001, dev
ritenersi sufficiente il requisito della sola gravità degli indizi, posto che l’art. 2

ritenuta circostanza aggravante di cui all’art. 7 I. n. 203 del 1991.

comma 1-bis, c.p.p. (introdotto dalla legge citata) richiama espressamente il terzo ed
il quarto comma dell’art. 192, ma non anche il secondo comma (che prescrive la
valutazione della precisione e della concordanza, accanto alla gravità, degli indizi):
ne consegue che, in sede di giudizio de libertate, la valutazione degli indizi non va
operata secondo i parametri richiesti ai fini dell’affermazione di responsabilità all’esito
del giudizio di cognizione;
P.M. in proc. Tritella, rv. 253723) ha, in senso contrario, ritenuto che, ai fini
dell’applicabilità di misure cautelari personali per valutare la sussistenza dei gravi
indizi di colpevolezza, in caso di presenza di “prove” indirette, è necessario utilizzare
anche il canone posto dall’art. 192, comma 2, c.p.p., laddove prevede che gli indizi
devono essere plurimi, precisi e concordanti; ne consegue che, in assenza della
pluralità e concordanza degli indizi, la discrezionalità valutativa del giudice non può
esercitarsi in quanto difetta della certezza del fatto da cui trarre il convincimento. (In
motivazione, si è precisato che il mancato richiamo del comma secondo del citato art.
192 non rileva a fini interpretativi, in quanto il codice di rito, nell’esigere l’esistenza
di «gravi indizi di colpevolezza» ai fini dell’adozione di una misura cautelare, non
può che richiamare tale disposizione che, oltre a codificare una regola di
inutilizzabilità, costituisce un canone di prudenza nella valutazione della probabilità di
colpevolezza necessaria per esercitare il potere cautelare).
Ritiene, tuttavia, il collegio di dover ribadire l’orientamento tradizionale, per
l’ineludibilità del richiamo, da parte dell’art. 273, comma 2, c.p.p., dei soli commi
terzo e quarto dell’art. 192 c.p.p., in ossequio al consolidato canone di
interpretazione ubi lex voluit dixit, ubi noluit tacuit,
I «gravi indizi di colpevolezza>> richiesti dall’art. 273 c.p.p. non corrispondono
agli «indizi» che l’art. 192, comma 2, c.p.p. considera quali possibili elementi di
prova, idonei a fondare, all’esito del giudizio di cognizione, un giudizio finale di
colpevolezza soltanto se connotati da particolari caratteristiche (gravità, precisione e
concordanza).
Al contrario, ai fini dell’emissione di una misura cautelare, deve ritenersi
sufficiente «qualunque elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di
qualificata probabilità sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati
addebitatigli» (sez. II, n. 20104 dell’il febbraio 2003, Panaro, non massimata su
punto); ciò vale anche dopo le modifiche introdotte dalla L. n. 63 del 2001, all’

b) una isolata, ma più recente, decisione (sez. IV, n. 40061 del 21 giugno 2012,

delle quali, nell’ambito del subprocedimento cautelare è tuttora necessario il solo
requisito della gravità, poiché l’art. 273, comma 1, c.p.p. (introdotto dalla citata
legge) richiama espressamente i soli commi 3 e 4 dell’art. 192 c.p.p., non anche il
comma 2.
Il diverso regime trova evidente giustificazione nella diversità dell’oggetto della
delibazione cautelare, preordinata a un giudizio prognostico in termini di ragionevole
invece all’acquisizione della certezza processuale in ordine alla colpevolezza
dell’imputato (argomenta da Sez. un., n. 36267 del 30 maggio 2006, P.G. in proc.
Spennato, rv. 234598).
Deve, pertanto, essere ribadito il seguente principio di diritto:
«Ai fini dell’adozione di una misura cautelare personale è sufficiente qualunque

elemento probatorio idoneo a fondare un giudizio di qualificata probabilità sulla
responsabilità dell’indagato in ordine ai reati addebitatigli, perché i necessari “gravi
indizi di colpevolezza” non corrispondono agli “indizi” intesi quale elemento di prova
idoneo a fondare un motivato giudizio finale di colpevolezza, e non devono, pertanto,
essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti per il giudizio di merito dall’art. 192,
comma 2, c.p.p., non richiamato dall’art. 273, comma 1-bis, cp.p.».
3.2. Peraltro, pur se la questione di diritto sollevata dal ricorrente risulta in

astratto non manifestamente infondata, in presenza di contrapposti orientamenti
giurisprudenziali, nondimeno il ricorso risulta inammissibile per assoluta genericità, e
comunque per manifesta infondatezza, quanto alle presunte conseguenze che
dovrebbero trarsi dall’accoglimento della tesi difensiva: il tema della necessaria
gravità, precisione, concordanza degli indizi valorizzabili è, in concreto, meramente
enunciato, ma la quaestio iuris non è accompagnata da una adeguata e completa
disamina degli elementi dettagliatamente valorizzati in motivazione dal Tribunale del
riesame nel provvedimento impugnato, imprescindibile onde trarre le ipotizzate
conseguenze dall’eventuale accoglimento del proprio assunto (che si è, peraltro, già
visto essere comunque non accoglibile).
Invero, lo stesso ricorrente ammette che a suo carico di fatto non milita un sol
indizio, ma gli elementi tratti dalle intercettazioni valorizzate dal Tribuna
riesame é le dichiarazioni del VONA.

e alta probabilità di colpevolezza del chiamato, rispetto a quella di merito, orientata

3.2. Assolutamente infondate risultano le ulteriori censure, essendo fisiologico

che, in presenza di una doppia conforme valutazione delle medesime risultanze, le
argomentazioni del primo giudice siano condivise dal giudice del riesame; quanto alla
lamentata inattendibilità delle dichiarazioni del VONA, alla motivata valutazione di
attendibilità fattane del Tribunale del riesame si accompagna la genericità delle
censure mosse dal ricorrente avverso l’attendibilità di esse (peraltro non allegate al
ricorso); non necessaria – tenuto anche conto della fase in cui versa il procedimento
malavitoso, adeguatamente lumeggiato dal provvedimento impugnato, nel quale la
vicenda si inserisce.
4. Assolutamente infondato è Il secondo motivo: a prescindere dal rilievo che
appare fuorviante invocare la disciplina di cui all’ad 649 c.p.p in relazione alla
asseritamente intervenuta emissione di due ordinanze coercitive in ordine agli stessi
reati – capi E) ed F) -, è evidente che il verificarsi di una siffatta situazione
processuale (che peraltro il ricorrente non documenta adeguatamente)
comporterebbe al più l’applicazione della disciplina dettata dall’art. 297 c.p.p., ovvero
la retrodatazione del dies a quo del termine di custodia cautelare, non certo
l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
Analoghi rilievi, con i quali il ricorrente ha ritenuto di non confrontarsi, sono stati
posti dal provvedimento impugnato a fondamento del rigetto della eccezione.
5. La declaratoria di inammissibilità totale del ricorso comporta, ai sensi dell’art.
, 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché
; – apparendo evidente che egli ha proposto il ricorso determinando le cause di
inammissibilità per colpa (Corte cost., 13 giugno 2000 n. 186) e tenuto conto della
rilevante entità di detta colpa – della somma di Euro mille in favore della Cassa delle
Ammende a titolo di sanzione pecuniaria.
5.1. La cancelleria provvederà agli adempimenti previsti dall’art. 94 disp. att.

c.p.p.

– è la prova del movente omicidiario, peraltro desumibile dal più ampio contesto

P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro mille in favore della Cassa delle ammende. Si
provveda a norma dell’art. 94 disp. att. c.p.p.

Così deciso in Roma, udienza 12 aprile 2013.

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