Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29171 del 04/02/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 29171 Anno 2016
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: FIDANZIA ANDREA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PECORARO GIUSEPPE N. IL 20/02/1948
avverso la sentenza n. 249/2014 CORTE APPELLO di PALERMO, del
24/04/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/02/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANDREA FIDANZIA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 04/02/2016

Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, dott. Enrico Delehaye, ha concluso
chiedendo il rigetto del ricorso. L’avv. Giuseppe Torre per il ricorrente ha chiesto
l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa in data 7 maggio 2015 la Corte d’Appello di Palermo, in parziale
riforma della sentenza di primo grado, condannava Pecoraro Giuseppe alla pena di anni
quattro di reclusione per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale e documentale,

dichiarata fallita il 29 aprile 2005, distratto la somma complessiva somma di C 783.737,36,
prelevata senza titolo dalle casse sociali nonché un escavatore e per aver tenuto le scritture
contabili in modo da non consentire la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli
affari.
2. Con atto sottoscritto dal suo difensore ha proposto ricorso per cassazione l’imputato
affidandolo a due motivi.
2.1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione di legge fallimentare in relazione
all’art. 216 comma 1 n. 1 .
Lamenta il ricorrente che la Corte d’Appello ha ritenuto provata l’ipotesi d’accusa
distrattiva senza aver accertato la disponibilità da parte della Icelte della somma di C
783.737,36 prima del suo fallimento. I giudici di merito, nonostante le richieste istruttorie
sollecitate dalla difesa, hanno omesso di esaminare nei conti correnti societari i flussi in
entrata ed in uscita nei conti della società fallita, ritenendo raggiunta la prova della distrazione
della somma suddetta con i bilanci della società e con le dichiarazioni del curatore
fallimentare.
2.2. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione di legge in relazione all’art. 216
comma 1 n. 2 L.F.
Lamenta il ricorrente che il perito dott. Caffarelli, nel riscontrare delle irregolarità
sostanziali in alcune voci dell’attivo patrimoniale, non aveva analizzato le fatture, la causale
delle stesse, il contratto in base al quale erano state emesse, gli atti del fascicolo fallimentare,
giungendo quindi ad un convincimento che non aveva riscontro documentale.
Le fatture in commento emesse nel 2002 si riferivano a lavori per cui vi erano state delle
contestazioni dalle connmittenze e che non erano stati pagati.
2.3. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 216 comma 1 n. 1 L.F.
nonchè dell’art. 192 c.p.p., oltre alla illogicità della motivazione.
Lamenta il ricorrente che l’escavatore cingolato non era stato distratto, essendo stato
riportato alla Escanna s.r.l. che aveva venduto un bene difettato, né la prova che l’escavatore
fosse in possesso del fallito prima del fallimento era evincibile dalla dichiarazione del
21.9.2006 acquisita agli atti processuali.
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aggravati dal danno di rilevante gravità, per avere, quale amministratore della società ICELTE

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 primo motivo di ricorso è inammissibile.
Le censure mosse dal ricorrente implicano valutazioni di fatto e si risolvono nella
sollecitazione ad una valutazione del materiale probatorio diversa da quella operata dal giudice
d’appello che è preclusa in sede di legittimità, non potendosi accedere ad una diversa lettura
dei dati processuali o ad una diversa interpretazione delle prove rispetto a quanto ritenuto dal
giudice di merito, perché è estraneo al giudizio di questa Corte il controllo sulla correttezza

15/11/2007 – dep. 08/01/2008, Bulica, Rv. 238696).
In proposito, va osservato che il giudizio sulla rilevanza ed attendibilità delle fonti di
prova, costituendo un giudizio di fatto, è devoluto insindacabilmente ai giudici di merito e la
scelta che essi compiono, per giungere al proprio libero convincimento, con riguardo alla
prevalenza accordata a taluni elementi probatori, piuttosto che ad altri, ovvero alla fondatezza
od attendibilità degli assunti difensivi, quando non sia fatta con affermazioni apodittiche o
illogiche, si sottrae al controllo di legittimità della Corte Suprema (Sez. 2, n. 20806 del
05/05/2011, Tosto, Rv. 250362).
A tal proposito, l’esame del provvedimento impugnato consente di apprezzare come la
motivazione del giudice d’appello sia congrua ed improntata a criteri di logicità e coerenza.
Né può trascurarsi che la sentenza impugnata ha confermato quella di primo grado, sicché
vanno ribaditi anche i principi secondo i quali, in tema di ricorso per cassazione, quando ci si
trova dinanzi a una “doppia pronuncia conforme” e cioè a una doppia pronuncia (in primo e in
secondo grado) di eguale segno (sia di condanna, sia di assoluzione), le motivazioni delle
due sentenze di merito vanno ad integrarsi reciprocamente, saldandosi in un unico complesso
argomentativo (cfr., in motivazione, Sez. 2, n. 46273 del 15/11/2011, Battaglia, Rv. 251550).
Orbene, dalla ricostruzione dei giudici di merito, le cui conclusioni si sono in larga parte
fondate sulle risultanze della consulenza contabile e sulla deposizione del curatore fallimentare,
è emerso che il Pecoraro ha effettuato dai conti correnti sociali prelievi ingiustificati per
783.737,36 euro. Tali prelievi, registrati nella contabilità alla voce “soci c/anticipazioni”, e che
sono stati calcolati al netto delle anticipazioni del socio, non solo erano incomprensibili, tenuto
conto della grave crisi attraversata dalla Icelte s.r.I., in alcun modo in condizione di elargire
anticipazioni ai soci, ma non erano neppure legittimati da alcuna delibera sociale che avesse,
sotto il profilo formale, autorizzato l’amministratore ad eseguirli.
Peraltro, la censura svolta dal ricorrente, secondo cui i giudici di merito avrebbero omesso
di esaminare nei conti correnti societari i flussi in entrata ed in uscita, era già stata confutata
dal giudice di primo grado, il quale, facendosi altresì carico delle osservazioni del consulente
della difesa, aveva evidenziato che dalla testimonianza resa in dibattimento dal curatore
fallimentare era emerso che gli indebiti prelievi di cassa dell’amministratore non erano stati

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della motivazione in rapporto ai dati processuali (vedi motivazione Sez. 3, n. 357 del

accertati solo con l’esame approfondito delle scritture contabili ma anche dopo un’analisi
dettagliata dei conti.
Orbene, il ricorrente si è limitato a reiterare la censura già svolta nei motivi di appello
senza neppure eccepire un eventuale travisamento degli elementi di prova valorizzati dai
giudici di merito.
2. Il secondo motivo è infondato.

merito finalizzate a mettere in discussione la valutazione del materiale probatorio operata dai
giudici di merito, i quali hanno, invece, argomentato in modo convincente l’intima
compenetrazione tra le attività distrattive patrimoniali poste in essere dal ricorrente e quelle di
copertura documentale, strumentalmente dirette ad attribuire alle prime una apparente e
formale giustificazione e comunque ad impedire la ricostruzione del patrimonio e del
movimento degli affari della società.
E’ in tale contesto che, secondo tale condivisibile ricostruzione, trovavano una spiegazione
annotazioni contabili diversamente incomprensibili, e mai giustificate dall’imputato nonostante
i chiarimenti reiteratamente richiestigli, quali il valore invariato delle rimanenze dal 2002 al
2005 o appostazioni dei crediti anomale nello stato patrimoniale (es. l’indicazione della voce
“fatture da ricevere e da emettere” con riferimento ad operazioni già avvenute i cui valori sono
parimenti rimasti inalterati per un triennio).
2. Anche il terzo motivo è inammissibile, risolvendosi in una censura di merito.
Il ricorrente ha reiterato la censura già svolta in appello di non essersi appropriato
dell’escavatore. Sul punto, la Corte territoriale ha invece accertato tale distrazione con
argomentazioni non manifestamente illogiche che si fondano sulla dichiarazione del legale
rappresentante della Escama s.r.I., società che ha venduto e consegnato il macchinario alla
fallita.
Il rigetto del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma il 4 febbraio 2016

O

DIZIARIO

Con riferimento alla contestata bancarotta documentale, il ricorrente formula censure di

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