Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29170 del 04/02/2016


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 29170 Anno 2016
Presidente: BRUNO PAOLO ANTONIO
Relatore: FIDANZIA ANDREA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
AMATO SALVATORE N. IL 19/03/1955
MUSUMECI LUCIANO N. IL 08/03/1961
avverso la sentenza n. 906/2013 CORTE APPELLO di CATANIA, del
14/04/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/02/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANDREA FIDANZIA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per
r.„

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 04/02/2016

Il Procuratore Generale della Corte di Cassazione, dott. Enrico Delehaye, ha concluso
chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza emessa in data 14 aprile 2014 la Corte d’Appello di Catania, in parziale
riforma della sentenza di primo grado, condannava Amato Salvatore alla pena di anni quattro
e mesi otto di reclusione ed anni quattro di reclusione a titolo di continuazione con la
condanna di cui alla sentenza della Corte d’Appello di Catania del 5 maggio 2009 nonché
Musumeci Luciano alla pena di anni quattro di reclusione, a titolo di continuazione con la

di associazione a delinquere di stampo mafioso aggravata nonché, relativamente a Musumeci
Luciano, anche per il reato di detenzione illegale di pistola.
2. Con atto sottoscritto dal loro difensore hanno proposto separatamente ricorso per
cassazione gli imputati l’imputato affidandolo, entrambi, a due motivi.
2.1. Con il primo motivo Amato Salvatore ha dedotto la violazione di legge penale in
relazione all’art. 416 bis c.p. nonché la mancanza e manifesta illogicità della motivazione in
ordine alla sussistenza ed alla qualificazione giuridica dei fatti.
La Corte etnea avrebbe erroneamente valorizzato come autonomo riscontro probatorio gli
esiti delle intercettazioni relegando a mero riscontro le propalazioni accusatorie dei
collaboratori di giustizia, così operando uno stravolgimento nella normale procedura di
valutazione delle dichiarazioni dei pentiti. E’ quindi illogica l’affermazione secondo cui la prova
del presunto reato emergerebbe in modo evidente dalla lettura delle intercettazioni che per se
stesse nulla provano in ordine al presunto coinvolgimento dell’Amato nel reato di natura
associativa.
2.2. Con il secondo motivo Amato Salvatore ha dedotto la violazione di legge penale in
relazione all’art. 63 comma 4° e 81 comma 2° c.p. nonché la mancanza e manifesta illogicità
della motivazione in ordine alla sussistenza ed alla qualificazione giuridica dei fatti.
Il ricorrente aveva censurato la sentenza di primo grado che, postulando l’operatività
dell’art. 63 comma 4° c.p. nel calcolo della pena da infliggere, aveva applicato tanto l’aumento
per la recidiva c.d. qualificata, quanto le circostanze ad effetto speciale di cui ai commi quarto
e quinto dell’art. 416 bis c.p..
La Corte territoriale aveva omesso qualsivoglia motivazione, limitandosi a statuire che “la
rideterminazione della pena a titolo di continuazione risulta assorbente rispetto alle deduzioni
svolte nell’atto di appello con riferimento al computo degli aumenti per le aggravanti in
contestazione”, senza indicare le modalità di calcolo seguite nella determinazione dell’aumento
per la continuazione.
La Corte di merito non ha, quindi, fornito alcuna motivazione sul quantum di pena
applicato, limitandosi a motivare per relationern ad un’ordinanza del Giudice dell’esecuzione.
2.3. Con il primo motivo Musumeci Luciano ha dedotto violazione di legge in relazione agli
artt. 416 bis c.p. e 192 c.p.p..
2

condanna di cui alla sentenza della Corte d’Appello di Catania del 25 maggio 2009, per i reati

I
v

Lamenta il ricorrente che dagli atti processuali posti al vaglio dei giudici di merito non è
emerso alcun comportamento intimidatorio, di minaccia, di reato idoneo a far ritenere
sussistente la fattispecie associativa, essendo emerse dalle intercettazioni solo delle parole tra
loro sconnesse che impediscono di ritenere attuale il sodalizio criminale nonché una
partecipazione attiva del Musumeci.
Il giudizio di colpevolezza si fonda su un materiale d’intercettazione riguardante
essenzialmente i rapporti di parentela che legano l’imputato ad Amato Salvatore ed Amato
Alfio e tali legami non possono rappresentare né un elemento costitutivo né un’aggravante

Si duole, inoltre, il ricorrente che nella valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori di
giustizia, e, in particolare del requisito della attendibilità intrinseca, si è fatto esclusivo
riferimento al contenuto autoaccusatorio delle loro dichiarazioni senza valutare la personalità,
ambiente di vita, eventuali rapporti con il reo, con la conseguenza che non avendo dato la
verifica intrinseca un riscontro positivo non si sarebbe dovuto passare neppure al riscontro
estrinseco.
La sentenza impugnata non contiene alcuna valutazione della verifica della credibilità
soggettiva del dichiarante, e, segnatamente, della sua personalità, del grado di conoscenza
della materia riferita, della posizione dallo stesso precedentemente assunta all’interno
dell’organizzazione criminale delle ragioni che lo hanno indotto alla collaborazione con la
giustizia, dei suoi rapporti con le persone accusate.
2.4. Con il secondo motivo Musumeci Luciano lamenta violazione di legge in relazione alla
legislazione sulle armi ed all’art. 192 c.p.p..
Il ricorrente lamenta che per la detenzione illegale della pistola è stato già assolto dal
Tribunale di Catania con sentenza del 15 novembre 2010 per non aver commesso il fatto.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1 primi motivi di ricorso svolti da Amato Salvatore e da Musumeci Luciano
possono essere esaminati congiuntamente, in relazione alla stretta colleganza delle
questioni trattate, e sono inammissibili.
Le censure mosse dai ricorrenti implicano valutazioni di fatto e si risolvono nella
sollecitazione ad una valutazione del materiale probatorio diversa da quella operata dal
giudice d’appello che è preclusa in sede di legittimità, non potendosi accedere ad una
diversa lettura dei dati processuali o ad una diversa interpretazione delle prove rispetto a
quanto ritenuto dal giudice di merito, perché è estraneo al giudizio di questa Corte il
controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali (vedi
motivazione Sez. 3, n. 357 del 15/11/2007 – dep. 08/01/2008, Bulica, Rv. 238696).
In proposito, va osservato che il giudizio sulla rilevanza ed attendibilità delle fonti di
prova, costituendo un giudizio di fatto, è devoluto insindacabilmente ai giudici di merito e
la scelta che essi compiono, per giungere al proprio libero convincimento, con riguardo alla
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dell’associazione a delinquere, come ritenuto anche dal giudice di legittimità.

prevalenza accordata a taluni elementi probatori, piuttosto che ad altri, ovvero alla
fondatezza od attendibilità degli assunti difensivi, quando non sia fatta con affermazioni
apodittiche o illogiche, si sottrae al controllo di legittimità della Corte Suprema (Sez. 2, n.
20806 del 05/05/2011, Tosto, Rv. 250362).
A tal proposito, l’esame del provvedimento impugnato consente di apprezzare come la
motivazione del giudice d’appello sia congrua ed improntata a criteri di logicità e coerenza
Né può trascurarsi che la sentenza impugnata ha confermato quella di primo grado, sicché
vanno ribaditi anche i principi secondo i quali, in tema di ricorso per cassazione, quando ci

primo e in secondo grado) di eguale segno (sia di condanna, sia di assoluzione), le
motivazioni delle due sentenze di merito vanno ad integrarsi reciprocamente, saldandosi in
un unico complesso argomentativo (cfr., in motivazione, Sez. 2, n. 46273 del 15/11/2011,
Battaglia, Rv. 251550).
Orbene, i giudici di merito, con argomentazioni esaustive, coerenti ed immuni da vizi
logici, attraverso una puntuale e certosina interpretazione del contenuto delle
intercettazioni ambientali (vedi da pag. 12 a 22 della sentenza di primo grado e da 4 a 6
della sentenza impugnata), hanno escluso che il contenuto dei colloqui che l’Amato ha
avuto in carcere fosse inerente soltanto a dissidi e questioni familiari, emergendo in modo
inequivocabile il riferimento ad attività delittuose e al controllo territoriale nella zona del
quartiere “Ottanta Palme” da parte del gruppo mafioso che l’Amato continuava a guidare
nonostante la sua detenzione, impartendo specifiche direttive ed istruzioni al figlio Alfio
(nel corso del colloqui) ed avvalendosi dell’attività esecutiva svolta all’esterno dal suo
uomo di fiducia Musumeci Luciano, il quale non appena scarcerato dallo stesso
penitenziario in cui era detenuto l’Amato, aveva preso contatti con Santapaola Angelo, per
gestire gli interessi economici del gruppo nella zona di via della Concordia.
I giudici di merito, attraverso le suddette intercettazioni, corroborate dalle
dichiarazioni di collaboratori di giustizia, hanno ricostruito il ruolo apicale di capo e
promotore del sodalizio di Amato Salvatore nonché i compiti di fiducia e responsabilità
svolti dal Musumeci, vero e proprio suo braccio destro, accertando che l’associazione si
avvaleva di armi e munizioni per mantenere il controllo sulle attività illecite.
Né, peraltro, coglie nel segno la doglianza secondo cui la Corte etnea avrebbe
erroneamente valorizzato come autonomo riscontro probatorio gli esiti delle
intercettazioni, relegando a mero riscontro le propalazioni accusatorie dei collaboratori di
giustizia, così asseritamente operando uno stravolgimento nella normale procedura di
valutazione delle dichiarazioni dei pentiti.
A tal proposito, non vi è dubbio che i giudici di merito, alla luce della consistenza e
ricchezza del materiale probatorio emergente a carico degli imputati dal contenuto delle
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si trova dinanzi a una “doppia pronuncia conforme” e cioè a una doppia pronuncia (in

intercettazioni ambientali, già idoneo ad evidenziare l’inserimento ed i loro ruoli all’interno
del clan mafioso, abbiano utilizzato le dichiarazioni dei pentiti al solo fine di supporto di
tale quadro probatorio, adottando un metodo di interpretazione delle prove immune da
censure.
Peraltro, i giudici di merito, hanno comunque rigorosamente applicato i criteri di
valutazione delle dichiarazioni dei collaboratori elaborati dalla questa Corte,
soffermandosi, in primo luogo, sulla credibilità dei medesimi, evidenziando in proposito la

rinvenuti nel desiderio di cambiare vita e recidere i legami con i vecchi sodali (oltre
all’eigenza di godere di un trattamento sanzionatorio più mite). Hanno dunque ritenuto ,
sotto il profilo della intrinseca attendibilità, la natura circostanziata, la precisione e
coerenza di tali dichiarazioni, valorizzando, sotto l’aspetto dei riscontri estrinseci,
l’indipendenza delle medesime e la reciproca convergenza (vedi pag. da 5 a 8 della
sentenza di primo grado).
2. Il secondo motivo di Amato Salvatore è inammissibile.
Avendo la Corte territoriale rideterminato la pena (diminuendola) rispetto a quella
applicata dal giudice di primo grado ed avendo riconosciuto il vincolo di continuazione con la
sentenza del 5.5.2009 della Corte d’Appello di Catania, correttamente ha ritenuto assorbite le
censure svolte dal ricorrente nei motivi d’appello in ordine al computo degli aumenti per le
aggravanti (ad effetto speciale) in contestazione.
Né è condivisibile la censura secondo cui il giudice di secondo grado non avrebbe fornito
alcuna motivazione sul quantum di pena applicato a titolo di continuazione.
Nel valutare la particolare pericolosità sociale e proclività a delinquere dimostrate
dall’Amato, che ha mantenuto un ruolo dirigenziale nell’ambito del clan mafioso nonostante il
periodo di carcerazione, la Corte di merito, con argomentazioni esaustive ed immuni da vizi
logici, ha ritenuto equo partire da una pena base di 7 anni di reclusione, superiore rispetto alla
pena applicata in un precedente aumento per continuazione ( sei anni e mesi quattro di
reclusione) con provvedimento dell’1.12.2010, in relazione alla maggior gravità sotto il profilo
oggettivo e soggettivo dei fatti più recenti.
3. Il secondo motivo di Musumeci Luciano è inammissibile per manifesta infondatezza.
La Corte di merito ha condivisibilmente confutato la doglianza, secondo cui il ricorrente,
per la detenzione illegale della pistola, sarebbe stato già assolto dal Tribunale di Catania con
sentenza del 15 novembre 2010: a differenza dell’arma esaminata nel precedente episodio,
non funzionante, la pistola oggetto del presente procedimento era pienamente operativa,
avendo l’imputato descritto nei dialoghi intercettati anche le prove da sparo dallo stesso

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natura autoaccusatoria delle loro dichiarazioni e i motivi che il hanno spinti a collaborare,

effettuate nonchè l’elevata potenzialità offensiva, risultando così irrilevante il mancato
rinvenimento della stessa pistola.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle
spese processuali ed alla somma di C 1000,00 a favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2016

Il Presidente

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