Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2916 del 13/12/2013
Penale Sent. Sez. 5 Num. 2916 Anno 2014
Presidente: BEVERE ANTONIO
Relatore: PALLA STEFANO
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
DALL’AGNOLA PIERALBERTO N. IL 14/10/1974
avverso la sentenza n. 3375/2008 CORTE APPELLO di MILANO, del
05/04/2012
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/12/2013 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. STEFANO PALLA
Udito il Procuratore Generale in per.sopa del Dott. R. Atv1e1-t- 13
che ha concluso per
Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.
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Data Udienza: 13/12/2013
FATTO E DIRITTO
Dell’Agnola Pieralberto ricorre avverso la sentenza 5.4.12 della Corte di appello di Milano che ha
confermato quella in data 29.11.07 del locale tribunale con la quale è stato condannato, per il reato
di bancarotta fraudolenta aggravata, alla pena di anni tre e mesi sei di reclusione, oltre le pene
Mlano della A.E.S.I. s.r.1., della quale il prevenuto era stato amministratore di diritto, rimanendolo
poi di fatto nel periodo in cui la società era stata amministrata da Di Biase Vittorio, Inserra
Veronica e Scarano Stefano (persone separatamente giudicate).
Deduce il ricorrente, nel chiedere l’annullamento dell’impugnata sentenza, con il primo motivo
violazione dell’ art.606, comma 1, lett.b) ed e) c.p.p., in relazione all’art.546 lett.d) c.p.p., in quanto
era stato indicato, nella sentenza di appello, quale difensore di ufficio dell’imputato, l’Avv.
Cristiana Tovaglieri, dandosi atto che aveva concluso
dal verbale dell’udienza del 5.4.12 si evinceva che il difensore del Dall’Agnola era l’Avv. Giorgio
Chinellato, quale sostituto del difensore di fiducia Avv. Mauro Pizzicati, il quale aveva presentato
le sue conclusioni, omesse nella sentenza impugnata e diverse da quelle invece nella stessa
indicate.
Con il secondo motivo si deduce violazione dell’art.606, comma 1, lett.e) c.p.p. per avere la Corte
milanese confermato la sentenza del tribunale senza considerare che nella fase delle indagini il p.m.
aveva chiesto l’archiviazione; che ancora il p.m., in primo grado, aveva chiesto l’assoluzione
dell’imputato per non aver commesso il fatto; che il curatore fallimentare, sia in qualità di testimone
che di estensore della relazione ex art.33 1.fall., aveva riferito che i libri contabili e societari erano in
ordine fino al 1993, ovvero sino a quando il Dall’Agnola era stato socio e amministratore della
A.E.S.I. e che il commercialista De Lena, depositario fino al 1993 di tutte le scritture contabili,
aveva riferito che dopo il 1993 aveva consegnato tutta la documentazione contabile della società al
nuovo amministratore Di Biase e che fino a quella data la contabilità era in regola.
accessorie di legge, in relazione al fallimento, dichiarato con sentenza 22.5.97 del Tribunale di
La situazione economica a quella data — evidenziava ancora la difesa del ricorrente — era, riguardo
ai rapporti con le banche, nei limiti dei fidi concessi e garantiti dalle proprietà immobiliari del
Dall’Agnola e della di lui moglie, mentre al momento del fallimento l’esposizione con le banche
ammontava a 650 milioni di lire.
Non poteva quindi essere attribuita alcuna responsabilità all’imputato circa le carenze documentali e
contrariamente a quanto ritenuto dai giudici territoriali — la cessione delle quote dal Dall’Agnola al
Di Biase, nuovo amministratore, era stata reale ed effettiva, ma era mancato il pagamento, da parte
di quest’ultimo, di quanto dovuto, avendo il Di Biase rilasciato assegni scoperti in pagamento delle
quote societarie realmente cedute dal Dall’Agnola, affiancato in seguito da altri assegni, anch’essi
scoperti, del successivo amministratore, Scarano Stefano.
Tali elementi — lamenta il ricorrente — non erano stati valutati dai giudici di merito i quali avevano
anche ignorato che Di Biase prima e Scarano poi avevano avuto accesso alla movimentazione dei
conti correnti della A.E.S.I., a dimostrazione della effettiva cessione in loro favore delle quote della
società, mentre il Dall’Agnola, dopo il 10.11.93 non aveva mai operato sul piano gestionale, l’entità
del passivo essendo da attribuirsi alla coppia Di Biase-Scarano.
Con il terzo motivo si lamenta la mancata concessione delle attenuanti generiche e la mancata
esclusione dell’aggravante del danno di rilevante gravità ed infine, con il quarto motivo, si deduce
violazione di legge con riferimento alla mancata applicazione del beneficio dell’indulto.
in ordine agli ammanchi inerenti alla tenuta delle scritture contabili, dal momento che —
Osserva la Corte che il secondo motivo è fondato, con efficacia assorbente degli altri.
La Corte di appello ha ritenuto la responsabilità del Dall’Agnola per avere questi gestito, nel
periodo successivo a quello in cui era stato formalmente amministratore della A.E.S.I.,
materialmente la società, pur in presenza di altri soggetti formalmente preposti a rivestire il ruolo di
amministratore unico, tanto da riacquistare, nel gennaio del 1996, le quote dal Di Biase senza mai
cessare di interessarsi — secondo quanto ritenuto dal tribunale, alla cui motivazione i giudici di
appello hanno fatto sostanziale rinvio — della gestione della società.
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Con tale carente motivazione, i giudici di appello hanno ritenuto di dare risposta alle articolate
argomentazioni con le quali la difesa del Dall’Agnola ha sostenuto l’estraneità dell’imputato (il
quale risponde di bancarotta fraudolenta documentale) ai fatti gestionali riguardanti il periodo
successivo al 1993, indicando precisi elementi probatori al riguardo che, evidenziati anche in sede
di ricorso dinanzi a questa Corte, non sono stati valutati dalla Corte milanese.
richiamano in questa sede>, assumendo che
rilasciata al Dall’Agnola dall’amministratrice Basilico (peraltro solo pochi mesi prima della
dichiarazione di fallimento) e non risolutive le dichiarazioni del De Lena, che aveva invece
smentito l’ingerenza del Dall’Agnola, ritenendo ‘sospetti’ , così come aveva fatto il tribunale < i
comportamenti in fase di cessione, riacquisto delle quote e cambiali rilasciate a Tomassini
Serenella, senza che occorra aggiungere altro>.
Così argomentando, i giudici milanesi sono incorsi nel vizio di motivazione, ai sensi dell’art.606
lett.e) c.p.p., il quale si ha non soltanto quando vi sia un difetto grafico della stessa, ma anche
quando le argomentazioni addotte dal giudice a dimostrazione della fondatezza del suo
convincimento siano prive — come nella specie — di completezza in relazione alle specifiche
doglianze formulate dall’interessato con i motivi di appello e dotate del requisito della decisività
(cfr. Cass., sez.VI, 17 giugno 2009, n. 35918).
L’impugnata sentenza deve pertanto essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di
appello di Milano per nuovo esame.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di appello di
Milano.
Roma, 13 dicembre 2013
I giudici di appello, infatti, si sono limitati a condividere le argomentazioni del tribunale < che si