Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29149 del 23/04/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 29149 Anno 2014
Presidente: BIANCHI LUISA
Relatore: MONTAGNI ANDREA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
LALIK DAVID N. IL 03/09/1977
avverso la sentenza n. 251/2013 TRIBUNALE di ROMA, del
07/01/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;

Data Udienza: 23/04/2014

Motivi della decisione
Lalik David ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del
Tribunale di Roma in data 7.01.2013, con la quale, ai sensi dell’art. 444 cod. proc.
pen., è stata applicata la pena concordata dalle parti, in ordine al reato di furto
aggravato.
L’esponente deduce il vizio di motivazione, in ordine alla mancata

Tribunale ha omesso ogni riferimento rispetto alle condizioni ostative al
riconoscimento del beneficio.
Il ricorrente ha depositato memoria chiedendo l’assegnazione del ricorso ad
altra Sezione della Suprema Corte.
Il ricorso è inammissibile.
Giova premettere che questa Suprema Corte ha ripetutamente affermato il
principio in base al quale l’obbligo della motivazione della sentenza non può non
essere conformato alla particolare natura giuridica della sentenza di
patteggiamento: lo sviluppo delle linee argomentative è necessariamente correlato
all’esistenza dell’atto negoziale con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di
provare i fatti dedotti nell’imputazione. Ciò implica che il giudizio negativo circa la
ricorrenza di una delle ipotesi di cui al richiamato art. 129 cod. proc. pen. deve
essere accompagnato da una specifica motivazione solo nel caso in cui dagli atti o
dalle deduzioni delle parti emergano concreti elementi circa la possibile
applicazione di cause di non punibilità, dovendo invece ritenersi sufficiente, in caso
contrario, una motivazione consistente nella enunciazione, anche implicita, che è
stata compiuta la verifica richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per
la pronunzia di proscioglimento ex art. 129 (Sez. U. 27 marzo 1992, Di Benedetto;
Sez. U. 27 dicembre 1995, Serafino). Tale orientamento è stato concordemente
accolto dalla giurisprudenza successiva. Anche per ciò che riguarda gli altri tratti
significativi della decisione, che riguardano precipuamente la qualificazione
giuridica del fatto, la continuazione, l’esistenza e la comparazione delle circostanze,
la congruità della pena e la sua sospensione, la costante giurisprudenza di questa
Corte, nel solco delle enunciazioni delle Sezioni unite, ha affermato che la
motivazione può ben essere sintetica ed a struttura enunciativa, purché risulti che
il giudice abbia compiuto le pertinenti valutazioni. Né l’imputato può avere
interesse a lamentare una siffatta motivazione censurandola come insufficiente e
sollecitandone una più analitica, dal momento che la statuizione del giudice
coincide esattamente con la volontà pattizia del giudicabile.
D’altra parte, attesa la natura pattizia del rito, chi chiede la pena pattuita
rinuncia ad avvalersi della facoltà di contestare l’accusa. Ne consegue, come questa

concessione della sospensione condizionale della pena. La parte rileva che il

Suprema Corte ha più volte avuto modo di affermare, che l’imputato non può
prospettare con il ricorso per cassazione censure che coinvolgono il patto dal
medesimo accettato.
Con specifico riferimento alla concessione del beneficio della sospensione
condizionale, qualora l’efficacia della richiesta di applicazione della pena non risulti
subordinata concessione della sospensione condizionale, come nel caso di specie, la
giurisprudenza di legittimità ha poi chiarito che la sospensione condizionale della

della pattuizione intervenuta tra le parti, non potendo il beneficio essere accordato
di ufficio (Cass. Sez. 4, Sentenza n. 40950 del 21/10/2008, dep. 31/10/2008, Rv.
241371). Applicando i principi di diritto ora richiamati al caso di specie, deve allora
osservarsi che la sentenza impugnata risulta immune dalle dedotte censure. Ciò in
quanto l’imputato Lalik non ebbe altrimenti a sollecitare la concessione del
beneficio della sospensione condizionale, in riferimento alla propria posizione.
Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.500,00 a
favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di € 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, in data 23 aprile 2014.

pena può essere concessa solo quando la relativa domanda abbia formato oggetto

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