Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29146 del 12/05/2016
Penale Ord. Sez. 7 Num. 29146 Anno 2016
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: ROCCHI GIACOMO
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
KILATE MOHAMED N. IL 18/03/1952
avverso la sentenza n. 16249/2015 GIP TRIBUNALE di TORNO, del
07/12/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIACOMO ROCCHI;
Data Udienza: 12/05/2016
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza indicata in epigrafe, il G.I.P. del Tribunale di Torino, su
richiesta delle parti, applicava nei confronti di Kilate Mohamed, previa
concessione delle attenuanti generiche e ritenuti i reati riuniti per continuazione,
la pena di anni uno, mesi quattro e giorni venti di reclusione per i reati di cui agli
artt. 22, comma 12 D. L.vo 286 del 1998, 5, comma 1 lett. b) e 6, comma 4
2. Ricorre per cassazione Kilate Mohamed deducendo manifesta illogicità e
carenza della motivazione e chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato.
Nella motivazione della sentenza di patteggiamento il richiamo all’art. 129
cod. proc. pen. è sufficiente a far ritenere che il giudice abbia verificato ed
escluso la presenza di cause di proscioglimento, non occorrendo ulteriori e più
analitiche disamine al riguardo; in ogni caso la sentenza di patteggiamento può
essere oggetto di controllo di legittimità, sotto il profilo del vizio di motivazione,
solo se dal testo di essa appaia evidente la sussistenza delle cause di non
punibilità di cui all’art. 129 cod. proc. pen..
Più in generale, quanto all’onere motivazionale, il giudice del
patteggiamento deve, nei limiti di una motivazione semplificata della sentenza,
indicare le ragioni dell’accoglimento dell’accordo e dare conto dell’accertamento
sull’assenza di cause di non punibilità, sull’esatta qualificazione del fatto, sulla
correttezza della valutazione delle circostanze e sull’adeguatezza della pena.
Tali requisiti sono presenti nella sentenza impugnata.
Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue ex lege, in
forza del disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento ed al versamento della somma, tale
ritenuta congrua, di euro 1.500 (millecinquecento) in favore delle Cassa delle
Ammende, non esulando profili di colpa nel ricorso palesemente infondato (v.
sentenza Corte Cost. n. 186 del 2000).
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legge 283 del 1962 e 440 cod. pen..
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro 1.500 alla Cassa delle
ammende.
Il Consigliere estensore
0Giacomo Rocchi
Il Presidente
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Così deciso il 12 maggio 2016