Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29132 del 23/04/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 29132 Anno 2014
Presidente: BIANCHI LUISA
Relatore: PICCIALLI PATRIZIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
SEGATA FAUSTO N. IL 25/07/1934
avverso la sentenza n. 424/2011 CORTE APPELLO di TRENTO, del
07/12/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI;

Data Udienza: 23/04/2014

;

Fatto e diritto

SEGATA Fausto, tramite difensore, propone ricorso per cassazione avverso la
sentenza di cui in epigrafe che ha confermato il giudizio di responsabilità per il
reato di lesioni colpose aggravate dalla violazione della normativa
antinfortunistica in danno di DIALLO Sekou, dipendente società, della quale

La Corte di merito ha argomentato l’infondatezza dei motivi di appello diretti
ad ottenere l’assoluzione dell’imputato sul rilievo della conformità della
macchina insaccatrice alle misure antinfortunistiche e della abnormità della
condotta del lavoratore, evidenziando che la causa determinante
dell’infortunio era da individuarsi nella oggettiva inidoneità dei dispositivi di
protezione a tutelare la sicurezza del lavoratore ( in ordine al rischio cesoia
mento dovuto alle parti in movimento del macchinario), anche in
considerazione della vetustà della macchina ed escludendo la configurabilità di
una condotta sconsiderata del Diallo.

Il ricorrente articola tredici motivi, strettamente connessi,con i quali lamenta
plurime violazioni di legge e la manifesta illogicità della motivazione con
riferimento al giudizio di responsabilità formulato a carico del datore di lavoro
nonostante dalla stessa sentenza emergesse che la macchina fosse provvista
di due dispositivi di sicurezza, uno costituito dalla ginocchiera che, premuta
dall’operatore addetto all’insaccamento della carne nel budello, azionava la
pompa e le spatole di riescolamnento, ed un altro costituito da una pedana
apribile, posta a circa metà dell’altezza del corpo della macchina, sull’opposto
lati rispetto alla ginocchiera, che in posizione di apartura ( cioè di utilizzo da
parte del lavoratore per salirvi sopra ) interrompeva con un microinterruttore
l’alimentazione e quindi il suo funzionamento.
Deduce, altresì, vizio di travisamento del fatto e manifesta illogicità della
motivazione con riguardo: alla pericolosità del macchinario, alla eliminazione
della pedana dolo l’infortunio, alla affermata inutilità della pedana, alla
ritenuta inidoneità delle misure di sicurezza, alla negligenza del datore di
lavoro nella valutazione del rischio, all’asserita assenza di istruzioni e
formazione del lavoratore, alla circostanza della sistematica omessa elusione

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l’imputato era il legale rappresentante.

del dispositivo di sicurezza da parte dei lavoratori, alla non costituzione del
lavoratore come parte civile.
Si lamenta che la Corte di merito non aveva preso in considerazione talune
circostanze di fatto evidenziate in merito alle modalità di svolgimento
dell’infortunio, dalle quali emergeva l’insussistenza di alcun motivo, di velocità
o produttivo, che giustificasse la manovra posta in essere dal Diallo.
Si deduce, infine, che, ignbi caso, pur ammettendo la violazione delle norme
antinfortunistiche da parte del datore di lavoro, tali violazioni non erano

collegabili causalmente con l’evento lesivo, realizzatosi a causa della condotta
abnorme del lavoratore.

Il ricorso è manifestamente infondato, a fronte di una sentenza
congruamente motivata e giuridicamente corretta.
Sotto il primo profilo, quello afferente l’utilizzo del macchinario incriminato,
che si assume dotato di dispositivi di protezione idonei, è evidente che le
censure si limitano a trasferire in sede di legittimità argomenti già
convincentemente [ed insindacabilmente] esaminati e risolti in sede di merito:
i dispositivi di sicurezza apposti sulla macchina non erano idonei a prevenire o
a eliminare il rischio di contatto di parti del corpo con organi operatori delle
macchine in movimento né a neutralizzare l’eventuale negligenza e
disattenzione del lavoratore. La pedana, infatti, come rilevato dai giudici di
merito, nella posizione abbassata aveva uno spessore tale, che fuoriusciva
dalla parete della macchina, che consentiva il suo utilizzo per accedere alla
bocca della tramoggia, quale gradino di salita, senza necessità di un suo
sollevamento, unica manovra che avrebbe comportato l’inserimento degli
interruttori e fermato la macchina.
Indubitabile è, pertanto, la posizione di garanzia del datore di lavoro che il
macchinario impieghi, che non è esclusa di per sé da quella [in ipotesi
concorrente] del costruttore della macchina e da quella del progettista ( v.,
Sezione IV, 20 aprile 2010, Dall’Asta).

Questa conclusione è coerente con il ruolo del datore di lavoro e con le
responsabilità che da questo al medesimo derivano.

La decisione è in linea, in punto di diritto, con la giurisprudenza costante di
questa Corte secondo la quale è principio non controverso quello secondo cui

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v

il datore di lavoro deve sempre attivarsi positivamente per organizzare le
attività lavorative in modo sicuro, assicurando anche l’adozione da parte dei
dipendenti delle doverose misure tecniche ed organizzative per ridurre al
minimo i rischi connessi all’attività lavorativa: tale obbligo dovendolo
ricondurre, oltre che alle disposizioni specifiche, proprio, più generalmente,
al disposto dell’articolo 2087 del codice civile, in forza del quale il datore di
lavoro è comunque costituito garante dell’incolumità fisica e della salvaguardia

ove egli non ottemperi all’obbligo di tutela, l’evento lesivo correttamente gli
viene imputato in forza del meccanismo previsto dall’articolo 40, comma 2,
c.p. ( v., tra le tante, Sezione IV, 8 luglio 2009, Fontanella).

Manifestamente infondati sono anche i diversi motivi afferenti, sotto diversi
profili, l’asserito travisamento del fatto. Sul punto, va ricordato che anche a
seguito della modifica apportata all’art. 606, lett. e), c.p.p. dalla I. n. 46 del
2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto,
stante la preclusione per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria
valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi
di merito ( v. da ultimo, Sezione VI, 14 febbraio 2012, Minervini, rv. 253009).

Quanto alla censura, afferente l’asserita abnormità della condotta del
lavoratore, è manifestamente infondata.
Sul punto va ricordato che secondo la giurisprudenza consolidata di questa
Corte nel campo della sicurezza del lavoro ( v., tra le altre, v., tra le tante
sentenze, Sezione IV, 28 aprile 2011, n. 23292, Millo ed altri) deve dunque
considerarsi abnorme il comportamento che, per la sua stranezza e
imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte
delle persone preposte all’applicazione delle misure di prevenzione contro gli
infortuni sul lavoro e che l’eventuale colpa concorrente del lavoratore non può
spiegare alcuna efficacia esimente per i soggetti aventi l’obbligo di sicurezza
che si siano comunque resi responsabili della violazione di prescrizioni in
materia antinfortunistica.

Tenendo presenti questi principi è dunque da escludere che abbia queste
caratteristiche di abnormità il comportamento, pur imprudente, del lavoratore
che non esorbiti completamente dalle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro
attribuitogli e mentre vengono utilizzati gli strumenti di lavoro ai quali è

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della personalità morale dei prestatori di lavoro, con l’ovvia conseguenza che,

addetto. Anche ammesso che la condotta del lavoratore sia stata contraria ad
una norma di prevenzione ciò non sarebbe sufficiente a ritenere la sua
condotta connotata da abnormità essendo, l’osservanza delle misure di
prevenzione, finalizzata anche a prevenire errori e violazioni da parte del
lavoratore.

Deve quindi ritenersi corretto l’argomentare dei giudici di merito i quali,

lavoratore infortunato, pure definito non del tutto prudente. È infatti del tutto
prevedibile che un lavoratore,avvicini la mano agli ingranaggi destinati
all’avanzamento mentre la macchina è in movimento.
La protezione delle parti in movimento è diretta anche ad evitare le
conseguenze derivanti da queste condotte imprudenti (ma purtroppo
frequenti).

Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della
cassa delle ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma di
euro 1000,00 (mille) a titolo di sanzione pecuniaria.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso nella camera di consiglio in data 23 aprile 2014

Il Consigliere estensore

attenendosi ai principi ricordati, hanno escluso l’abnormità della condotta del

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