Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29130 del 23/04/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 29130 Anno 2014
Presidente: BIANCHI LUISA
Relatore: MONTAGNI ANDREA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
LAANAYA ADIL N. IL 07/05/1979
avverso la sentenza n. 13809/2012 GIUDICE UDIENZA
PRELIMINARE di BERGAMO, del 25/01/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;

Data Udienza: 23/04/2014

Motivi della decisione
Laanaya Adil ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del
G.i.p. presso il Tribunale di Bergamo in data 25.01.2013, con la quale, ai sensi
dell’art. 444 cod. proc. pen., è stata applicata la pena concordata dalle parti di anni
due di reclusione ed C 3.000,00 di multa, in ordine al reato di cui all’art. 73,
comma V, d.P.R. n. 309/1990, afferente a plurime cessioni di sostanza
stupefacente di tipo cocaina ed hashish.
La parte deduce del tutto genericamente il vizio motivazionale.

La doglianza dedotta dall’esponente è inammissibile.
Come noto, questa Suprema Corte ha ripetutamente affermato il principio in
base al quale l’obbligo della motivazione della sentenza non può non essere
conformato alla particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento: lo
sviluppo delle linee argomentative è necessariamente correlato all’esistenza
dell’atto negoziale con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti
dedotti nell’imputazione. Ciò implica che il giudizio negativo circa la ricorrenza di
una delle ipotesi di cui all’art. 129 cod. proc. pen. deve essere accompagnato da
una specifica motivazione solo nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti
emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non
punibilità, dovendo invece ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione
consistente nella enunciazione, anche implicita, che è stata compiuta la verifica
richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per la pronunzia di
proscioglimento ex art. 129 (Sez. U. 27 marzo 1992, Di Benedetto; Sez. U. 27
dicembre 1995, Serafino). Tale orientamento è stato concordemente accolto dalla
giurisprudenza successiva. Anche per ciò che riguarda gli altri tratti significativi
della decisione, che riguardano precipuamente la qualificazione giuridica del fatto,
la continuazione, l’esistenza e la comparazione delle circostanze, la congruità della
pena e la sua sospensione, la costante giurisprudenza di questa Corte, nel solco
delle enunciazioni delle Sezioni unite, ha affermato che la motivazione può ben
essere sintetica ed a struttura enunciativa, purché risulti che il giudice abbia
compiuto le pertinenti valutazioni. Né l’imputato può avere interesse a lamentare
una siffatta motivazione censurandola come insufficiente e sollecitandone una più
analitica, dal momento che la statuizione del giudice coincide esattamente con la
volontà pattizia del giudicabile.
D’altra parte, attesa la natura pattizia del rito, chi chiede la pena pattuita
rinuncia ad avvalersi della facoltà di contestare l’accusa. Ne consegue, come questa
Suprema Corte ha più volte avuto modo di affermare, che l’imputato non può
prospettare con il ricorso per cassazione censure che coinvolgono il patto dal
medesimo accettato.

A

Si osserva poi, che l’entità della pena risulta congrua, anche in
considerazione delle sopravvenute modifiche normative.
Come noto, per effetto della sentenza della Corte Costituzionale del 12
febbraio 2014 n. 32, la disciplina in materia di sostanze stupefacenti che viene in
rilievo è quella prevista dal d.P.R. n. 309/1990, nella versione antecedente alle
modifiche introdotte dal d.l. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito con modificazioni
dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49, di talché la pena per le c.d. droghe pesanti, ai
sensi dell’art. 73, comma V, d.P.R. n. 309/1990, va da uno a sei anni di reclusione,

Nel caso di specie è stata infatti applicata l’ipotesi di cui all’art. 73, comma V,
d.P.R. n. 309/1990, in riferimento a plurime cessioni di cocaina con giudizio di
prevalenza sulla recidiva e quindi disposto un aumento per la continuazione,
rispetto alle ulteriori cessioni di hashish, oggetto di addebito. Devono allora
richiamarsi pure le modifiche introdotte all’art. 73, comma V, cit., dall’art. 2,
comma 1, d.l. 23 dicembre 2013 n. 146, convertito con modificazioni dall’art. 1,
comma 1, della legge 21 febbraio 2014, n.10. Ai fini di interesse, si rileva che a
seguito delle richiamate modifiche è oggi prevista, per l’ipotesi di cui all’art. 73,
comma V, cit., la pena della reclusione da uno a cinque anni, oltre la multa. Come
si vede, il minimo della pena detentiva risulta immodificato, anche rispetto alla più
favorevole disciplina dettata dall’art. 73, comma V, d.P.R. n. 309/1990, a seguito
della novella del 2013.
L’ordine di considerazioni che precede induce conclusivamente a rilevare che
le sopravvenute modifiche alla cornice edittale di riferimento non risultano rilevanti,
rispetto alla pena inflitta nel caso di specie, poiché i giudici di merito hanno fissato
la pena base in anni due di reclusione, misura che si colloca nella fascia prossima al
minimo edittale.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna della
ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 1.500,00 in
favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, in data 23 aprile 2014.

oltre la multa.

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