Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29126 del 16/04/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 29126 Anno 2013
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: IASILLO ADRIANO

SENTENZA
Sul ricorso proposto dall’Avvocato Silvio Caroli, quale difensore di Massaro
Rocco (n. il 16/04/1965), avverso la sentenza della Corte di appello di Lecce,
Il Sezione penale, in data 12/07/2012.
Sentita la relazione della causa fatta, in pubblica udienza, dal Consigliere
Adriano lasillo.
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, dottor Roberto
Aniello, il quale ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
OSSERVA:

Data Udienza: 16/04/2013

Con sentenza del 02/11/2010, il Tribunale di Lecce — Sezione
distaccata di Tricase – dichiarò Massaro Rocco responsabile del reato di
ricettazione di un assegno e — con la riduzione per la scelta del rito – Io
condannò alla pena di anni 1 e mesi 4 di reclusione ed € 400,00 di multa.
Avverso tale pronunzia l’imputato propose gravame ma la Corte
d’appello di Lecce, con sentenza del 12/07/2012, confermò la decisione di
Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato deducendo la
violazione di legge e la mancanza di motivazione in ordine: alla mancata
qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 648, Il comma, c.p. o 712 del c.p.; alla
determinazione della pena senza tener conto dei criteri di cui all’art. 133 del
c.p.; al diniego delle attenuanti generiche.
Il ricorrente conclude, pertanto, per l’annullamento dell’impugnata
sentenza, “previa verifica della sopravvenuta estinzione del reato per
prescrizione”.
motivi della decisione
E’ opportuno — per meglio comprendere la decisione di questa Corte riportare il contenuto del ricorso: “Evidente e incontrovertibile, appare la
violazione in epigrafe, per la quale ci si duole, afferente la mancata
qualificazione giuridica del fatto ai sensi dell’art. 648 c.p., comma 2 o dell’art.
712 c.p., nonché la determinazione della pena senza tener conto dei criteri di
segno positivo, dettati dall’art. 133 del c.p. ed il diniego della concessione
delle attenuanti generiche. Per questi motivi si chiede che Codesta Suprema
Corte, previa verifica della sopravvenuta estinzione del reato per
prescrizione, voglia annullare l’impugnata sentenza con ogni conseguente
statuizione di legge”.
Il ricorso è, chiaramente, inammissibile per violazione dell’art. 591
lettera c) in relazione all’art. 581 lettera c) cod. proc. pen., perché in esso non
si indica, neppure uno dei motivi alla quale la Corte di appello non avrebbe
risposto o avrebbe risposto in modo carente, né vengono evidenziate
manifeste illogicità o contraddizioni della sentenza. E’ quindi evidente
l’estrema genericità del ricorso, privo del necessario contenuto di critica
specifica al prowedimento impugnato, le cui valutazioni, ancorate a precisi

primo grado.

dati fattuali completamente trascurati nell’atto di impugnazione, si palesano
peraltro immuni da vizi logici o giuridici. Infatti, la Corte di appello ha ben
evidenziato tutti gli elementi probatori a carico dell’imputato (neppure oggetto
di contestazione con l’atto di appello) con motivazione esaustiva, logica e
non contraddittoria; nello stesso modo sottolinea le ragioni per le quali non
ritiene di concedere le attenuanti generiche e quella di cui al secondo comma
quanto riguarda la richiesta di derubricazione nel reato di cui all’art. 712 del
c.p. si osserva che tale richiesta non era oggetto dell’appello. In ogni caso la
incensurabile motivazione per la condanna di ricettazione di un assegno di
illecita provenienza – abusivamente sottoscritto dall’imputato che non era,
ovviamente, titolare del conto — dimostra con evidenza che la deduzione
difensiva è logicamente incompatibile con la decisione adottata e pertanto
non era neppure necessario che fosse confutata esplicitamente (Sez. 4,
Sentenza n. 1149 del 24/10/2005 Ud. – dep. 13/01/2006 – Rv. 233187).
Per quanto riguarda, infine, la genericissima richiesta di “verificare”
l’eventuale prescrizione del reato si deve rilevare che il reato non era
prescritto quando è stata pronunziata la sentenza di secondo grado
(12.07.2012, visto che la denuncia di smarrimento dell’assegno è del
24.01.2003 e il reato si prescrive nel termine di 10 anni), data alla quale
bisogna fare riferimento dovendosi dichiarare l’inammissibilità del ricorso.
Inammissibilità che non consente il formarsi di un valido rapporto di
impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le
cause di non punibilità a norma dell’art. 129 cod. proc. pen. maturate, nel
caso di specie, successivamente alla sentenza impugnata con il ricorso (il
24.01.2013, salvo eventuali sospensioni; si veda fra le tante: Sez. 4,
Sentenza n. 18641 del 20/01/2004 Ud. dep. 22104/2004 – Rv. 228349). E’
appena il caso di precisare che quando si parla di sentenza di condanna non
si deve far riferimento al deposito della motivazione, bensì al momento della
pronuncia della sentenza di condanna, mediante lettura del dispositivo. È
infatti incontrovertibile, in generale, il principio di diritto che, al fine di
individuare il momento nel quale si produce l’interruzione della prescrizione
del reato, occorre avere riguardo a quello dell’emissione di uno degli atti
indicati nell’art. 160 c.p. (ex plurimis Sez., un. 16 marzo 1994, dep. 31 marzo

dell’art. 648 del c.p. e valuta congrua la pena irrogata dal Tribunale. Per

1994, dep. 3760, id. 28 ottobre 1998, dep. 18 dicembre 1998, n. 13390) e,
con specifico riferimento, alla sentenza di condanna che l’interruzione della
prescrizione opera al momento della lettura del dispositivo – anche quando
non sia data contestuale lettura della motivazione – in quanto tale è il
momento in cui si accerta la responsabilità e si infligge la pena, e non in
quello successivo del deposito che serve, appunto, alla ulteriore
ottobre 1980, dep. 3 dicembre 1980, n. 1283; Sez. 5, 4 novembre 2003, dep.
2 dicembre 2003, n. 46231; Sez. 6, Sentenza n. 31702 del 26/05/2008 Ud.
dep. 29/07/2008 Rv. 240607).
In proposito a quanto sopra questa Corte Suprema ha più volte
affermato il principio, condiviso dal Collegio, che sono inammissibili i motivi di
ricorso per Cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le
ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento
dell’atto di impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del
provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità, che
conduce, ex art. 591, comma primo, lett. c), cod. proc. pen. all’inammissibilità
del ricorso (Si veda fra le tante: Sez. 1, sent. n. 39598 del 30.9.2004 dep. 11.10.2004 – rv 230634).
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere
condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché —
ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità — al pagamento a favore della Cassa delle ammende della
somma di mille euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi
dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.
Così deliberato in camera di consiglio, il 16/04/2013.

comunicazione delle ragioni di condanna, a fini processuali (Sez. 2, 20

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