Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29125 del 23/04/2014


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Penale Sent. Sez. 7 Num. 29125 Anno 2014
Presidente: BIANCHI LUISA
Relatore: MASSAFRA UMBERTO

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sul ricorso proposto da:
EL TAYB TARIK N. IL 29/10/1985
avverso la sentenza n. 905/2011 CORTE APPELLO di PERUGIA, del
08/06/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. UMBERTO
MASSAFRA;

Data Udienza: 23/04/2014

Ritenuto in fatto
Ricorre per cassazione, il difensore di fiducia di El Tayb Tarik avverso la sentenza emessa
in data 8.6.2012 dalla Corte di Appello di Perugia che, in parziale riforma di quella resa in
data 7.2.2011 dal Tribunale di Perugia che, tra l’altro, rideterminava la pena per il
residuale delitto continuato di detenzione e cessione anche a minorenni di cannabis indica
e detenzione di un frammento di hashish (fatti del 5.9.2003), con l’attenuante di cui al V
comma dell’art. 73 dPR 309/1990 equivalente alla ritenuta aggravante di cui all’art. 80,
comma 10 dPR cit., in anni due e mesi uno di reclusione ed C 6.000,00 di multa.

materiale probatorio e dalla ritenuta penale responsabilità.
Considerato in diritto
In via preliminare ed assorbente, non ravvisandosi cause d’inammissibilità, va rilevato
che il reato contestato è rimasto estinto per l’intervenuta prescrizione.
Invero, la recente disposizione di cui al D.L. n. 146 del 23.12.2013 (conv. in L. n. 10 dl
21.2.2014), nel qualificare il 5 0 comma dell’art. 73 dPR 309/1990 quale figura autonoma
di reato, ha rideterminato la pena edittale da uno a cinque anni di reclusione ed C 3.000
a 26.000 di multa.
Di poco successiva è la sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 2014, depositata il
25.2.2014. Questa ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4

bis della L.

21.2.2006 n. 49, cioè del testo dell’art. 73 dPR 309/1990 nella formulazione di cui alla
detta Legge 49/2006 c.d. “Fini-Giovanardi”, determinando, come dalla Corte
Costituzionale espressamente affermato, l’applicazione dell’art. 73 del predetto dPR
309/1990 e relative tabelle nella formulazione precedente le modifiche apportate con le
disposizioni ritenute incostituzionali e cioè nel testo di cui alla L. del 1990, c.d. “IervolinoVassalli”.
La Corte Costituzionale ha definito i limiti oggettivi del proprio intervento in relazione al
D.L. 146/2013, precisando che “trattandosi di ius superveniens che riguarda disposizioni
non applicabili nel giudizio a quo” lo stesso non poteva esplicare alcuna incidenza sulle
questioni sulle questioni oggetto del giudizio della Corte relative a disposizioni diverse da
quelle da quelle oggetto di modifica normativa e che gli effetti del presente giudizio di
legittimità costituzionale non riguardano in alcun modo la modifica disposta con il decreto
legge n. 146 del 2013, …., in quanto stabilita con disposizione successiva a quella qui
censurata e indipendente da quest’ultima”. Ha poi affermato che “rientra nei compiti del
giudice comune individuare quali norme, successive a quelle impugnate, non siano più
applicabili perché divenute prive del loro oggetto (in quanto rinviano a disposizioni
caducate) e quali, invece, devono continuare ad avere applicazione in quanto non
presuppongono la vigenza degli artt. 4 bis e 4 vicies ter, oggetto della presente
decisione”.

2

Deduce la violazione di legge ed il difetto motivazionale in relazione alla valutazione del

La suddetta sentenza, avendo dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 4 bis e 4
vicies ter della L. n. 49 del 2006, ha travolto l’intero art. 73 dPR 309/1990, facendo
rivivere abbia travolto l’intero art. 73 dPR 309/1990, facendo rivivere, per i reati
commessi prima dell’entrata in vigore del D.L. n. 146 del 2013 (e cioè il 24.12.2013)
anche il precedente testo del comma 5° con la ripartizione del trattamento sanzionatorio
previsto tra doghe leggere e droghe pesanti, più favorevole al reo per quel che concerne
quelle leggere, che prevede la pena detentiva da sei mesi a quattro anni di reclusione e
quella pecuniaria da C 1.032,9 a C 10.329,14 di multa.

comma dPR 309/1990 comporta un aumento della pena edittale pari, al massimo, della
metà, cioè di due anni.
Pertanto, ai sensi dell’art. 129, 1° comma c.p.p., non ravvisandosi condizioni evidenti che
consentano il proscioglimento nel merito, deve rilevarsi l’estinzione del reato contestato
per la sopravvenuta prescrizione essendo decorso il termine prescrizionale di anni sette e
mesi sei previsto dall’attuale formulazione (più favorevole ai sensi dell’art. 10 L.
251/2005) degli artt. 157 e 161 c.p.p. alla data del 5.3.2011, in assenza di periodi di
sospensione utilmente computabili.
Consegue l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata.
P.Q.M.
ANNULLA SENZA RINVIO LA SENTENZA IMPUGNATA PERCHE’ IL REATO È ESTINTO PER PRESCRIZIONE.
COSÌ

deciso in Roma, il 23.4.2014

Nel caso di specie, l’aggravante ad effetto speciale contestata di cui al l’art. 80, 1°

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