Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29125 del 16/04/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 29125 Anno 2013
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: IASILLO ADRIANO

SENTENZA
Sul ricorso proposto dall’Avvocato Giuseppe Caputo, quale difensore di
Carrella Giuseppe (n. il 20/12/1973), avverso la sentenza della Corte di
appello di Roma, I Sezione penale, in data 18/05/2012.
Sentita la relazione della causa fatta, in pubblica udienza, dal Consigliere
Adriano lasillo.
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, dottor Roberto
Aniello, il quale ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
Udito l’Avvocato Giuseppe Caput° – difensore di Carrella Giuseppe — il quale
ha concluso chiedendo raccoglimento del ricorso.

Data Udienza: 16/04/2013

OSSERVA:
Con sentenza del 18/01/2010, il Tribunale di Roma dichiarò Carrella
Giuseppe responsabile dei reati di ricettazione e di possesso ingiustificato di
chiavi alterate e — ritenuta la continuazione e la recidiva contestata per il
capo A – lo condannò per l’ipotesi di cui al secondo comma dell’art. 648 del
Avverso tale pronunzia l’imputato propose gravame ma la Corte
d’appello di Roma, con sentenza del 18/05/2012, confermò la decisione di
primo grado.
Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato deducendo: la nullità
della sentenza perché la notifica del deposito degli atti — ex art. 415 bis del
c.p.p. — è stata fatta al difensore — ex art. 161, IV comma, del c.p.p. —
nonostante egli fosse detenuto, circostanza nota al Tribunale come emerge
dalla nomina del difensore di fiducia proveniente dal carcere (e inserita nel
ricorso) datata 27.02.2009; la nullità del decreto citazione perché non
notificato in carcere come previsto dall’art. 156 del c.p.p.; omessa
motivazione della Corte territoriale sulla richiesta di rinnovazione
dell’istruzione dibattimentale per sentire l’imputato contumace in primo grado;
contraddittorietà della motivazione sull’identificazione del veicolo oggetto di
furto e travisamento della prova (dichiarazione Milo Di Stola) sul punto;
acquisizione della denuncia di furto del motociclo ricettato senza il consenso
delle parti.
Il difensore del ricorrente conclude, pertanto, per l’annullamento
dell’impugnata sentenza.
motivi della decisione

Le eccepite nullità sono manifestamente infondate. Si deve, innanzi
tutto, rilevare l’assoluta genericità delle eccezioni presentate con l’appello
che — data la brevità — si riportano integralmente: “In rito. 1. Nullità della
notifica dell’art. 415 bis e della vocatio in iudicium (conseguente nullità della
sentenza). Proprio perché l’imputato, contumace, si trovava illo tempore
presso il Carcere di Rebibbia, è ovvio che tutte le comunicazioni dovevano
indirizzarsi presso l’istituto penitenziario, non altrove! Risulta evidente che

c.p. alla pena di anni 1, mesi 3 e giorni 15 di reclusione ed € 200,00 di multa.

l’imputato non sia stato messo in grado di esercitare il suo diritto di difesa nel
processo de quo”. Quindi, il difensore dell’imputato non precisa – neppure in
questo atto – da quando e fino a quando il suo assistito fosse detenuto.
Genericità delle eccezioni che si ripete anche nel ricorso. Tanto premesso si
deve rilevare che dagli atti emerge che il Tribunale all’udienza del 09.04.2009
rinvia all’udienza del 15.10.2009 ed ordina la traduzione dell’imputato
Tribunale nella quale si afferma che lo stesso Tribunale solo il 09.04.2009
aveva appreso della detenzione del Carrella per altra causa; infatti, in tale
ordinanza si dà atto che la nomina, quale Avvocato di fiducia, di Sgrò Daniela
– effettuata dall’imputato il 27.02.2009, inviata dal carcere con modello I.P. e
pervenuta al Tribunale in data 16.03.2009 — era stata inserita in altro
fascicolo. Proprio per tale motivo il Tribunale all’udienza del 09.04.2009
aveva rinviato all’udienza del 15.10.2009 ordinando la traduzione
dell’imputato. In data 13.10.2009 il Carcere di Rebibbia comunica che
l’imputato Carrella Giuseppe era libero dal 14.06.2009 e che aveva eletto
domicilio. Pertanto all’udienza del 15.10.2009 il Tribunale revoca la dichiarata
contumacia e rinvia all’udienza del 18.01.2010 ordinando di notificare il
verbale all’imputato; cosa che viene regolarmente effettuata tant’è che nella
predetta udienza, verificata la regolarità della notifica all’imputato, il Carrella
viene dichiarato contumace. Negli atti si rinviene anche una lettera
dell’Avvocato Giuseppe Caputo che comunica al Tribunale che la sua
nomina quale difensore di fiducia non è stata ancora formalizzata e che
quindi si può proseguire con l’altro difensore di fiducia, Sgrò Daniela,
nominata — come già detto – dall’imputato. Quindi emerge con chiarezza che
tutto si è svolto nel pieno rispetto della legge. Infatti, la notifica dell’avviso di
deposito degli atti — ex art 415 bis del c.p.p. – è stata effettuata molto tempo
prima dell’arrivo, nella cancelleria del Tribunale, della nomina del difensore di
fiducia, unico atto dal quale si ricava che l’imputato fosse detenuto (tale
nomina perviene in Cancelleria 16.03.2009); né tra l’altro — anche se
irrilevante visto che l’imputato non aveva mai avvisato della sua detenzione
per altra causa — il difensore del ricorrente ha mai specificato da quando il
suo assistito fosse detenuto e quindi se nella data in cui è stato notificato
l’avviso fosse già detenuto. In ogni caso, questa Suprema Corte ha più volte

detenuto per tale udienza. Negli atti si rinviene, anche, un’ordinanza del

affermato il principio che è valida la notificazione dell’avviso di conclusione
delle indagini preliminari effettuata presso il domicilio eletto da indagato già
detenuto per altra causa (Sez. F, Sentenza n. 31490 del 24/07/2012 Ud. dep. 02/08/2012 – Rv. 253224). Inoltre, è valida la notifica dell’avviso di
conclusione delle indagini preliminari presso il difensore eletto domiciliatario
dell’imputato che si trovi in stato di detenzione domiciliare per altra causa
(Sez. 6, Sentenza n. 47324 del 20/11/2009 Ud. – dep. 12/12/2009 Rv.

245306). Anche la notifica del decreto di citazione a giudizio è stato
effettuato prima dell’arrivo, nella cancelleria del Tribunale, della nomina del
difensore di fiducia unico atto dal quale si ricava che l’imputato fosse
detenuto (tale nomina perviene in Cancelleria 16.03.2009). A tal proposito
questa Suprema Corte ha più volte affermato che è legittima la notificazione
eseguita ai sensi dell’art. 161 cod. proc. pen. (al domicilio dichiarato o eletto
nelle ipotesi previste nel quarto comma) allorché lo stato detentivo
dell’imputato non sia portato o non sia comunque venuto a conoscenza del
giudice (come è accaduto nel caso di specie) sussistendo anzi in proposito
uno specifico onere a carico dell’imputato medesimo di comunicare la propria
condizione ai fini delle notifiche (Cass., Sez. 4, Sent. n. 46001 del
29.09.2003, Rv. 227704; Sez. 4, Sentenza n. 11395 del 16/01/2006 Ud. dep. 31/03/2006 – Rv. 233533; si veda anche Sez. 2, Sentenza n. 32588 del
03/06/2010 Ud. – dep. 01/09/2010 – Rv. 247980). Comunque — sempre
tenendo presente quanto sopra — si deve rilevare che il Tribunale, appena si
è reso conto che l’imputato era detenuto per altra causa, ha — come già detto
— prima rinviato l’udienza ordinando la traduzione del Carrella e, poi, appreso
che nel frattempo l’imputato era stato liberato ha disposto un nuovo rinvio
ordinando la notifica del verbale al ricorrente. Tutto ciò è stato effettuato
regolarmente: si veda il verbale del 18.01.2010 nel quale dopo la verifica
della regolarità della notifica l’imputato è stato dichiarato contumace; e sul
punto non vi è alcuna contestazione del difensore dell’imputato. Quindi il
ricorrente è stato avvisato e posto nella condizione di partecipare al giudizio
di primo grado e di esplicare appieno la sua difesa. Il difensore del Carrella
non tiene assolutamente conto di tutto quanto sopra evidenziato, reiterando
solo le generiche doglianze, sul punto, già proposte con l’appello.

4

Il resto del ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 606, comma 1,
cod. proc. pen., perché propone censure attinenti al merito della decisione
impugnata, congruamente giustificata.
Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione
non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la
migliore possibile ricostruzione dei fatti né deve condividerne la
come nel caso di specie – compatibile con il senso comune e con “i limiti di
una plausibile opinabilità di apprezzamento”,

secondo una formula

giurisprudenziale ricorrente (Cass. Sez. 4″ sent. n. 47891 del 28.09.2004
dep. 10.12.2004 rv 230568; Cass. Sez. 5″ sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep.
31.1.2000 rv 215745; Cass., Sez. 2″ sent. n. 2436 del 21.12.1993 dep.
25.2.1994, rv 196955).
Inoltre il resto del ricorso è inammissibile anche per violazione dell’art.
591 lettera c) in relazione all’art. 581 lettera c) cod. proc. pen., perché le
doglianze (sono le stesse affrontate dalla Corte di appello) sono prive del
necessario contenuto di critica specifica al provvedimento impugnato, le cui
valutazioni, ancorate a precisi dati fattuali trascurati nell’atto di impugnazione,
si palesano, peraltro, immuni da vizi logici o giuridici. Infatti il Giudice di
merito ha con esaustiva, logica e non contraddittoria motivazione,
evidenziato tutte le ragioni per le quali ritiene la responsabilità del ricorrente
per i reati di cui sopra (ad esempio: accertato e non contestato possesso del
ciclomotore di provenienza illecita – che presentava, tra l’altro – il blocco di
accensione forzato — e della chiave di accensione contraffatta). Si deve
rilevare che anche il motivo di appello sulla disponibilità del motociclo da
parte dell’imputato è generico in quanto il difensore del Carrella si limita ad
affermare: “non potendo ritenersi sufficienti le dichiarazioni rese dal teste Di
Stola Michele”.

Dichiarazioni dell’ufficiale di P.G. che il difensore

dell’imputato riporta a pagina 6 e 7 del ricorso e dalle quali emerge, con
estrema chiarezza, la piena conferma di quanto affermato dai Giudici di
merito: il Carrella era nel possesso del motociclo (ne era alla guida, lo ha poi
parcheggiato, ha tolto la chiave di accensione contraffatta — poi sequestrata
— ed era privo dei documenti di circolazione), motociclo che i successivi
accertamenti effettuati hanno consentito di verificare di provenienza furtiva.

giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia —

In proposito si deve rilevare che non risulta alcuna obbiezione
all’acquisizione della denuncia di furto del motociclo e che comunque
nell’appello non è stata sollevata tale questione, che viene presentata per la
prima volta avanti a questa Corte di legittimità. Si deve in ogni caso rilevare
che questa Suprema Corte ha affermato il principio — condiviso dal Collegio —
che in tema di ricettazione, la prova del verificarsi del delitto che costituisce
giudiziale accertamento nè l’individuazione del responsabile, bastando che il
fatto risulti “positivamente” al giudice chiamato a conoscere del reato di cui
all’articolo 648 cod. pen. (nella specie la Corte ha ritenuto legittima
l’acquisizione del verbale, in assenza della citazione del teste, di denuncia
del furto dell’autovettura oggetto della successiva ricettazione, quale prova
documentale di una dichiarazione di scienza, non ripetibile con le stesse
forme, anche tenuto conto del fatto che la conoscenza storica ivi esternata
non si riferiva direttamente alla responsabilità dell’imputato per il reato
ascritto ma solo al reato presupposto; Sez. 2, Sentenza n. 3211 del
12/03/1998 Ud. dep. 10/03/1999 – Rv. 213597). Inoltre, l’affermazione della
responsabilità per il delitto di ricettazione non richiede l’accertamento
giudiziale della commissione del delitto presupposto, nè dei suoi autori, nè
dell’esatta tipologia del reato, potendo il giudice affermarne l’esistenza
attraverso prove logiche (nella specie, la Corte ha ritenuto congruamente
provato il delitto presupposto di furto di documenti provenienti da archivi di
Stato, in base alle convergenti dichiarazioni di esperti, pur se le denunce di
furto erano state presentate successivamente al sequestro dei documenti;
Sez. 2, Sentenza n. 29685 del 05/07/2011 Ud. dep. 25/07/2011 – Rv.
251028).
Inoltre, la Corte di merito ben evidenzia perché, nel caso di specie,
sia ravvisabile la ricettazione e non già il furto del motociclo. Infatti considera
che: la tesi che l’imputato fosse l’autore del furto del motociclo è stata
avanzata dal difensore solo nell’atto di appello; il tempo intercorso tra la
denuncia del furto e l’accertamento del reato di ricettazione; il fatto che
l’imputato non ha mai fornito alcun chiarimento in ordine al possesso del
motociclo né in ordine al furto. In proposito questa Suprema Corte ha più
volte affermato il principio – condiviso dal Collegio – che ai fini della

antecedente necessario di quello di ricettazione, non presuppone un

configurabilità del reato di ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo può
essere raggiunta anche sulla base dell’omessa – o non attendibile indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente
rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un
acquisto in mala fede (Sez. 2, Sentenza n. 2436 del 27/02/1997 Ud.
dep. 13/03/1997 – Rv. 207313; Sez. 2, Sentenza n. 16949 del 27/02/2003
Anche per quanto riguarda la richiesta di rinnovazione dell’istruzione
dibattimentale appare opportuno evidenziare quanto scrive il difensore
dell’imputato nell’atto di appello. Nelle sole conclusioni si legge:

“in via

istruttoria: si chiede riassunzione dell’istruttoria dibattimentale perlomeno in
relazione all’esame dell’imputato, contumace in primo grado”.
Tanto premesso osserva questa Corte che non ricorrono nella specie
nè gli estremi per la configurazione della ipotesi di cui all’art. 603, comma 4,
c.p.p. nè il requisito della decisività della prova non assunta. Sotto il primo
profilo si rileva che il predetto art. 603, comma 4, cod. proc. pen. prevede
un’ipotesi speciale, in quanto obbligata, di rinnovazione dell’istruttoria
dibattimentale basata, però, sul presupposto che l’imputato contumace in
primo grado, provi in appello la riconducibilità della sua mancata
comparizione a caso fortuito o forza maggiore o alla mancata incolpevole
conoscenza del decreto di citazione. Nel caso di specie – come, già,
evidenziato riportando per intero il motivo di appello sul punto – il difensore
del Carrella non ha sostenuto tale tesi e, conseguentemente, non ha provato
quanto sopra. Inoltre, risulta la regolarità della notifica all’imputato, come
emerge dal verbale di udienza del Tribunale del 18.01.2010; verbale
richiamato anche nel provvedimento del Giudice dell’esecuzione
dell’11.07.2011 — con il quale è stata dichiarata la nullità dell’esecutività della
sentenza di primo grado solo per omessa redazione e notifica dell’estratto
contumaciale all’imputato — e allegato dal Carrella sia nell’atto di appello sia
nel ricorso. Orbene, solo nel ricorso per Cassazione il difensore richiama una
massima di questa Suprema Corte che afferma il principio sopra evidenziato,
ma non si accorge che nel caso di specie — come detto — non si è verificato
nulla di quanto richiesto per l’operatività dell’art. 603, quarto comma, cod.
proc. pen., come d’altronde si rileva anche dal provvedimento del Giudice di

Ud. – dep. 10/04/2003 – Rv. 224634).

esecuzione che il difensore si limita a richiamare a sostegno del suo motivo
di ricorso, senza considerarne il contenuto. Pertanto, poiché non sussistono
— nel caso di specie – gli estremi per invocare il diritto alla prova, ex art. 603,
comma quarto, cod. proc. pen., (non invocata in appello), la relativa richiesta
deve essere considerata una ordinaria richiesta di rinnovazione, soggetta alla
valutazione discrezionale del Giudice di appello sulla base del criterio della
n. 553 del 14/10/2011 Ud. dep. 12/01/2012 – Rv. 252660). Allora, con
riferimento al secondo profilo appare opportuno ricordare che in relazione
alla rinnovazione dell’istruzione dibattimentale questa Suprema Corte ha più
volte affermato il principio — condiviso dal Collegio – che atteso il carattere
eccezionale della rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello, il
mancato accoglimento della richiesta volta ad ottenere detta rinnovazione in
tanto può essere censurato in sede di legittimità in quanto risulti dimostrata,
indipendentemente dall’esistenza o meno di una specifica motivazione sul
punto nella decisione impugnata, la oggettiva necessità dell’adempimento in
questione e, quindi, l’erroneità di quanto esplicitamente o implicitamente
ritenuto dal giudice di merito circa la possibilità di “decidere allo stato degli
atti”, come previsto dall’art. 603, comma 1, del codice di procedura penale.
Ciò significa che deve dimostrarsi l’esistenza, nell’apparato motivazionale
posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità,
ricavabili dal testo del medesimo provvedimento o da altri atti specificamente
indicati (come previsto dall’art. 606, comma 1, lett. E, c.p.p.) e concernenti
punti di decisiva rilevanza, le quali sarebbero state presumibilmente evitate
qualora fosse stato provveduto, come richiesto, all’assunzione o alla
riassunzione di determinate prove in sede di appello. (Si vedano: Sez. 1,
Sentenza n. 9151 del 28/06/1999 Ud. dep. 16/07/1999 – Rv. 213923; Sez.
5, Sentenza n. 12443 del 20/01/2005 Ud. – dep. 04/04/2005 Rv. 231682).
Invece, come già detto, il difensore dell’imputato si è limitato a stigmatizzare
genericamente la mancata rinnovazione del dibattimento senza dimostrare
nulla di quanto sopra né, soprattutto l’incidenza dell’esame dell’imputato sul
materiale probatorio raccolto. Quanto sopra evidenzia ulteriormente
l’inammissibilità del ricorso, sul punto, trattandosi, con evidenza, di giudizio di
merito sottratto all’esame di questa Corte di legittimità.

presunzione di completezza dell’istruttoria dibattimentale (Sez. 5, Sentenza

A fronte di quanto sopra esposto, il difensore dell’imputato contrappone,
quindi, solo generiche contestazioni in fatto, che non tengono conto delle
argomentazioni della Corte di appello. In particolare non evidenzia alcuna
illogicità o contraddizione nella motivazione della Corte di appello allorché
conferma la decisione del Tribunale. Si deve osservare che l’illogicità della
motivazione, come vizio denunciabile, deve essere percepibile ictu oculi,
evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze (che tra l’altro nel caso
di specie non si ravvisano). Inoltre, questa Corte Suprema ha più volte
affermato il principio, condiviso dal Collegio, che sono inammissibili i motivi di
ricorso per Cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le
ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento
dell’atto di impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del
provvedimento censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità, che
conduce, ex art. 591, comma primo, lett. c), cod. proc. pen. all’inammissibilità
del ricorso (Si veda fra le tante: Sez. 1, sent. n. 39598 del 30.9.2004 dep. 11.10.2004 – rv 230634).
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere
condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché —
ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità — al pagamento a favore della Cassa delle ammende della
somma di mille euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi
dedotti.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.
Così deliberato in camera di consiglio, il 16/04/2013.

DEPOSITATO IN CANCELLERIA

dovendo il sindacato di legittimità essere limitato a rilievi di macroscopica

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