Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29121 del 16/04/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 29121 Anno 2013
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: IASILLO ADRIANO

SENTENZA
Sul ricorso proposto da Diaferio Vincenzo (n. 1’11/03/1965), avverso la
sentenza della Corte di appello di Bari, II Sezione penale, in data 16/01/2012.
Sentita la relazione della causa fatta, in pubblica udienza, dal Consigliere
Adriano lasillo.
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, dottor Roberto
Aniello, il quale ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
OSSERVA:

Data Udienza: 16/04/2013

Con sentenza del 22/06/2007, il Tribunale di Foggia — Sezione
distaccata di Manfredonia – dichiarò Diaferio Vincenzo responsabile del reato
di estorsione e — con l’attenuante della speciale tenuità del danno prevalente
sulla contestata recidiva – lo condannò alla pena di anni 3 e mesi 4 di
reclusione ed E 600,00 di multa.
Avverso tale pronunzia l’imputato propose gravame ma la Corte
d’appello di Bari, con sentenza del 16/01/2012, confermò la decisione di

primo grado.
Ricorre per cassazione l’imputato deducendo: 1) l’erronea
qualificazione giuridica del reato perché manca la prova che egli nel chiedere
alla P.O. danaro, per ottenere la restituzione di quanto rubatole, abbia agito
per conto dei ladri o solo perché a conoscenza dei fatti; conseguentemente il
reato doveva qualificarsi come truffa; 2) la mancanza di motivazione in ordine
alla congruità della pena.
Il ricorrente conclude, pertanto, per l’annullamento dell’impugnata
sentenza.
motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 606, comma 1, cod.
proc. pen., perché propone censure attinenti al merito della decisione
impugnata, congruamente giustificata.
Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione
non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la
migliore possibile ricostruzione dei fatti né deve condividerne la
giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia
compatibile con il senso comune e con “i limiti di una plausibile opinabilità di
apprezzamento”, secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Cass.
Sez. 4 sent. n. 47891 del 28.09.2004 dep. 10.12.2004 rv 230568; Cass. Sez.
5 sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745; Cass., Sez. 2^
sent. n. 2436 del 21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955).
Inoltre il ricorso è inammissibile anche per violazione dell’art. 591 lettera
c) in relazione all’art. 581 lettera c) cod. proc. pen., perché le doglianze sono
prive del necessario contenuto di critica specifica al provvedimento
impugnato, le cui valutazioni, ancorate a precisi dati fattuali trascurati nell’atto
2

di impugnazione, si palesano peraltro immuni da vizi logici o giuridici. Infatti
la Corte di appello – richiamando anche il contenuto della sentenza del
Tribunale — ha, con esaustiva, logica e non contraddittoria motivazione,
evidenziato tutte le ragioni dalle quali ricava la piena prova della penale
responsabilità del ricorrente per il reato di cui sopra (dichiarazioni della P.O.;
dichiarazioni dei testi, moglie e figlia della P.O.). Inoltre, la Corte di appello
non la truffa (si veda la logica motivazione alle pagine 2 e 3 dell’impugnata
sentenza, contrastata dal ricorrente solo con ricostruzioni ipotetiche e
alternative) citando anche un consolidato principio di questa Corte —
condiviso dal Collegio – secondo il quale integra il delitto di estorsione il fatto
di colui che chiede ed ottiene dal derubato il pagamento di una somma di
denaro come corrispettivo dell’attività di intermediazione posta in essere per
la restituzione del bene sottratto (del quale il Diaferio fornisce alla P.O. una
descrizione dettagliata; si veda pag. 3 impugnata sentenza) in quanto la
vittima subisce gli effetti di una minaccia implicita, e cioè quella della
mancata restituzione del bene, in mancanza del versamento della richiesta di
denaro a compenso dell’attività di intermediazione svolta (Sez. 2, Sentenza
n. 4565 del 02/12/2004 Ud. – dep. 08/02/2005 – Rv. 230908; Sez. 2,
Sentenza n. 6818 del 31/01/2013 Ud. dep. 12/02/2013 Rv. 254501). A
fronte di quanto sopra esposto, l’imputato contrappone solo generiche
contestazioni in fatto, che non tengono conto delle argomentazioni della
Corte di appello. In particolare non evidenzia alcuna illogicità o
contraddizione nella motivazione della Corte di appello allorchè conferma la
decisione del Tribunale. Si deve osservare che l’illogicità della motivazione,
come vizio denunciabile, deve essere percepibile ictu oculi, dovendo il
sindacato di legittimità essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza,
restando ininfluenti le minime incongruenze (che tra l’altro nel caso di specie
non si ravvisano). Inoltre, questa Corte Suprema ha più volte affermato il
principio, condiviso dal Collegio, che sono inammissibili i motivi di ricorso per
Cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni
argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto
di impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento
censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità, che conduce, ex art. 591,

spiega correttamente perché nel caso di specie sia ravvisabile l’estorsione e

comma primo, lett. c), cod. proc. pen. all’inammissibilità del ricorso (Si veda
fra le tante: Sez. 1, sent. n. 39598 del 30.9.2004 – dep. 11.10.2004 – rv
230634).
La Corte di appello ha, poi, ben evidenziato gli elementi che le hanno
fatto ritenere la pena irrogata congrua; pena che, tra l’altro, nel caso di
specie è stata determinata nel minimo edittale (e quindi la motivazione
Corte avesse usato le sole parole “pena congrua” o simili). In proposito
questa Suprema Corte ha, comunque, più volte affermato il principio —
condiviso dal Collegio – che la determinazione della misura della pena tra il
minimo e il massimo edittale rientra nell’ampio potere discrezionale del
giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato
globalmente gli elementi indicati nell’art. 133 cod. pen. (nel caso di specie
modalità e circostanze del fatto e la capacità a delinquere dell’imputato
desunta dal suo certificato penale; Sez. 4, Sentenza n. 41702 del 20/09/2004
Ud. – dep. 26/10/2004 Rv. 230278). Si deve rilevare, poi, che le valutazioni
di merito sono insindacabili nel giudizio di legittimità, quando il metodo di
valutazione sia conforme ai principi giurisprudenziali e l’argomentare scevro
da vizi logici, come nel caso di specie (Cass. pen. sez. un., 24 novembre
1999, Spina, 214794).
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere
condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché —
ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità — al pagamento a favore della Cassa delle ammende della
somma di mille euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi
dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.
Così deliberato in camera di consiglio, il 16/04/2013.

sarebbe stata sufficiente — come riconosce lo stesso ricorrente — pure se la

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