Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29111 del 23/04/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 29111 Anno 2014
Presidente: BIANCHI LUISA
Relatore: MONTAGNI ANDREA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
LOUATI MOURAD N. IL 05/08/1972
LEHAJIRI MOHAMMED N. IL 19/03/1981
avverso la sentenza n. 4608/2012 GIUDICE UDIENZA
PRELIMINARE di RAVENNA, del 17/10/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;

Data Udienza: 23/04/2014

Motivi della decisione
Louati Mourad ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del
G.i.p presso il Tribunale di Ravenna in data 17.10.2012, con la quale, ai sensi
dell’art. 444 cod. proc. pen., è stata applicata la pena concordata dalle parti in
ordine alle contestate violazioni dell’art. 73, d.P.R. n. 309/1990, in riferimento alla
cessione continuata ed alla detenzione di sostanza stupefacente del tipo cocaina.
La parte denuncia la carenza di motivazione: si duole del mancato
apprezzamento dei presupposti legittimanti la pronuncia di sentenza liberatoria ai

cui all’art. 74, comma 7, d.P.R. n. 309/1990.
Avverso la richiamata sentenza ha proposto ricorso per cassazione il
coimputato Lehajiri Mohammed dolendosi del mancato esame circa la sussistenza
dei presupposti che avrebbero consentito di prosciogliere il prevenuto ai sensi
dell’art. 129 cod. proc. pen.
I ricorsi che occupano, che è dato esaminare congiuntamente, sono
inammissibili.
Come noto, questa Suprema Corte ha ripetutamente affermato il principio
che l’obbligo della motivazione della sentenza non può non essere conformato alla
particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento: lo sviluppo delle
linee argomentative è necessariamente correlato all’esistenza dell’atto negoziale
con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti dedotti
nell’imputazione. Ciò implica che il giudizio negativo circa la ricorrenza di una delle
ipotesi di cui all’art. 129 cod. proc. pen. deve essere accompagnato da una
specifica motivazione solo nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti
emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non
punibilità, dovendo invece ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione
consistente nella enunciazione, anche implicita, che è stata compiuta la verifica
richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per la pronunzia di
proscioglimento ex art. 129 (Sez. U. 27 marzo 1992, Di Benedetto; Sez. U. 27
dicembre 1995, Serafino). Tale orientamento è stato concordemente accolto dalla
giurisprudenza successiva. Anche per ciò che riguarda gli altri tratti significativi
della decisione, che riguardano precipuamente la qualificazione giuridica del fatto,
la continuazione, l’esistenza e la comparazione delle circostanze, la congruità della
pena e la sua sospensione, la costante giurisprudenza di questa Corte, nel solco
delle enunciazioni delle Sezioni unite, ha affermato che la motivazione può ben
essere sintetica ed a struttura enunciativa, purché risulti che il giudice abbia
compiuto le pertinenti valutazioni. Né l’imputato può avere interesse a lamentare
una siffatta motivazione censurandola come insufficiente e sollecitandone una più

sensi dell’art. 129 cod. proc. pen. e del mancato riconoscimento dell’attenuante di

analitica, dal momento che la statuizione del giudice coincide esattamente con la
volontà pattizia del giudicabile.
D’altra parte, attesa la natura pattizia del rito, chi chiede la pena pattuita
rinuncia ad avvalersi della facoltà di contestare l’accusa. Ne consegue, come questa
Suprema Corte ha più volte avuto modo di affermare, che l’imputato non può
prospettare con il ricorso per cassazione censure che coinvolgono il patto dal
medesimo accettato. Deve poi osservarsi che il giudice, nel caso di specie, ha
espressamente considerato che non ricorrevano i presupposti per pronunciare

acquisiti atti di indagine e del contenuto dell’ordinanza applicativa di misura
cautelare nei confronti del Louati.
Si osserva poi, che l’entità delle pene applicate risulta congrua, anche in
considerazione delle sopravvenute modifiche normative.
Come noto, per effetto della sentenza della Corte Costituzionale del 12
febbraio 2014 n. 32, la disciplina in materia di sostanze stupefacenti che viene in
rilievo è quella prevista dal d.P.R. n. 309/1990, nella versione antecedente alle
modifiche introdotte dal di. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito con modificazioni
dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49, di talché la pena per le c.d. droghe pesanti, ai
sensi dell’art. 73, n. 309/1990, va da otto a sei anni di reclusione, oltre la multa.
Non di meno, atteso che i fatti si sono verificati nella vigenza della disciplina, di poi
dichiarata incostituzionale, la quale prevedeva la pena da sei a venti di anni di
reclusione, oltre la multa, la cornice edittale applicabile nel caso di specie risulta
comunque quella della reclusone da sei a venti anni, in applicazione del principio
della prevalenza della norma di più favorevole.
Segue, a norma dell’articolo 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti
al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 1.500,00 a
favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e ciascuno al versamento della somma di C 1.500,00 alla Cassa delle
Ammende.
Così deciso in Roma, in data 23 aprile 2014.

sentenza di proscioglimento, nei riguardi degli odierni ricorrenti, alla luce degli

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