Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29111 del 04/04/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 29111 Anno 2013
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: IASILLO ADRIANO

SENTENZA
Sui ricorsi proposti dall’Avvocato Massimo Calano, quale difensore di brio
Carmine (n. il 26/07/1962) e di Fusco Anna (n. il 09/06/1962), e dall’Avvocato
Antonio Di Blasio, quale difensore di Coppola Antonio (n. il 25/11/1971),
avverso la sentenza della Corte d’appello di L’Aquila, Sezione penale, in data
18/05/2012.
Sentita la relazione della causa fatta, in pubblica udienza, dal Consigliere
Adriano lasillo.
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, dottor Nicola Lettieri,
il quale ha concluso chiedendo l’inammissibilità dei ricorsi.

Data Udienza: 04/04/2013

Udito l’Avvocato Massimo Caiano — in proprio quale difensore di brio
Carmine e di Fusco Anna e anche in sostituzione dell’Avvocato Antonio Di
Blasio, difensore di Coppola Antonio – che ha concluso insistendo per
raccoglimento dei ricorsi.
OSSERVA:

Con sentenza del 15/04/2011, il G.I.P. del Tribunale di L’Aquila
dichiarò: brio Carmine responsabile del reato di associazione finalizzata al
traffico illecito di sostanze stupefacenti (art. 74, I comma, del D.P.R. 309/90)
e di vari reati di traffico e detenzione illecita di sostanza stupefacente (art. 73
del D.P.R. 309/90) e – unificati i reati ex art. 81 c.p. e con la riduzione per la
scelta del rito abbreviato — lo condannò alla pena di anni 14 di reclusione ed
€ 30.000,00 di multa; Fusco Anna e Coppola Antonio responsabili del reato
di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti (art. 74,
Il comma, del D.P.R. 309/90) e di vari reati di traffico e detenzione illecita di
sostanza stupefacente (art. 73 del D.P.R. 309/90) e – unificati i reati ex art. 81
c.p. e con la riduzione per la scelta del rito abbreviato — li condannò alla pena
di anni 7 di reclusione ed € 20.000,00 di multa ciascuno.
Avverso tale pronunzia gli imputati proposero gravame. La Corte
d’appello di L’Aquila, con sentenza del 18/05/2012, in riforma dell’impugnata
sentenza: assolse brio Carmine dai reati di cui ai capi E), G), N) —
limitatamente alla cessione di Tebaldi Luigi -, Q), R), S), AA) e AB) —
limitatamente all’accordo per la fornitura di 150 grammi settimanali di cocaina
— perché il fatto non sussiste e dai reati di cui ai capi F), H), L), ed M) per non
aver commesso il fatto e ricondotti i reati di cui ai capi B) e D) ad un’unica
condotta di cessione ed escluso quanto al capo AG) il riferimento alla
contestata continuazione rideterminò la pena in anni 13 e mesi 10 di
reclusione; assolse Fusco Anna dai reati di cui ai capi B), D) ed F — ritenuti i
fatti B) e D) riconducibili ad un’unica ipotesi di cessione —per non aver
commesso il fatto e rideterminò la pena in anni 6 e mesi 10 di reclusione;
assolse Coppola Antonio dal reato di cui al capo AA) perché il fatto non
sussiste e rideterminò la pena in anni 6, mesi 11 e giorni 10 di reclusione.
Confermò nel resto l’impugnata sentenza.
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Ricorre per Cassazione il difensore di lodo Carmine e Fusco Anna
eccependo che: la sentenza di primo grado andava annullata perché in molti
parti manchevole della motivazione e perché il Giudice di secondo grado
avendo dichiarato l’inutilizzabilità di alcune prove “ha utilizzato criteri di
valutazione differenti da quelli del Giudice di primo grado” e pertanto
“l’impianto motivazionale non può essere sovrapposto a quello di primo
grado tanto da costituire un unicum”; le intercettazioni sono inutilizzabili in

quanto la motivazione relativa agli indizi dei decreti intercettativi si fonda su
dichiarazioni dichiarate inutilizzabili; la motivazione è illogica allorchè ritiene
sussistente il reato associativo anziché il concorso di persone nel reato,
nonostante il breve lasso di tempo in cui si sono svolti i fatti e il non elevato
numero di episodi – di cui all’art. 73 D.P.R. 309/90 — per i quali sono stati
condannati i ricorrenti; inoltre non si condivide il riconosciuto ruolo di
promotore e organizzatore per brio; si è affermata la penale responsabilità
degli imputati per i reati di cui all’art. 73 D.P.R. 309/90 pur mancando la
prova dell’esistenza dell’oggetto (non si sarebbe accertata la specie e la
quantità della sostanza stupefacente sequestrata o di cui si parla nelle
intercettazioni); secondo i ricorrenti vanno ribadite le argomentazioni
dell’appello con le quali si chiedeva l’assoluzione per i reati per i quali sono
stati invece condannati (capi: B, N, I, AH, V, Z, AC, AD, AF, AG, AB, C, AL);
non è vi è motivazione per quanto riguarda il diniego delle attenuanti
generiche e per la determinazione della pena (in particolare per gli aumenti
ex art. 81 del c.p. e la relativa diminuzione della pena per i reati per i quali gli
imputati sono stati assolti)
Il difensore dei ricorrenti conclude, quindi, per l’annullamento
dell’impugnata sentenza.
Ricorre per Cassazione il difensore di Coppola Antonio eccependo che:
le intercettazioni sono inutilizzabili in quanto la motivazione relativa agli indizi
dei decreti intercettativi si fonda su dichiarazioni ritenute inutilizzabili;
l’imputato non poteva essere considerato un associato sia per il breve
periodo in cui il Coppola ha intrattenuto i rapporti con lo brio, sia perché dalle
intercettazioni emerge che il ricorrente è “un accanito consumatore di
cocaina”, quindi si poteva ravvisare un concorso nel reato ma non certo
l’associazione di cui all’art. 74 del D.P.R. 309/90; che andava effettuata la

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perizia tossicologica sulla sostanza stupefacente anche per verificare
l’applicabilità dell’attenuante di cui all’art. 73, V comma, del D.P.R. 309/90; la
motivazione per il diniego delle attenuanti generiche non ha tenuto conto che
il ricorrente non ha precedenti specifici e che è tossicodipendente.
Il difensore del ricorrente conclude, quindi, per l’annullamento

motivi della decisione

Il motivo — comune ad entrambi i ricorsi — con il quale si sostiene
l’inutilizzabilità delle intercettazioni in quanto la motivazione relativa agli indizi
dei decreti intercettativi si fonda su dichiarazioni ritenute inutilizzabili è
infondato e va, pertanto, rigettato. Infatti, in tema di prova non sussiste
l’inutilizzabilità derivata; pertanto non è inutilizzabile la prova che non
sarebbe stata scoperta senza l’utilizzazione della prova inutilizzabile. Invero,
questa Suprema Corte ha più volte affermato il principio — condiviso dal
Collegio — che l’operatività della garanzia di inutilizzabilità dei mezzi probatori
illegittimi è riservata al momento giurisdizionale, da intendersi non solo come
fase dibattimentale, ma come ogni fase o sede nella quale il giudice assume
le proprie decisioni; pertanto le informazioni assunte attraverso mezzi di
prova illegittimi, inutilizzabili per il giudice, possono essere utilizzate
legittimamente dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria per il
prosieguo delle indagini (in applicazione del citato principio, la S.C. ha
ritenuto legittimo il contenuto di intercettazioni regolarmente autorizzate di
un’utenza telefonica, individuata a seguito delle risultanze di una precedente
intercettazione già dichiarata inutilizzabile; Sez. 3, Sentenza n. 16499 del
10/02/2004 Cc. – dep. 07/04/2004 – Rv. 228545). Inoltre, in tema di
intercettazioni, il decreto autorizzativo di cui all’art. 267 cod. proc. pen. può
trovare il suo presupposto in qualsiasi notizia di reato, anche desunta da
precedenti intercettazioni inutilizzabili (fattispecie in cui il precedente decreto
autorizzativo era stato emesso dal giudice funzionalmente incompetente Sez.
6, Sentenza n. 47109 del 22/11/2007 Ud. – dep. 19/12/2007 – Rv. 238714;
Sez. 1, Sentenza n. 16293 del 02/03/2010 Ud. – dep. 27/04/2010 – Rv.
246656). Ed ancora l’inutilizzabilità degli esiti di intercettazioni telefoniche

dell’impugnata sentenza.

non preclude la possibilità di condurre indagini per l’accertamento dei fatti
reato eventualmente emersi dalle stesse, non operando, in materia di
inutilizzabilità, il principio, stabilito per le nullità dall’art. 185 cod. proc. pen.,
della trasmissibilità del vizio agli atti consecutivi a quello dichiarato nullo
(Sez. 1, Sentenza n. 12685 del 06/03/2008 Ud. – dep. 25/03/2008 – Rv.
239373). Infine, in tema di prova, non sussiste l’inutilizzabilità derivata
qualora siano disposte intercettazioni all’esito di intercettazioni inutilizzabili, in

quanto ciascun decreto autorizzativo è dotato di autonomia e può ricevere
impulso da qualsiasi notizia di reato, ancorché desunta da precedenti
intercettazioni inutilizzabili. Ne consegue che il vizio di cui sia affetto
l’originario decreto intercettativo non si comunica automaticamente a quelli
successivi, correttamente adottati e che, pertanto, non è inutilizzabile la
prova che non sarebbe stata scoperta senza l’utilizzazione della prova
inutilizzabile (Sez. 5, Sentenza n. 4951 del 05/11/2010 Cc. – dep.
10/02/2011 – Rv. 249240).
Manifestamente infondate sono le doglianze relative ai mancati
accertamenti sulla specie e la quantità della sostanza stupefacente
sequestrata o di cui si parla nelle intercettazioni. Invero la Corte di appello ha
fornito, per ogni reato di cui all’art. 73 del D.P.R. 309/90, adeguata
motivazione sulla sussistenza dello stesso sia in relazione alla responsabilità
di ciascuno imputato sia in ordine al tipo e quantità di sostanza stupefacente
illegalmente detenuto e ceduto. Inoltre, la Corte di appello nella parte
generale della sentenza (pagine 15 e 16) ha anche spiegato perché la
doglianza di cui sopra era infondata richiamando per di più la condivisa
giurisprudenza di questa Corte sul punto. In particolare si deve rilevare che in
tema di spaccio di stupefacenti, per stabilire l’effettiva natura stupefacente di
una sostanza non è necessario ricorrere ad una perizia tossicologica,
essendo del tutto sufficienti altri mezzi di prova, quali le dichiarazioni
testimoniali, gli accertamenti di polizia (nella specie affrontato dalla sentenza
di cui sotto l’accertamento sul tipo di sostanza commerciata o da importare è
stato effettuato principalmente in base alle intercettazioni telefoniche; nel
caso di cui ci occupiamo l’accertamento si fonda sulle intercettazioni ma
anche sulle confessioni e sui sequestri effettuati dalla P.G.; Sez. 5, Sentenza
n. 5130 del 04/11/2010 Ud. – dep. 11/02/2011 – Rv. 249703. Conforme: Sez.
5

3, Sentenza n. 28556 del 21/06/2012 Ud. – dep. 17/07/2012 – Rv. 253149).
Quanto sopra conferma, ovviamente, anche l’inammissibilità della generica
doglianza sul diniego dell’attenuante di cui al quinto comma dell’art. 73
D.P.R. 309190 dell’imputato Coppola.
Manifestamente infondata è anche la reiterata richiesta di dichiarazione
della nullità della sentenza di primo grado per la mancanza di motivazione in
che le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si
integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al
quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della
motivazione (Sez. 3, Sentenza n. 4700 del 14/02/1994 Ud. – dep. 23/04/1994
– Rv. 197497). Inoltre, questa Suprema Corte ha più volte affermato che la
mancanza assoluta di motivazione della sentenza (non è, certo, questo il
caso) non rientra tra i casi, tassativamente previsti dall’art. 604 cod. proc.
pen., per i quali il giudice di appello deve dichiarare la nullità della sentenza
appellata e trasmettere gli atti al giudice di primo grado, ben potendo lo
stesso provvedere, in forza dei poteri di piena cognizione e valutazione del
fatto, a redigere, anche integralmente, la motivazione mancante (fattispecie
in tema di omessa redazione della motivazione, con la pronuncia del solo
dispositivo di condanna; Sez. 6, Sentenza n. 26075 del 08/06/2011 Ud. dep. 04/07/2011 – Rv. 250513).
Il resto dei ricorsi è inammissibile per violazione dell’art. 606, comma 1,
cod. proc. pen., perché propone censure attinenti al merito della decisione
impugnata, congruamente giustificata.
Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione
non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la
migliore possibile ricostruzione dei fatti né deve condividerne la
giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia
compatibile con il senso comune e con “i limiti di una plausibile opinabilità di
apprezzamento”, secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Cass.
Sez. 4^ sent. n. 47891 del 28.09.2004 dep. 10.12.2004 rv 230568; Cass.
Sez. 5^ sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745; Cass., Sez.
2^ sent. n. 2436 del 21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955).

molte parti. Infatti, la Corte di appello ha ben evidenziato (si veda pagina 14)

Inoltre, il resto dei ricorsi è inammissibile anche per violazione dell’art.
591 lettera c) in relazione all’art. 581 lettera c) cod. proc. pen. perché le
doglianze (sono le stesse affrontate dalla Corte di appello) sono prive del
necessario contenuto di critica specifica al provvedimento impugnato, le cui
valutazioni, ancorate a precisi dati fattuali trascurati nell’atto di impugnazione,
si palesano peraltro immuni da vizi logici o giuridici. Infatti la Corte territoriale
ha con esaustiva, logica e non contraddittoria motivazione, evidenziato tutte

le ragioni dalle quali ricava la responsabilità degli imputati per i reati di cui
sopra (esito intercettazioni, correttamente interpretate; accertamenti e
sequestri effettuati dalla P.G., che confermano anche la corretta
interpretazione delle intercettazioni; ammissioni del ricorrente brio;
dichiarazioni di persone ritenute inutilizzabili solo per alcuni punti e utilizzabili
per altri: si veda, ad esempio, per quanto riguarda le dichiarazioni di Faenza
e Sambucini ritenute, correttamente, utilizzabili per un punto specifico a
pagina 67 impugnata sentenza). In particolare i Giudici di merito hanno bene
evidenziato: perché nel caso di specie è ravvisabile l’associazione a
delinquere e non un concorso di persone nella commissione di più reati; il
ruolo che ogni associato ha rivestito all’interno dell’associazione e la loro
consapevolezza di appartenere a tale associazione alla quale fornivano il
loro contributo.
A fronte di tutto quanto esposto dal giudice di merito (si veda l’ampia e
condivisa motivazione della Corte di appello: per quanto riguarda i reati di cui
all’art. 73 D.P.R. 309/90, da pagina 16 a 62 e per l’associazione di cui all’art.
74 D.P.R. 309/90, da pagina 62 a pagina 73) i ricorrenti contrappongono,
quindi, unicamente generiche contestazioni in fatto, con le quali, in realtà, si
propone solo una non consentita — in questa sede di legittimità — diversa
lettura del materiale probatorio raccolto e senza evidenziare alcuna
manifesta illogicità o contraddizione della motivazione. Si deve, in proposito,
osservare che l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve
essere percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità essere limitato
a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime
incongruenze (che tra l’altro nel caso di specie non si ravvisano). Inoltre, le
censure dei ricorrenti non tengono conto delle argomentazioni della Corte di
appello. In proposito questa Corte Suprema ha più volte affermato il principio,
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condiviso dal Collegio, che sono inammissibili i motivi di ricorso per
Cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni
argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto
di impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento
censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità, che conduce, ex art. 591,
comma primo, lett. c), cod. proc. pen. all’inammissibilità del ricorso (Si veda
230634).
Inammissibili sono anche le doglianze sul diniego delle attenuanti
generiche e sulla congruità della pena. Infatti la Corte territoriale valuta
correttamente i vari elementi fissati dall’articolo 133 del c.p. per la
concessione delle attenuanti generiche. Questa suprema Corte ha più volte
affermato che ai fini dell’applicabilità delle circostanze attenuanti generiche di
cui all’art. 62 bis cod. pen., il Giudice deve riferirsi ai parametri di cui all’art.
133 del codice penale, ma non è necessario, a tale fine, che li esamini tutti,
essendo sufficiente che specifichi a quale di esso ha inteso fare riferimento
(nel caso di specie l’assenza di elementi utili ai fini del riconoscimento di tali
attenuanti, la gravità del fatto e/o la personalità dell’imputato come ben
specificato per ogni singolo imputato; si veda sul punto ad esempio Sez. 2,
Sentenza n. 2285 del 11/10/2004 Ud. – dep. 25/01/2005 – Rv. 230691).
La Corte di appello ha, infine, ben evidenziato gli elementi che le hanno
fatto ritenere la pena irrogata congrua. In proposito questa Suprema Corte ha
più volte affermato il principio — condiviso dal Collegio – che la
determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale
rientra nell’ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il
suo compito anche se abbia valutato globalmente gli elementi indicati nell’art.
133 cod. pen. (quelli di cui sopra; Sez. 4, Sentenza n. 41702 del 20/09/2004
Ud. – dep. 26/10/2004 – Rv. 230278). Inoltre, la specifica e dettagliata
motivazione in ordine alla quantità di pena irrogata, specie in relazione alle
diminuzioni o aumenti per circostanze o per la continuazione (tutto quanto
sopra esposto vale anche per la generica doglianza sulla pena determinata
ex art. 81 del c.p. da brio e Fusco) è necessaria soltanto se la pena sia di
gran lunga superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti
essere sufficiente a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod.

fra le tante: Sez. 1, sent. n. 39598 del 30.9.2004 – dep. 11.10.2004 rv

pen. le espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo
aumento”, come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a
delinquere (Sez. 2, Sentenza n. 36245 del 26/06/2009 Ud. – dep. 18/09/2009
– Rv. 245596). Nel caso di specie la pena base è stata individuata per tutti gli
imputati nel minimo edittale previsto per l’art. 74 del D.P.R. 309/90 e gli
aumenti per i reati di cui all’art. 73 D.P.R. 309/90 sono stati molto contenuti.
rigetta i ricorsi, gli imputati che li hanno proposti devono essere condannati al
pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Così deliberato in camera di consiglio, il 04/04/2013.

Il Consigliere estensore
Dottor Adriano I sillp

Il Presklente
D ttor Franclandanese

Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che

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