Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29109 del 04/04/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 29109 Anno 2013
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: IASILLO ADRIANO

SENTENZA
Sul ricorso proposto dall’Avvocato Nicola Giribaldi, quale difensore di Benali
Mohamed (n. il 28/12/1970), avverso la sentenza della Corte di Appello di
Firenze, Il Sezione penale, in data 24/10/2011.
Sentita la relazione della causa fatta, in pubblica udienza, dal Consigliere
Adriano
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, dottor Nicola Lettieri,
il quale ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.

OSSERVA:

Data Udienza: 04/04/2013

Con sentenza del 09/07/2008, il Tribunale di Livorno dichiarò Benali
Mohamed responsabile del reato di ricettazione (di un ciclomotore e del
contrassegno identificativo) e — con l’attenuante di cui al secondo comma
dell’art. 648 del c.p. – lo condannò alla pena di mesi 6 di reclusione ed €
300,00 di multa.
Avverso tale pronunzia l’imputato propose gravame ma la Corte di
primo grado.
Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato deducendo l’errata
applicazione della legge penale. Invero, non vi è alcuna prova che l’imputato
fosse consapevole della provenienza furtiva del ciclomotore e del
contrassegno identificativo. Quindi tutt’al più poteva rispondere del reato di
incauto acquisto (a tal proposito ricorda che il dolo eventuale, che potrebbe
ravvisarsi nel caso di specie, non è applicabile per la ricettazione). Il
difensore dell’imputato si duole, infine, per la mancanza e illogicità della
motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio e al diniego dell’attenuante
di cui all’art. 62 n. 4 del c.p. e delle attenuanti generiche.
Il difensore del ricorrente conclude, pertanto, per l’annullamento
dell’impugnata sentenza.
motivi della decisione
La doglianza relativa alla carenza di motivazione in ordine alla
sussistenza dell’elemento psicologico e alla mancata derubricazione del
delitto di cui all’art. 648 del c.p. nella contravvenzione prevista dall’ari 712
del c.p. è manifestamente infondata. Infatti, la Corte territoriale ha con
esaustiva, logica e non contraddittoria motivazione, evidenziato tutti i motivi
dai quali desume la piena responsabilità dell’imputato per il reato di cui
sopra. A solo titolo di esempio, appare opportuno ricordare che la Corte di
appello — dopo aver attentamente analizzato le dichiarazione dei testi – ha
sottolineato che il ricorrente non ha mai fornito una giustificazione plausibile
sul possesso del motociclo e del contrassegno identificativo di provenienza
delittuosa; inoltre, evidenzia correttamente il comportamento dell’imputato
che, inseguito dalla P.G. per altro fatto — spaccio di sostanza stupefacente —,

appello di Firenze, con sentenza del 24/10/2011, confermò la decisione di

si dà alla fuga dopo aver nascosto il motociclo in un cespuglio (si veda
pagina 4 dell’impugnata sentenza). Come ben rilevato dal Giudice di merito,
questa Suprema Corte ha, in proposito, più volte affermato il principio condiviso dal Collegio – che ai fini della configurabilità del reato di
ricettazione, la prova dell’elemento soggettivo può essere raggiunta anche
sulla base dell’omessa – o non attendibile – indicazione della provenienza
occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede (Sez. 2,
Sentenza n. 2436 del 27/02/1997 Ud. – dep. 13/03/1997 – Rv. 207313; Sez.
2, Sentenza n. 16949 del 27/02/2003 Ud. dep. 10/04/2003 – Rv. 224634). A
proposito della dissertazione del difensore del ricorrente sul duolo eventuale
si rammenta – in conformità a precedenti arresti di questa sezione – che si
configura il reato di ricettazione, sotto il profilo del dolo eventuale,
ogniqualvolta l’agente si è posto il quesito circa la legittima provenienza della
“res” risolvendolo nel senso dell’indifferenza della soluzione; si configura
invece l’ipotesi di cui all’art. 712 c.p. quando il soggetto ha agito con
negligenza nel senso che, pur sussistendo oggettivamente il dovere di
sospettare circa l’illecita provenienza dell’oggetto, egli non si è posto il
problema ed ha, quindi, colposamente realizzato la condotta vietata (Cass.
pen., Sez. 2, 15/01/2001, n. 14170). In sostanza nel delitto di ricettazione è
ravvisabile il dolo eventuale quando la situazione fattuale – nella valutazione
operata dal giudice di merito in conformità alle regole della logica e
dell’esperienza – sia tale da far ragionevolmente ritenere che non vi sia stata
una semplice mancanza di diligenza nel verificare la provenienza della “res”,
ma una consapevole accettazione del rischio che la cosa acquistata o
ricevuta fosse di illecita provenienza (Sez. 2, Sentenza n. 45256 del
22/11/2007 Ud. dep. 05/12/2007 – Rv. 238515; Sez. Un. Sentenza n.
12433 del 26/11/2009 Ud. – dep. 30/03/2010 – Rv. 246324).
Ciò premesso, occorre osservare che la Corte di appello ha
puntualizzato di ravvisare il dolo diretto tenendo conto proprio della mancata
giustificazione del possesso del bene e del comportamento del Benali. Si
osserva, in proposito, che le valutazioni di merito sono insindacabili nel
giudizio di legittimità, quando il metodo di valutazione delle prove sia
conforme ai principi giurisprudenziali e l’argomentare scevro da vizi logici,

della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di

come nel caso di specie. (Cass. pen. sez. un., 24 novembre 1999, Spina,
214794).
Quanto sopra spiega, con evidenza, anche perché la Corte territoriale
non abbia ravvisato il reato di cui all’articolo 712 del c.p. e perché non vi sia
la necessità di ulteriore spiegazione sul punto, oltre a quella esaustiva fornita
dal Giudice di merito. Infatti, tale deduzione difensiva è logicamente
incompatibile con la decisione adottata e pertanto non era neppure

necessario che fosse confutata esplicitamente (Sez. 4, Sentenza n. 1149 del
24/10/2005 Ud. dep. 13/01/2006 – Rv. 233187). A tal proposito questa
Suprema Corte ha, infatti, più volte, affermato il principio — condiviso dal
Collegio — che la regola della “concisa esposizione dei motivi di fatto e di
diritto su cui la decisione è fondata”, enunciata dall’art. 546, comma primo,
lettera e), cod. proc. pen., rende non configurabile il vizio di legittimità
allorquando nella motivazione il giudice abbia dato conto soltanto delle
ragioni in fatto e in diritto che sorreggono il suo convincimento, in quanto
quelle contrarie devono considerarsi implicitamente disattese perché del tutto
incompatibili con la ricostruzione del fatto recepita e con le valutazioni
giuridiche sviluppate. (Sez. 4, Sentenza n. 36757 del 04/06/2004 Ud. – dep.
17/09/2004 – Rv. 229688).
A fronte di quanto sopra il difensore del ricorrente — come si è già detto
– contrappone solo contestazioni, che non tengono conto delle
argomentazioni della Corte territoriale e che si fondono solo su mere
congetture. In particolare non evidenzia alcuna illogicità o contraddizione
nella motivazione della Corte territoriale allorchè conferma la decisione del
Tribunale. Si deve osservare, in proposito, che l’illogicità della motivazione,
come vizio denunciabile, deve essere percepibile ictu oculi, dovendo il
sindacato di legittimità essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza,
restando ininfluenti te minime incongruenze (che tra l’altro nel caso di specie
non si ravvisano). Inoltre, questa Corte Suprema ha più volte affermato il
principio, condiviso dal Collegio, che sono inammissibili i motivi di ricorso per
Cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni
argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto
di impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento
censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità, che conduce, ex art. 591,
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comma primo, lett. c), cod. proc. pen. all’inammissibilità del ricorso (Si veda
fra le tante: Sez. 1, sent. n. 39598 del 30.9.2004 – dep. 11.10.2004 – rv
230634).
Per quanto riguarda l’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 si deve rilevare
che nell’appello il difensore dell’imputato non ha sollevato alcuna questione
sul punto che, quindi, non può essere proposta per la prima volta avanti a
Per quanto riguarda il diniego delle attenuanti generiche si deve rilevare
che entrambi i Giudici di merito hanno ritenuto congrua la pena irrogata (non
oggetto, tra l’altro, di contestazione) tenendo conto della personalità
dell’imputato. Si deve, allora, ricordare quale è la funzione delle attenuanti
generiche. In proposito questa Corte di Cassazione ha stabilito il principio —
condiviso dal Collegio — che in tema di attenuanti generiche, posto che la
ragion d’essere della relativa previsione normativa è quella di consentire al
giudice un adeguamento, in senso più favorevole all’imputato, della sanzione
prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili
connotazioni tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso
responsabile, ne deriva che la meritevolezza di detto adeguamento non può
mai essere data per scontata o per presunta, sì da dar luogo all’obbligo, per il
giudice, ove questi ritenga invece di escluderla, di giustificarne sotto ogni
possibile profilo, l’affermata insussistenza. Al contrario, è la suindicata
meritevolezza che necessita essa stessa, quando se ne affermi l’esistenza,
di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli elementi che
sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento
sanzionatorio; trattamento la cui esclusione risulta, per converso,
adeguatamente motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di
specifica richiesta dell’imputato volta all’ottenimento delle attenuanti in
questione, indichi delle plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta
richiesta, senza che ciò comporti tuttavia la stretta necessità della
contestazione o della invalidazione degli elementi sui quali la richiesta stessa
si fonda (Sez. 1, Sentenza n. 11361 del 19/10/1992 Ud. – dep. 25/11/1992 Rv. 192381; Sez. 2, Sentenza n. 2769 del 02/12/2008 Ud. – dep. 21/01/2009
– Rv. 242709). Inoltre, l’obbligo di motivazione in materia di circostanze
attenuanti generiche qualifica la decisione circa la sussistenza delle

questa Corte di legittimità.

condizioni per concederle e non anche la decisione opposta (Sez. 2,
Sentenza n. 38383 del 10/07/2009 Ud. – dep. 01/10/2009 – Rv. 245241).
Infine, le circostanze attenuanti generiche hanno lo scopo di estendere le
possibilità di adeguamento della pena in senso favorevole all’imputato in
considerazione di situazioni e circostanze che effettivamente incidano
sull’apprezzamento dell’entità del reato e della capacità a delinquere dello
stesso, sicché il riconoscimento di esse richiede la dimostrazione di elementi

di segno positivo (Sez. 3, Sentenza n. 19639 del 27/01/2012 Ud. – dep.
24/05/2012 Rv. 252900).
Tanto premesso si deve rilevare che la Corte territoriale — al contrario di
quanto sostenuto nel ricorso – valuta, comunque, correttamente i vari
elementi fissati dall’articolo 133 del c.p. per la concessione delle attenuanti
generiche, fornendone adeguata motivazione; quindi anche tale doglianza è
manifestamente infondata. Questa suprema Corte ha più volte affermato che
ai fini dell’applicabilità delle circostanze attenuanti generiche di cui all’art. 62
bis cod. pen., il Giudice deve riferirsi ai parametri di cui all’art. 133 del codice
penale, ma non è necessario, a tale fine, che li esamini tutti, essendo
sufficiente che specifichi a quale di esso ha inteso fare riferimento (nel caso
di specie — per quanto sopra osservato – l’assenza di elementi utili ai fini del
riconoscimento di tali attenuanti, la circostanza che il reato de quo è stato
accertato nel corso di un arresto per la commissione di altri gravi reati e i
numerosi precedenti penali anche specifici; si veda sul punto ad esempio
Sez. 2, Sentenza n. 2285 del 11/10/2004 Ud. – dep. 25/01/2005 – Rv.
230691; Sez. 6, Sentenza n. 34364 del 16/06/2010 Ud. – dep. 23/09/2010 Rv. 248244).
Inoltre, sempre secondo i principi di questa Corte — condivisi dal
Collegio – ai fini dell’assolvimento dell’obbligo della motivazione in ordine al
diniego della concessione delle attenuanti generiche, il giudice non è tenuto
a prendere in considerazione tutti gli elementi prospettati dall’imputato
essendo sufficiente che egli spieghi e giustifichi l’uso del potere discrezionale
conferitogli dalla legge con l’indicazione delle ragioni ostative alla
concessione delle circostanze, ritenute di preponderante rilievo. Ad esempio
in un caso posto all’attenzione di questa Suprema Corte – che ha considerato
corretta la relativa motivazione – il giudice di merito aveva ritenuto che non
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potessero concedersi le attenuanti generiche in relazione alla gravità del fatto
e ai precedenti penali dell’imputato (Si veda Sez. 1, Sentenza n. 3772 del
11/01/1994 Ud. dep. 31/03/1994 – Rv. 196880; Sez. 1, Sentenza n. 1666
del 11/12/1996 Ud. -dep. 21/02/1997 – Rv. 206936; Sez. 2, Sentenza n. 106
del 04/11/2009 Ud. – dep. 07/01/2010 – Rv. 246045). Infine, per la
concessione o il diniego delle circostanze attenuanti generiche il giudice può
quello che ritiene prevalente ed atto a determinare o meno il riconoscimento
del beneficio, sicché anche un solo elemento attinente alla personalità del
colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso può
essere sufficiente in tal senso (Sez. 2, Sentenza n. 3609 del 18/01/2011 Ud.
– dep. 01/02/2011 – Rv. 249163).
Pertanto, uniformandosi ai principi di diritto di cui sopra – che il Collegio
condivide – va dichiarata inammissibile l’impugnazione.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere
condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché —
ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità — al pagamento a favore della Cassa delle ammende della
somma di mille euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi
dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.

Così deliberato in camera di consiglio, il 04104/2013.

limitarsi a prendere in esame, tra gli elementi indicati dall’art. 133 cod. pen.,

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