Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29106 del 23/04/2014


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 29106 Anno 2014
Presidente: BIANCHI LUISA
Relatore: MONTAGNI ANDREA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
CEESAY FODAY N. IL 28/01/1983
avverso la sentenza n. 14414/2012 TRIBUNALE di MILANO, del
11/01/2013
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI;

Data Udienza: 23/04/2014

Motivi della decisione
Ceesay Foday ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del
Tribunale di Milano in data 11.01.2013, con la quale, ai sensi dell’art. 444 cod.
proc. pen., è stata applicata la pena concordata dalle parti di mesi cinque e giorni
dieci di reclusione oltre la multa, in ordine al reato di cui all’art. 73, comma V,
d.P.R. n. 309/1990, afferente alla cessione di una dose di cocaina.
La parte denuncia la carenza di motivazione e si duole del mancato
apprezzamento dei presupposti legittimanti la pronuncia di sentenza liberatoria ai

La doglianza dedotta dall’esponente è inammissibile.
Come noto, questa Suprema Corte ha ripetutamente affermato il principio
che l’obbligo della motivazione della sentenza non può non essere conformato alla
particolare natura giuridica della sentenza di patteggiamento: lo sviluppo delle
linee argomentative è necessariamente correlato all’esistenza dell’atto negoziale
con cui l’imputato dispensa l’accusa dall’onere di provare i fatti dedotti
nell’imputazione. Ciò implica che il giudizio negativo circa la ricorrenza di una delle
ipotesi di cui all’art. 129 cod. proc. pen. deve essere accompagnato da una
specifica motivazione solo nel caso in cui dagli atti o dalle deduzioni delle parti
emergano concreti elementi circa la possibile applicazione di cause di non
punibilità, dovendo invece ritenersi sufficiente, in caso contrario, una motivazione
consistente nella enunciazione, anche implicita, che è stata compiuta la verifica
richiesta dalla legge e che non ricorrono le condizioni per la pronunzia di
proscioglimento ex art. 129 (Sez. U. 27 marzo 1992, Di Benedetto; Sez. U. 27
dicembre 1995, Serafino). Tale orientamento è stato concordemente accolto dalla
giurisprudenza successiva. Anche per ciò che riguarda gli altri tratti significativi
della decisione, che riguardano precipuamente la qualificazione giuridica del fatto,
la continuazione, l’esistenza e la comparazione delle circostanze, la congruità della
pena e la sua sospensione, la costante giurisprudenza di questa Corte, nel solco
delle enunciazioni delle Sezioni unite, ha affermato che la motivazione può ben
essere sintetica ed a struttura enunciativa, purché risulti che il giudice abbia
compiuto le pertinenti valutazioni. Né l’imputato può avere interesse a lamentare
una siffatta motivazione censurandola come insufficiente e sollecitandone una più
analitica, dal momento che la statuizione del giudice coincide esattamente con la
volontà pattizia del giudicabile.
D’altra parte, attesa la natura pattizia del rito, chi chiede la pena pattuita
rinuncia ad avvalersi della facoltà di contestare l’accusa. Ne consegue, come questa
Suprema Corte ha più volte avuto modo di affermare, che l’imputato non può
prospettare con il ricorso per cassazione censure che coinvolgono il patto dal
medesimo accettato. Deve poi osservarsi che il giudice, nel caso di specie, ha

sensi dell’art. 129 cod. proc. pen.

espressamente considerato che non ricorrevano i presupposti per pronunciare
sentenza di proscioglimento, alla luce del verbale di arresto e degli altri acquisiti al
fascicolo.
Si osserva poi, che l’entità della pena risulta congrua, anche in
considerazione delle sopravvenute modifiche normative.
Come noto, per effetto della sentenza della Corte Costituzionale del 12
febbraio 2014 n. 32, la disciplina in materia di sostanze stupefacenti che viene in
rilievo è quella prevista dal d.P.R. n. 309/1990, nella versione antecedente alle

dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49, di talché la pena per le c.d. droghe pesanti, ai
sensi dell’art. 73, comma V, d.P.R. n. 309/1990, va da uno a sei anni di reclusione,
oltre la multa.
Nel caso di specie è stata infatti applicata l’ipotesi di cui all’art. 73, comma V,
d.P.R. n. 309/1990, in riferimento alla cessione di sostanza stupefacente di tipo
cocaina. Devono allora richiamarsi pure le modifiche introdotte all’art. 73, comma
V, cit., dall’art. 2, comma 1, dl. 23 dicembre 2013 n. 146, convertito con
modificazioni dall’art. 1, comma 1, della legge 21 febbraio 2014, n.10. Ai fini di
interesse, si rileva che a seguito delle richiamate modifiche è oggi prevista, per
l’ipotesi di cui all’art. 73, comma V, cit., la pena della reclusione da uno a cinque
anni, oltre la multa. Come si vede, il minimo della pena detentiva risulta
immodificato, anche rispetto alla più favorevole disciplina dettata dall’art. 73,
comma V, d.P.R. n. 309/1990, a seguito della novella del 2013.
L’ordine di considerazioni che precede induce conclusivamente a rilevare che
le sopravvenute modifiche alla cornice edittale di riferimento non risultano rilevanti,
rispetto alla pena inflitta nel caso di specie, poiché i giudici di merito hanno fissato
la pena base in misura corrispondente al minimo edittale.
Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di C 1.500,00 in
favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di C 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, in data 23 aprile 2014.

modifiche introdotte dal d.l. 30 dicembre 2005, n. 272, convertito con modificazioni

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