Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29106 del 04/04/2013


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 29106 Anno 2013
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: IASILLO ADRIANO

SENTENZA
Sul ricorso proposto dall’Avvocato Guido Contestabile, quale difensore di
Napoli Giuseppe (n.1’08/06/1953), avverso la sentenza della Corte di Appello
di Reggio Calabria, Sezione penale, in data 24/05/2012.
Sentita la relazione della causa fatta, in pubblica udienza, dal Consigliere
Adriano lasillo.
Udita la requisitoria del Sostituto Procuratore Generale, dottor Nicola Lettieri,
il quale ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
OSSERVA:
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Data Udienza: 04/04/2013

Con sentenza del 24106/2010, il Tribunale di Palmi — Sezione distaccata
di Cinquefrondi – dichiarò Napoli Giuseppe responsabile del reato di tentata
truffa aggravata ai danni dell’INPS e lo condannò alla pena di anni 1 di
reclusione ed E 600,00 di multa.
Avverso tale pronunzia l’imputato propose gravame ma la Corte di
appello di Reggio Calabria, con sentenza del 24/05/2012, confermò la
decisione di primo grado.

Ricorre per cassazione il difensore dell’imputato deducendo la
manifesta illogicità della motivazione perché gli indizi raccolti non sono gravi,
precisi e concordanti. Invero sottolinea che gli elementi acquisiti non
consentono di escludere che vi sia stato un rapporto di lavoro effettivo e che
l’imputato abbia svolto le sue mansioni (infatti alcuni agricoltori hanno
dichiarato di aver conferito gli agrumi alla ditta del datore di lavoro
dell’imputato e non è dato sapere chi tra i vari dipendenti denunciati dalla
Tirrenoagrumi 38 per il 2004 e 45 per il 2005 — abbia effettivamente
lavorato); inoltre non è certo che sia stato proprio l’imputato — e non altri — a
presentare domanda all’INPS per l’ottenimento delle prestazioni previdenziali
che l’INPS avrebbe dovuto erogare al Napoli se fosse stato effettivamente
dipendente della ditta Tirrenoagrumi come bracciante agricolo per l’anno
agrario 2005.
Il difensore del Napoli conclude, pertanto, per l’annullamento
dell’impugnata sentenza.

motivi della decisione

Il ricorso è inammissibile per violazione dell’art. 606 comma 1 cod. proc.
pen., perché propone censure attinenti al merito della decisione impugnata,
congruamente giustificata.
Infatti, nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione
non deve stabilire se la decisione di merito proponga effettivamente la
migliore possibile ricostruzione dei fatti né deve condividerne la
giustificazione, ma deve limitarsi a verificare se questa giustificazione sia
compatibile con il senso comune e con “i limiti di una plausibile opinabilità di
apprezzamento”, secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Cass.

2

Sez. 4^ sent. n. 47891 del 28.09.2004 dep. 10.12.2004 rv 230568; Cass.
Sez. 5^ sent. n. 1004 del 30.11.1999 dep. 31.1.2000 rv 215745; Cass., Sez.
2^ sent. n. 2436 del 21.12.1993 dep. 25.2.1994, rv 196955).
Inoltre il ricorso è inammissibile anche per violazione dell’art. 591 lettera
c) in relazione all’art. 581 lettera c) cod. proc. pen., perché le doglianze (sono
le stesse affrontate dalla Corte di appello) sono prive del necessario
ancorate a precisi dati fattuali trascurati nell’atto di impugnazione, si
palesano peraltro immuni da vizi logici o giuridici. Infatti la Corte territoriale,
richiamando anche la sentenza di primo grado, ha con esaustiva, logica e
non contraddittoria motivazione, evidenziato tutte le ragioni dalle quali
desume la responsabilità dell’imputato per il reato di cui sopra. In particolare
evidenzia: gli accertamenti effettuati dall’INPS; le dichiarazioni dei testi
escussi; la documentazione acquisita; la circostanza che alla domanda
presentata all’INPS fossero allegati documenti dei quali solo l’imputato
poteva averne la disponibilità; l’interesse esclusivo dell’imputato a presentare
la documentazione relativa alla fittizia prestazione di lavoro per poter, così,
percepire indebite prestazioni da parte dell’INPS.
A fronte di tutto ciò il ricorrente contrappone solo generiche doglianze in
fatto. In particolare non evidenzia alcuna illogicità o contraddizione nella
motivazione della Corte di appello allorchè conferma la decisione del
Tribunale. Si deve osservare, in proposito, che l’illogicità della motivazione,
come vizio denunciabile, deve essere percepibile ictu oculi, dovendo il
sindacato di legittimità essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza,
restando ininfluenti le minime incongruenze (che tra l’altro nel caso di specie
non si ravvisano). Inoltre, questa Corte Suprema ha più volte affermato il
principio, condiviso dal Collegio, che sono inammissibili i motivi di ricorso per
Cassazione quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni
argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto
di impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento
censurato, senza cadere nel vizio di aspecificità, che conduce, ex art. 591,
comma primo, lett. c), cod. proc. pen. all’inammissibilità del ricorso (Si veda
fra le tante: Sez. 1, sent. n. 39598 del 30.9.2004 – dep. 11.10.2004 – rv
230634).

contenuto di critica specifica al provvedimento impugnato, le cui valutazioni,

Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che
dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere
condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché —
ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità — al pagamento a favore della Cassa delle ammende della
somma di mille euro, così equitativamente fissata in ragione dei motivi

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.

Così deliberato in camera di consiglio, il 04/04/2013.

Il Consigliere estensore
Dottor Adrianolt ib

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Il Presidente
Dottor Franco Fiandanese

dedotti.

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