Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29096 del 03/05/2013


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 29096 Anno 2013
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: SARNO GIULIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CALVI CLAUDIO N. IL 17/09/1953
avverso l’ordinanza n. 386/2012 TRIB. LIBERTA’ di FIRENZE, del
04/05/2012
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. GIULIO SARNO;
19e/sentite le conclusioni del PG Dott.

Uditi difensor Avv.;

Data Udienza: 03/05/2013

1. Con l’ordinanza in epigrafe il tribunale del riesame di Firenze, accogliendo l’appello
proposto dal procuratore della Repubblica avverso l’ordinanza del giudice per le
indagini preliminari del tribunale di Livorno con la quale era stata respinta la richiesta
di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere, disponeva la misura
coercitiva degli arresti dorniciliari nei confronti di Calvi Claudio.
Quest’ultimo risulta sottoposto ad indagini, unitamente a Filippi Maria Giorgia, per i
reati di cui agli articoli 99 commi 3 e 4, 81, 110, 483 del codice penale e 11 comma 1
capoverso divo 74/2000 perché, al fine di consentire alla Filippi di sottrarsi
fraudolentemente al pagamento delle imposte e quindi di rendere inefficace l’azione
esecutiva dell’erario titolare di un credito certificato pari ad euro 12.056.010,66,
dapprima con atto notarile cedevano fraudolentemente in vendita all’associazione di
volontariato “Tutti Insieme” una quota pari alla metà della nuda proprietà
dell’immobile già sottoposto sequestro preventivo in altro procedimento pendente
dinanzi alla procura della Repubblica di Genova, contestualmente riservando alla
Filippi il diritto di abitazione vitalizio, nonché il 100% delle quote sociali della società
Immobil Service – quote possedute dalla Filippi quale socio unico – alla associazione
“Toscana senza pensieri” di cui il Calvi era presidente, per un prezzo di cessione di
euro 30.000 a fronte di un valore reale e comunque prudenzialmente sottostimato
pari a euro 1.850.000. Nei confronti del solo Calvi si procedeva altresì per il reato di
cui agli articoli 99 commi 3 e 4, 110, 4 dL.vo 74/2000 perché al fine di evadere le
imposte sui redditi indicava nelle dichiarazioni annuali relative agli anni 2006, 2007,
2008, 2009 e 2010 elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo
evidenziando elementi passivi fittizi relativi a spese prive di reale riscontro allo scopo
di generare un credito di per l’anno 2010 pari ad euro 550.590, nonché per i delitti
previsti puniti dagli articoli 648, 487 e 482 cod. pen. relazione all’utilizzazione di
timbri contraffatti di uffici pubblici e/o notati, autorità giudiziarie o consolari per la
falsificazione dei documenti e delle certificazioni pubbliche inerenti alle pratiche svolte
per il conseguimento della cittadinanza che curava per conto di immigrati.
2. Il gip aveva ritenuto che le misure cautelari personali chieste dal pm non potessero
essere adottate in quanto si ponevano in funzione preventiva rispetto ad ipotetiche
future dissimulazioni dal momento che le varie associazioni non-profit create dal Calvi
non avrebbero potuto in realtà operare per essere oramai note agli inquirenti. Inoltre
aveva rilevato che risultavano già concesse misure cautelar’ reali ritenute sufficienti a
scongiurare i pericoli evidenziati dalla procura.
3. Il tribunale nell’accogliere l’appello riteneva sussistere il fumus del reato
richiamando le motivazioni delle ordinanze concernenti i sequestri non impugnate ed il
contenuto del file rinvenuto durante la perquisizione domiciliare eseguita a carico del
Calvi in cui, secondo il tribunale stesso, veniva sintetizzato quanto necessario per
evitare l’esecuzione fiscale. Richiamava inoltre il giudicante le dichiarazioni di Filippo
Donato, fratello di Maria íioia, indagato a Genova per truffa.
Quanto al pericolo di reiterazione delle condotte criminose il tribunale riteneva che per
la personalità del Calvi, con precedenti specifici, quest’ultimo potesse continuare
anche in futuro a costituire altre associazioni tramite le quali sottrarre al fisco i beni
della compagna avendo egli già iscritto all’anagrafe tributaria una nuova sigla
successivamente all’esecuzione del decreto di perquisizione. Inoltre si fa rilevare che
agli inquirenti era stato possibile rintracciare solo una parte della documentazione
ricercata relativa alle società create dal Calvi e da quest’ultimo intestate ad una serie
di prestanomi e che l’imputato si era dimostrato capace di eliminare le tracce delle
sue condotte spostando tempestivamente quantità di beni da un’associazione ad
un’altra. Infine il tribunale ha evidenziato che anche il possesso di timbri contraffatti
deponeva per il pericolo di future iniziative criminose dell’indagato.
4. Avverso tale ordinanza ricorre il difensore di Calvi Claudio deducendo l’illogicità
della motivazione nella valutazione dei gravi indizi di colpevolezza nonché in relazione
all’adeguatezza della misura. Si fa rilevare al riguardo che in punto di sussistenza del
quadro indiziarlo il tribunale non avrebbe analizzato i profili prospettati dalla difesa,

Il ricorso è inammissibile.
Il tribunale ha, infatti, adeguatamente motivato l’adozione della misura sia in
relazione alla gravità del quadro indiziario e sia sul pericolo di reiterazione del reato
che su quello di inquinamento probatorio.
Le censure del ricorrente, peraltro del tutto generiche per quanto riguarda il quadro
indiziario, in quanto non indicanti gli elementi trascurati nell’esame del tribunale, si
limitano a riproporre in questa sede le motivazioni del gip già adeguatamente e
logicamente superate dal tribunale .
E’ appena il caso di ricordare infine che questa Corte ha ripetutamente affermato che
“dedurre il vizio di manifesta illogicità della motivazione significa dimostrare che il
testo del provvedimento è macroscopicamente carente di logica e non già opporre alla
logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa valutazione
degli stessi, magari altrettanto logica” (ss.uu., 19 giugno 1996, Di Francesco) e ciò
per la evidente ragione che la interpretazione e valutazione degli atti è quaestio facti
riservata al giudizio di merito, soltanto nel quale, dunque, è legittimo contrapporre,
nella dialettica delle parti, logica a logica. Ne consegue che il giudice di legittimità
deve limitarsi ad accertare se il giudice di merito abbia fatto propria, logicamente, con
correttezza logica, una delle possibili interpretazioni o valutazioni degli atti e,
accertato il rispetto delle regole della logica, non può che disattendere la censura di
manifesta illogicità che sia stata proposta affermandosi – ed è quod plerumque accidit
– che alla interpretazione o valutazione degli atti data dal giudice di merito è possibile
opporne un’altra.
A mente dell’art. 616 c.p.p., alla declaratoria di inammissibilità consegue l’onere delle
spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa
delle ammende, fissata in via equitativa, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di
euro 1000.
P.Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condannati ricorrente al pagamento delle spese
processuali, nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, della
somma di euro 1000.
Così deciso, il giorno 3.5.2013

che sul pericolo di reiterazione delle condotte criminose l’ordinanza sarebbe del tutto
carente non tenendo conto che l’indagato non si era mai opposto ai sequestri e che
erano stati individuati dalla guardia di finanza tutti beni riferibili al Calvi. Quanto al
pericolo di inquinamento probatorio si fa rilevare che l’ordinanza è priva di reale
motivazione non essendo emersi ad oggi tentativi di inquinamento probatorio e non
essendovi prova circa il possesso o l’utilizzo di timbri contraffatti fondandosi la
contestazione unicamente su una chiamata del fratello della Filippi rimasta priva di
riscontri oggettivi. In più si fa rilevare come i precedenti dell’imputato siano
assolutamente modesti.

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