Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29055 del 11/04/2014


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Penale Sent. Sez. 7 Num. 29055 Anno 2014
Presidente: SQUASSONI CLAUDIA
Relatore: MULLIRI GUICLA

sul ricorso proposto da:
Iacomino Ciro, nato a Torre del Greco il 9.11.90
imputato art. 73 T.U. stup.
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Napoli del 14.2.13

Sentita la relazione del cons. Guida Mùlliri;
osserva

Il ricorrente è stato condannato, in primo grado per avere detenuto a fini non personali
44 dosi medie di marijuana.
La sentenza della corte di appello, qui impugnata, ha ribadito la responsabilità e negato
la richiesta di riconduzione del fatto nell’alveo del comma 5 dell’art. 73 limitandosi a ritoccare
verso il basso la pena con giudizio ex art. 133 c.p. ed irrogando la pena di anni 4 e mesi 6 di
reclusione e 18.000 € di multa.
Con il gravame dinanzi a questa S.C., il condannato sostiene che la Corte non ha
onorato il suo obbligo motivazionale ma il ricorso, in sé , è manifestamente infondato e, come
tale, inammissibile.

Data Udienza: 11/04/2014

Tuttavia, poiché, medio tempore sono intervenute delle modifiche legislative in materia
di stupefacente, la decisione merita di essere rivista.
Ed infatti, vi è stato l’intervento della Consulta ( n. 32/14) sugli artt. 4 bis e 4 vicies ter
della legge di conversione al D.L. 272/05 (che aveva innovato il testo del T.U. stup.) che ha innovato
l’art. 73 del citato T.U. nella parte in cui parificava il trattamento sanzionatorio per tutti i tipi di
droga (sia quelle c.d. leggere che quelle cd. pesanti) che, invece, erano differenziate prima della
novella del 2005.
Come precisato dalla stessa Consulta, una volta dichiarata l’illegittimità costituzionale
delle disposizioni prima citate, riprende applicazione l’art. 73 del D.P.R. 309/90 nel testo
anteriore alle modifiche (ad esso apportate dagli articoli dei quali è stata dichiarata la illegittimità costituzionale
per eccesso di delega) e che, appunto, per le droghe “leggere” come nel caso in esame, prevedeva
un trattamento sanzionatorio più mite.
Evidenti sono gli effetti di ricaduta nel caso in esame visto che si tratta di marijuana
(circa 44 dosi) e che, essendo stata irrogata la pena di 4 anni e sei mesi di reclusione, evidente
che la pena irrogata è illegale in quanto calcolata muovendo da una pena base di 6 anni e 6
mesi di reclusione, superiore al massimo edittale ora vigente.
Si impone, pertanto, una revisione della decisione impugnata limitatamente alla
determinazione della pena ed, a tal fine, previo annullamento della sentenza impugnata in
parte qua, gli atti devono essere rimessi al competente giudice di merito, vale a dire, altra
sezione della Corte d’appello di Napoli.
P.Q.M.
Visti gli artt. 610 e ss. c.p.p.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla determinazione della pena e rinvia ad altra
sezione della Corte d’appello di Napoli. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.

Così deciso in Roma nell’udienza dell’Il aprile 2015

Il Presi nte

E’ un dato di fatto che i giudici di secondo grado hanno affrontato le (medesime) ragioni
difensive ribattendo, però, che le caratteristiche del fatto impedivano di accedere al
riconoscimento dell’attenuante speciale visto che l’informativa di P.G. e le dichiarazioni delle
persone individuate sul posto hanno permesso di accertare che l’attività di spaccio, che il
ricorrente svolgeva presso la propria abitazione, era stabile e continuativa e che, nella sua
attività, erano coinvolti anche i suoi familiari come un vero e proprio “stile di vita” di cui è
segno evidente il fatto che il fratellino di nove anni si fosse avvicinato alla vettura dei
verbalizzanti con scaltrezza scrutando al suo interno (per comprendere se si trattasse delle forze
dell’ordine ed avendo scorto al suo interno la «palina di ordinanza»), era poi corso a casa ad avvertire gli
acquirenti che dovevano andarsene ed aveva invitato a “buttare tutto”. A tali rilievi, la Corte
aggiunge il richiamo dell’attenzione sul peso della sostanza rinvenuta.
Per contro, la censura in esame si segnala per la sua genericità risolvendosi nella mera
asserzione di mancanza di motivazione e nella non specifica evocazione di principi generali
circa la necessità che i provvedimenti giurisdizionali siano motivati. Principi che, come detto, la
sentenza in discussione ha pienamente onorato.

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