Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2905 del 17/10/2013


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Penale Sent. Sez. 5 Num. 2905 Anno 2014
Presidente: FERRUA GIULIANA
Relatore: OLDI PAOLO

SENTENZA

sul ricorso proposto dal
Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Catania
nel procedimento nei confronti di
Cassia Carmelo, nato a Siracusa il 25/05/1954

avverso la sentenza del 11/06/2012 del Giudice di pace di Augusta

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Paolo Oldi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Angelo
Di Popolo, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio al giudice di pace
competente per nuovo esame.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 11 giugno 2012 il giudice di pace di Augusta ha
assolto Carmelo Cassia dalle imputazioni di ingiuria e minaccia ai danni di
Luciano Lopes per insussistenza del fatto.

Data Udienza: 17/10/2013

1.1. Ha ritenuto il giudicante che l’avere il Cassia rivolto al Lopes la parola
«crastu» non rivestisse gli estremi dell’ingiuria, trattandosi di vocabolo che nel
dialetto siciliano ha un significato corrispondente a quello di «furbo» o
«furbastro»; quanto alla minaccia, ha giudicato insufficiente la prova del fatto ai
sensi dell’art. 530, comma 2, cod. proc. pen., per essere rimaste prive di
riscontro testimoniale le dichiarazioni della persona offesa.

2. Ha proposto ricorso per cassazione il Procuratore Generale presso la
Corte d’Appello di Catania, affidandolo a due motivi.

2.1. Col primo motivo il P.G. ricorrente impugna l’assoluzione dall’imputazione ex art. 594 cod. pen., sostenendo che il termine «crastu» in dialetto
siciliano, contrariamente a quanto affermato nella sentenza, ha il significato
corrispondete a quello di «montone»: vale a dire di «cornuto» o «testa dura».
2.2. Col secondo motivo impugna l’assoluzione dall’imputazione ex art. 612
cod. pen., richiamandosi alla giurisprudenza di legittimità che riconosce
autonoma valenza probatoria alla deposizione della persona offesa, pur in
mancanza di riscontri esterni, quando resista al vaglio di credibilità; osserva, poi,
non essere vero che le testimonianze abbiano contraddetto la versione del
Lopes, emergendo invece elementi a conforto dalle deposizioni dei testi Correnti
e Serra (il primo dei quali ha riferito di non avere un ricordo in proposito, mentre
il secondo ha avuto notizia della minaccia dallo stesso Lopes).

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo di ricorso è fondato e merita accoglimento.
1.1. Ed invero, fermo restando che l’accertamento in linea di fatto operato
dal giudice di merito non è sindacabile in questa sede, neppure nella parte
riguardante il significato da attribuirsi al termine dialettale «crastu», va tuttavia
rimarcato che, proprio secondo l’interpretazione posta dal giudicante a base del
suo deliberato, l’uso di quel termine si è tradotto nella formulazione di un’offesa
ai danni della persona cui era indirizzata.
1.2. Si legge, infatti, nella motivazione della sentenza che la parola «crastu»
ha un significato «che lascia intendere una “mala parte” o “azione” compiuta da
un soggetto inaspettatamente e cioè da un soggetto che davanti a certe
circostanze dice una cosa e poi si comporta diversamente per sottrarsi a
responsabilità». L’attribuire a una persona siffatto comportamento si traduce in
una negazione della sua integrità morale, la cui valenza offensiva riconduce il
fatto nell’area di operatività dell’art. 594 cod. pen.: onde contraddittoria con tale
premessa è la conclusione tratta dal giudice di pace con l’affermare l’assoluta

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inoffensività della parola rivolta dall’imputato a Luciano Lopes.

2. Fondato è anche il secondo motivo di ricorso.
2.1. Il giudice di pace ha ritenuto insufficientemente provata la
responsabilità del Cassia in ordine al delitto di minaccia, inducendosi perciò ad
assolverlo ex art. 530, comma 2, cod. proc. pen., sul presupposto che la
ricostruzione del fatto fornita dalla persona offesa non avesse trovato riscontro in
alcuna delle testimonianze assunte. Ma così facendo il giudicante ha omesso di

Corte Suprema, secondo cui la deposizione della persona offesa dal reato, pur
non essendo equiparabile a quella di un testimone estraneo, può tuttavia essere
assunta anche da sola a fonte di prova, purché superi il vaglio di credibilità
oggettiva e soggettiva, senza che sia necessario il concorso di riscontri esterni
(v. ex multis Sez. 3, n. 34110 del 27/04/2006, Valdo Iosi, Rv. 234647; Sez. 1,
n. 46954 del 04/11/2004, Palmisani, Rv. 230590; Sez. 6, n. 33162 del
03/06/2004, Patella, Rv. 229755). Alla stregua di tale principio il giudice di
merito ben avrebbe potuto disattendere la versione del fatto offerta dal Lopes,
ma soltanto spiegando le ragioni della ritenuta inattendibilità delle sue
dichiarazioni: mentre non costituisce una ratio decidendi conforme a legge
quella, adottata in concreto, con cui ci si limiti a constatare l’assenza di conferme
da parte di testi estranei.

3. La sentenza impugnata deve essere, quindi, annullata in ogni sua parte.
Il giudice di rinvio, che si designa nello stesso giudice di pace di Augusta
(ovviamente in persona di altro magistrato onorario), sottoporrà a rinnovato
esame l’intera vicenda tenendo conto dei principi testé ricordati.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame al giudice di pace
di Augusta.
Così deciso il 17/10/2013.

tener conto del principio, ripetutamente enunciato dalla giurisprudenza di questa

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