Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29019 del 09/12/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 29019 Anno 2016
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
IAMONTE CARMELO N. IL 17/07/1965
avverso l’ordinanza n. 8735/2014 TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA,
del 06/02/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONELLA
PATRIZIA MAZZEI;

Data Udienza: 09/12/2015

RITENUTO IN FATTO

1.

Con ordinanza deliberata il 6 febbraio 2015, il Tribunale di

Sorveglianza di Roma ha respinto il reclamo avverso il provvedimento del
Ministro della giustizia, in data 29 ottobre 2014, di proroga per anni due del
regime differenziato, ex art. 41-bis Ord. Pen., applicato nei confronti di
Iamonte Carmelo, già condannato per associazione di tipo mafioso e in
custodia cautelare per il medesimo reato con ruolo di capo ed

Il Tribunale ha ritenuto ancora attuale il pericolo di collegamenti del
reclamante con la criminalità organizzata sulla premessa della tendenziale
indissolubilità del patto associativo criminoso, salva esplicita rottura
mediante scelta collaborativa o dissociazione, non attuata nel caso di
specie, e in considerazione degli elementi emergenti dai precedenti
dell’interessato e dalle notizie fornite dagli uffici investigativi qualificati:
DDA (Direzione distrettuale antimafia) di Reggio Calabria e DNA (Direzione
nazionale antimafia), Comando generale dell’Arma dei carabinieri e
Ministero dell’Interno – Direzione centrale anticrimine.
Sono stati, in particolare, sottolineati: a) il profilo criminale di Iamonte,
riconosciuto esponente apicale dell’omonimo sodalizio della

‘ndrangheta,

dominante in Melito Porto Salvo, con ruolo apicale non solo nella cosiddetta
“società locale” di Melito, ma anche nella più ampia articolazione territoriale
della ‘ndrangheta denominata “provincia”; b) la perdurante vitalità del
gruppo criminale sul territorio, testimoniata da recenti risultati investigativi
(dichiarazioni del collaboratore di giustizia, Ambrogio Giuseppe) assegnanti
a Iamonte un ruolo direttivo anche dal carcere; c) il tenore di vita dei
familiari del detenuto, sproporzionato rispetto ai redditi ufficiali ed oggetto
di numerosi provvedimenti di sequestro per ingenti valori.

2. Avverso tale ordinanza ha proposto ricorso per cassazione Iamonte
tramite il difensore, il quale, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e),
cod. proc. pen., deduce la violazione dell’art. 41 bis Ord. Pen. e il vizio di
motivazione per mancanza e/o illogicità.
Non sussisterebbe attuale pericolo di collegamento del ricorrente con
presunti sodali criminali e la contraria motivazione del Tribunale sarebbe
puramente apparente, erroneamente qualificando come neutro il dato,
oltremodo significativo a favore del ricorrente, dell’assenza di rapporti tra il
detenuto Iarnonte ed i sodali liberi nel corso della precedente detenzione
dell’istante in regime ordinario.
1

organizzatore.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso risulta basato su motivi, in parte, non consentiti nel giudizio
di legittimità e, in parte, manifestamente infondati.
L’art. 41 bis, comma 2-bis, della I. n. 354 del 1975, sostituito dall’art. 2,
comma 25, lett.

d), della I. 15 luglio 2009, n. 94, stabilisce che i

provvedimenti applicativi del regime di detenzione differenziato sono
prorogabili “per successivi periodi, ciascuno pari a due anni (…), quando

criminale, terroristica o eversiva non è venuta meno”.
L’ambito del sindacato devoluto alla Corte di cassazione è segnato dal
comma 2-sexies [recentemente sostituito dall’art. 2, comma 25, lett. b), I.
n. 94 del 2009, cit.] del novellato art. 41-bis, a norma del quale il
Procuratore nazionale antimafia, il Procuratore della Repubblica che procede
alle indagini preliminari, il Procuratore generale presso la Corte d’appello, il
detenuto, l’internato o il difensore possono proporre, entro dieci giorni della
sua comunicazione, ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale
(solo) “per violazione di legge”.
La limitazione dei motivi di ricorso alla sola violazione di legge è da
intendere nel senso che il controllo affidato al giudice di legittimità è esteso,
oltre che all’inosservanza delle disposizioni di legge sostanziale e
processuale, all’inesistenza della motivazione, dovendo in tale vizio essere
ricondotti tutti i casi nei quali la motivazione stessa risulti del tutto priva dei
requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità, al punto di risultare
meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il
filo logico seguito dal giudice di merito per ritenere giustificata la proroga,
ovvero quando le linee argomentative del provvedimento siano talmente
scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da far rimanere oscure le
ragioni che hanno giustificato la decisione (Sez. Un. 28 maggio 2003,
Pellegrino, Rv. 224611; Sez. I, 9 novembre 2004, Santapaola, Rv. 230203;
Sez. 6, n. 7651 del 14/01/2010, dep. 25/02/2010, Mannino, Rv. 246172).

2. Alla luce di questi principi, osserva la Corte che il ricorso è
inammissibile.
L’ordinanza impugnata, invero, ha correttamente valutato gli elementi
risultanti agli atti, senza violare la legge penale, sottolineando l’attuale
operatività del sodalizio ‘ndranghetista e, in esso, il ruolo di vertice di
Iannonte, donde la coerente affermazione, in assenza di elementi concreti
da cui desumere la rescissione dei vincoli delinquenziali, dell’attuale pericolo
2

cle

risulta che la capacità di mantenere collegamenti con l’associazione

che il detenuto possa attivare collegamenti con i membri dell’associazione
criminale, ove sottoposto al regime penitenziario ordinario.
La motivazione è, dunque, esaustiva e coerente, mentre i rilievi difensivi
configurano censure non consentite nella misura in cui postulano una
rivisitazione del giudizio di merito in punto di pericolosità, e si rivelano
manifestamente infondati laddove denunciano violazione di legge per
inesistenza o mera apparenza della motivazione.

sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad
escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte
cost. sentenza n. 186 del 2000), al versamento a favore della cassa delle
ammende di una sanzione pecuniaria che si stima equo determinare, tra il
minimo e il massimo previsti, in euro mille.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento
delle spese processuali e al versamento della somma di mille euro alla cassa
delle ammende.
Così deciso il 9/12/2015.

3. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso consegue di diritto, ai

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