Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29002 del 09/12/2015


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 29002 Anno 2016
Presidente: CAVALLO ALDO
Relatore: SANDRINI ENRICO GIUSEPPE

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
BONOMOLO SALVATORE N. IL 15/06/1965
avverso l’ordinanza n. 876/2014 TRIBUNALE di PALERMO, del
18/02/2015
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ENRICO GIUSEPPE
SANDRINI;

Data Udienza: 09/12/2015

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

Con l’ordinanza indicata in rubrica, il Tribunale di Palermo ha rigettato l’incidente
di esecuzione proposto da Bonomolo Salvatore, avente per oggetto l’istanza di
revoca della sentenza di condanna pronunciata nei suoi confronti dal medesimo
Tribunale il 2.04.2009, confermata in appello e divenuta definitiva il 9.04.2013,
sul presupposto della mancata conoscenza del processo da parte del Bonomolo
per effetto della nullità del decreto di latitanza emesso dal GIP sulla base del

che la dedotta ignoranza del procedimento penale e del suo esito era
contraddetta dall’intensa attività difensiva svolta nell’interesse del Bonomolo
mediante l’impugnazione, con appello e ricorso per cassazione, delle sentenze
pronunciate in primo e secondo grado e in sede di giudizio di rinvio (a seguito di
annullamento della prima sentenza d’appello da parte di questa Corte), e,
dall’altro, che la regolarità formale e sostanziale del titolo esecutivo precludeva il
rilievo di eventuali nullità verificatesi nel corso del processo di cognizione prima
della condanna definitiva; rilevava che l’eventuale mancanza di effettiva
conoscenza del titolo esecutivo doveva essere fatta valere dal condannato
mediante istanza di restituzione nel termine per l’impugnazione, da proporsi nel
rispetto del termine di decadenza di trenta giorni dalla conoscenza effettiva del
provvedimento, che nella specie doveva ritenersi ampiamente decorso essendo
stato il Bonomolo tratto in arresto fin dal 25.07.2013 in esecuzione della
sentenza irrevocabile di condanna.

Ricorre per cassazione Bonomolo Salvatore, a mezzo del difensore, deducendo
violazione di legge in relazione agli artt. 175 e 296 cod.proc.pen., 6 CEDU,
contestando di aver avuto effettiva conoscenza della sentenza di condanna in
esecuzione nei suoi confronti, nonché la decorrenza del termine previsto dall’art.
175 comma 2-bis del codice di rito dalla notifica dell’ordine di esecuzione per la
carcerazione, anziché dal conseguente accesso agli atti del procedimento;
censura la ritenuta formazione del giudicato a suo carico, non essendo stato
posto in grado di conoscere l’esistenza del processo per effetto dell’omessa
rinnovazione del decreto di latitanza nelle fasi e nei gradi successivi del giudizio,
a seguito di nuove ricerche dell’imputato; solleva in subordine questione di
legittimità costituzionale, in relazione agli artt. 3 e 24 Cost., sotto il profilo
dell’ingiustificata diversità di disciplina delle ricerche dell’imputato agli effetti
dell’emissione del decreto di latitanza e del decreto di irreperibilità.

Con successiva memoria del 30.09.2015, il ricorrente contesta la manifesta
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verbale di vane ricerche redatto il 30.05.2007; il Tribunale riteneva, da un lato,

infondatezza del ricorso costituente il presupposto della sua assegnazione alla 7^
Sezione di questa Corte, e ribadisce i motivi di censura dedotti avverso
l’ordinanza impugnata.
Osserva la Corte che il ricorso è basato su motivi manifestamente infondati, che
ne giustificano l’assegnazione alla sezione prevista dall’art. 610 comma 1 del
codice di rito e la trattazione col procedimento semplificato in camera di consiglio
ivi previsto, in quanto il ricorrente omette sostanzialmente di confrontarsi con
l’argomentazione fondamentale in forza della quale il giudice dell’esecuzione ha

rigettato l’istanza di revoca del titolo esecutivo formulata dal Bonomolo,
costituita dalla deduzione – come causa di revoca – di una nullità, concernente la
rituale emissione del decreto di latitanza, che si sarebbe verificata nel corso del
processo di cognizione in un momento precedente il passaggio in giudicato della
sentenza di condanna, e che dunque doveva essere fatta valere con gli ordinari
mezzi di impugnazione ed è coperta dal giudicato formatosi a seguito della
irrevocabilità della sentenza, in conformità all’orientamento consolidato di questa
Corte per cui in sede di incidente di esecuzione il giudice deve limitare il proprio
accertamento alla regolarità formale e sostanziale del titolo su cui si fonda
l’esecuzione e non può attribuire rilievo a nullità che si fossero eventualmente
verificate nel corso del processo di cognizione e che non riguardano direttamente
la sentenza conclusiva del processo (ex plurimis, Sez. 1 n. 5880 dell’11/12/2013,
Rv. 258765; Sez. 1 n. 8776 del 28/01/2008, Rv. 239509; Sez. 1 n. 37979 del
10/06/2004, Rv. 229580; Sez. 1 n. 5003 del 14/07/1999, Rv. 214211); le
censure dedotte nel ricorso riguardano invece – essenzialmente – il diverso
profilo della conoscenza effettiva da parte del condannato del procedimento e
della sentenza che lo ha definito (a prescindere dalla regolarità formale della sua
formazione), deducibile col differente strumento dell’istanza di restituzione nel
termine per l’impugnazione disciplinato dall’art. 175 cod.proc.pen., che non
risulta essere stato proposto, sia pure in via subordinata, nell’istanza ex art. 670
del Bonomolo, avente per oggetto esclusivamente la deduzione di un incidente di
esecuzione, con conseguente difetto di correlazione di tali censure con l’istanza
originaria e con le ragioni motive del provvedimento impugnato, che le rende
radicalmente inammissibili (mentre le considerazioni svolte dal giudice
dell’esecuzione sulla tardività di un’eventuale istanza di restituzione in termini si
risolvono in un obiter dictum, non costituendo tale istanza oggetto del decisum);
da quanto precede discende anche la concreta irrilevanza, nel caso di specie,
della questione di legittimità costituzionale della disciplina dettata dagli artt. 165
e 296 cod.proc.pen. con riguardo alla natura esaustiva delle ricerche che devono
precedere l’emissione del decreto di latitanza e alla loro idoneità ad assicurare la

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conoscenza del processo da parte dell’imputato, prospettata in via subordinata
dal ricorrente, questione che riguarda pur sempre la legittimità e la validità del
procedimento di formazione di atti processuali emessi in una fase antecedente la
formazione del giudicato conseguente alla definitività della sentenza irrevocabile
di condanna, la cui esistenza e la cui esecutività costituiscono l’oggetto esclusivo
del sindacato demandato dall’art. 670 del codice di rito al giudice dell’esecuzione.

All’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento

pecuniaria che si ritiene equo determinare nella somma di 1.000 euro.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di € 1.000,00 alla Cassa delle
Ammende.
Così deciso il 9/12/2015

delle spese processuali e al versamento alla cassa delle ammende della sanzione

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