Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 29 del 16/11/2016


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 29 Anno 2017
Presidente: FUMU GIACOMO
Relatore: PELLEGRINO ANDREA

Data Udienza: 16/11/2016

SENTENZA

sul ricorso proposto nell’interesse di Morelli Marta, n. a Livorno il
10/04/1994, rappresentata e assistita dall’avv. Eriberto Rosso, terza
interessata nell’ambito del procedimento a carico di Frassinelli
Consuelo indagata per il reato di truffa, avverso l’ordinanza del
Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Livorno, n.
157/2014, in data 01/07/2016;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione della causa fatta dal consigliere dott. Andrea
Pellegrino;
letta la requisitoria del Sostituto Procuratore generale dott. Luigi Orsi
che ha concluso chiedendo di dichiarare l’inammissibilità del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. In data 12/09/2014, il Procuratore della Repubblica presso il
Tribunale di Livorno disponeva il sequestro probatorio presso terzi
sulle somme accreditate sul conto corrente n. 777 presso Banca di

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Credito Popolare Società Cooperativa ag. 6 di Livorno intestato a
Marta Morelli; l’indagine, nell’ambito della quale era stato disposto il
sequestro, vede indagata Consuelo Frassinelli per il reato di truffa in
danno della Banca di Credito Cooperativo ag. 2 di Livorno, consumata
facendosi erogare un mutuo mediante falsificazione di documenti
attestanti una fittizia redditività; Marta Morelli figura quale
procuratrice speciale che ha venduto a Consuelo Frassinelli l’immobile

pubblico ministero ha disposto il sequestro in presenza di un anomalo
accredito disposto da Morelli a Frassinelli che imponeva una verifica
dei rapporti in essere tra le due.
2. A seguito della proposizione di atto di opposizione al rigetto
dell’istanza di dissequestro avanzata da Marta Morelli, il giudice per le
indagini preliminari presso il Tribunale di Livorno, con provvedimento
in data 01/07/2016, rigettava l’istanza della Morelli riconoscendo
come “… la somma di denaro vincolata sul conto corrente della Morelli
costituisce il profitto illecito dell’ipotizzato reato di truffa e, dunque,
corpo del reato e comunque oggetto anche della futura decisione del
giudice dibattimentale”.
3. Avverso detto provvedimento, nell’interesse di Marta Morelli, viene
proposto ricorso per cassazione per i seguenti motivi:
a)

vizio di motivazione quanto alle ragioni di permanenza del

sequestro probatorio disposto dal pubblico ministero in data
12/09/2014, per avere il giudice per le indagini preliminari ritenuto
che la somma sequestrata sul conto corrente della ricorrente
costituisca profitto illecito del reato di truffa commesso da Consuelo
Frassinelli (primo motivo);
b) violazione di legge processuale (art. 125 e 253 cod. proc. pen.),
per avere ritenuto il bene sequestrato “corpo di reato”, senza
verificare la finalità di indagine perseguita dal pubblico ministero
(secondo motivo);
c) violazione di legge processuale per avere il giudice per le indagini
preliminari deciso, avendo acquisito il fascicolo delle indagini dopo la
discussione (terzo motivo).

CONSIDERATO IN DIRITTO

da questa acquisito con la provvista illecitamente costituita; il

1. Il ricorso è fondato in relazione al secondo assorbente motivo e,
come tale, appare meritevole di accoglimento.
2. Va preliminarmente evidenziato – ai fini dell’ammissibilità del
presente ricorso – come, secondo il consolidato insegnamento della
giurisprudenza di legittimità, la mancata proposizione della richiesta
di riesame di misura cautelare reale non determina alcun giudicato
cautelare “implicito” e, pertanto, non preclude la richiesta di revoca

anche in assenza di fatti sopravvenuti (cfr., Sez. 1, n. 19504 del
05/02/2014, Costantino e altro, Rv. 263402).
3. Il giudice ha ritenuto che le esigenze probatorie che sottendono al
provvedimento di sequestro delle somme depositate sul conto
corrente della Morelli fossero ravvisabili nella sussistenza di un’ipotesi
di truffa in danno di un istituto di credito bancario erogatore di un
mutuo a favore della Frassinelli sulla base di una documentazione
asseritamente falsa da quest’ultima prodotta.
Su questa premessa, il giudice ha altresì ritenuto che il denaro
sequestrato costituisse corpo di reato operando un sostanziale
automatismo tra provvedimento ablativo e corpo di reato. Tale
generalizzazione appare del tutto ingiustificata ed in contrasto con
l’orientamento giurisprudenziale ormai consolidato.
3.1. Invero, si è ripetutamente sostenuto (cfr., Sez. U, n. 5876 del
28/01/2004, P.C. Ferrazzi in proc. Bevilacqua, Rv. 226711) che non
esiste la figura autonoma del sequestro del corpo di reato come
‘quartum genus’

(rispetto al sequestro probatorio, preventivo e

conservativo) suscettibile di automatica e obbligatoria applicazione in
virtù della sola qualità della cosa, essendo invece necessario che ogni
provvedimento diretto all’apprensione della res ed alla conseguente
imposizione del vincolo temporaneo di indisponibilità su di essa
rientri, per le specifiche finalità di volta in volta perseguite, in uno dei
tre menzionati modelli legali.
3.2. Corollario di tale principio è che se il sequestro del corpo di reato
è disposto a fini di prova, debbono essere comunque esplicitate, così
come avviene per le cose pertinenti al reato, le ragioni che
giustificano in concreto la necessità dell’acquisizione interinale del
bene “per l’accertamento dei fatti” inerenti al thema decidendum del
processo, secondo il catalogo enunciato dall’art. 187 cod. proc. pen.,

della stessa per mancanza originaria delle condizioni di applicabilità,

in funzione cioè dell’assicurazione della prova del reato per cui si
procede o della responsabilità dell’autore.
3.3. D’altra parte, che l’apprensione del corpo di reato non sia
sempre necessaria per l’accertamento dei fatti, oltre che dalla
comune esperienza dettata dalla varietà delle vicende processuali,
emerge inequivocamente dalla lettura coordinata della norma del
primo comma dell’art. 253 cod. proc. pen. con quella del primo

comma dell’art. 262 cod. proc. pen., la quale, senza operare alcuna
differenziazione tra corpo di reato e cose pertinenti al reato, prevede
la restituzione delle “cose sequestrate” a chi ne abbia diritto, anche
prima della sentenza, “quando non è necessario mantenere il
sequestro a fini di prova”: si riconosce così, per evidenti ragioni di
economia processuale, che, perché trovi legittima giustificazione
l’esercizio del potere coercitivo anche in sede di controllo da parte del
giudice del riesame, tali fini, almeno inizialmente, devono in ogni caso
sussistere ed essere esplicitati nella motivazione del provvedimento
con cui il potere si manifesta, ben potendo le esigenze attinenti al
thema probandum

essere altrimenti soddisfatte senza creare un

vincolo superfluo di indisponibilità sul bene.
3.4. Ne consegue l’impossibilità di riconoscere come la nozione di
corpo del reato implichi, ‘per definizione’, un’idoneità dimostrativa
immediata del collegamento della cosa con l’illecito, con conseguente
efficacia probatoria diretta,

in re ipsa,

in ordine all’avvenuta

commissione di un reato ed alla sua attribuibilità ad un soggetto: così
ragionando, si finirebbe per riconoscere che, per acquisire il bene in
tal modo definito, non rileverebbe la sua idoneità rappresentativa ‘in
concreto’, cioè rispetto ai fatti per cui si procede, ma sarebbe
sufficiente l’idoneità tendenziale ed ‘astratta’ a rivestire la qualità,
generica e immanente, di fonte di prova.
Il rilievo in parola non coglie nel segno perché non considera che la
giustificazione delle esigenze investigative in concreto perseguite è
stabilita in funzione dell’effettivo controllo da parte del giudice
sovraordinato sulla legittimità del sacrificio di una libertà
fondamentale, subito mediante l’apprensione della res, in relazione
alle risposte da dare alle pertinenti censure dell’interessato. Questi,
nell’approntare un’adeguata linea difensiva, intende invero smentire
la pretesa coessenzialità dell’esigenza probatoria con il corpo del

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reato e sollecitarne la restituzione, evidenziando come, non essendo
stata esplicitata alcuna valenza investigativa dell’atto coercitivo, il
temporaneo vincolo d’indisponibilità sulla cosa – pur rientrante nella
suddetta categoria – non sia in realtà necessario, in concreto, per
l’accertamento dei fatti.
4. Fermo quanto precede, evidenzia il Collegio come nella fattispecie,
il sequestro del denaro in oggetto non rivela alcuna finalità probatoria

elementi si renda necessario il mantenimento del vincolo in parola: da
qui l’accoglimento del secondo assorbente motivo di ricorso con
conseguente doverosità di una sentenza di annullamento senza
rinvio del provvedimento impugnato.
5. Alla pronuncia consegue la restituzione della somma in sequestro
alla ricorrente

P.Q.M.

Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato e dispone la
restituzione della somma in sequestro alla ricorrente.
Così deciso il 16/11/2016.

Il Consigliere estensore
Andrea Pellegrino

Il Prestdente
Giacomp FU2-11

per l’accertamento dei fatti né, tantomeno, indica sulla base di quali

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